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I Lunedì dell’Arcipelago - Compagna Laurie (Anderson)

Categoria: Assaggi, suoni, visioni e letture, I lunedì dell'Arcipelago, Narrazioni
Postato da: zaphod

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[Diretttamente dal nostro sito  gemello Arcipelago Anonima, e dalla felice penna di Luciana Mattei, un racconto di (r)esistenza quotidiana che vede protagonista una delle artiste più originali della musica, del teatro e dell'arte contemporanea, Laurie Anderson.]

29 Novembre 2010

Sono giorni che piove senza sosta. Stamattina, durante il viaggio d’andata, dal finestrino del treno guardavo gli acquitrini che affiorano dappertutto: sta venendo giù talmente tanta acqua che l’argilla si ribella e si riappropria della sua vera natura. Sono tornata a vivere nelle mie amate paludi da pochi mesi, ma lavoro ancora a oltre cento chilometri da casa: cliente affezionata di Trenitalia per quest’anno.

Julian Assange, il suo caschetto alla Andy Wharol e Wikileaks furoreggiano sulle prime pagine dei giornali, Fini e Berlusconi tengono banco in Parlamento. Nelle Università infuria la protesta contro la Riforma Gelmini, gli studenti occupano le piazze e le stazioni. Infatti anche oggi siamo fermi, a Sezze Scalo questa volta, da più di un’ora; non si sa se e quando ripartiremo. Il buio sta calando rapidamente, avrei quasi voglia di tornare a casa a piedi, “ferrovia ferrovia” come diceva mia nonna. Tre vigilantes napoletani, turno di notte, sono preoccupati di arrivare tardi al lavoro a Roma, nonostante siano partiti con largo anticipo visti i ritardi dei giorni precedenti. Hanno le facce rassegnate, ma ci scherzano su. Dicono: “Se fermano qui anche l’Intercity lo andiamo ad occupare, lo sequestriamo e non paghiamo il supplemento rapido.” Se scendono sul serio, vado con loro.

Ricevo un sms dal Giornalista Milanese mio amico :“Nel pomeriggio di dopodomani alla Casa del Jazz a Roma c’è una conferenza di Laurie Anderson, organizzata dal Giornalone a tiratura nazionale che leggi tu, la Anderson risponderà alle domande dei lettori. Vai e fatti fare un autografo con dedica per la Pagina”.

Nell’era del digitale, “la Pagina” è la nostra personale versione 2.0 della resistenza e degli espropri proletari degli anni ‘70: si occupa una pagina abbandonata su Facebook e la si trasforma in una pagina di resistenza umana invitando più facebookiani possibile a cliccare su “mi piace” e condividere. Così una fan page triste, scarsamente frequentata e semivuota, fondata da un ignaro wasp statunitense per raccogliere i suoi ex compagni di scuola anni ’50 e che contava a malapena una decina di iscritti settantenni o giù di lì, è diventata una vivace e italianissima pagina di resistenza umana con oltre duemilacinquecento fans. Nessuno amministra niente (e come potrebbe, d’altronde?) e ognuno può andare e postare la sua senza filtri, almeno finché Bill non si ricorderà di essere il gestore di una fan page e di venire a controllare che si dice.

Però la colpa è anche un po’ dell’americano: non solo per aver abbandonato la pagina a se stessa lasciandola incustodita, ma principalmente per averle dato il nome della ridente cittadina della East Coast di cui è originario, che si chiama, giuro, esattamente come il più grande eroe del nostro Risorgimento. Diciamo la verità: di questi tempi, lasciare solo soletto Peppino Garibaldi e la sua gloriosa camicia rossa è una provocazione.

Mi chiedo chi sia Laurie Anderson. Ah sì… la signora Lou “Walk on a Wilde Side” Reed. Di lei so poco, se non che ha fatto musica sperimentale e che ha lavorato col marito. Rispondo al Milanese che se l’incontro l’avessero tenuto nella Grotta del Turco a Gaeta beh, un pensierino ce l’avrei fatto, ma essere a Roma nel pomeriggio di un giorno lavorativo è una follia per me. Mi arriva l’ emoticon di un diavolo furente che battendo il piede a terra mi ordina piantarla di lagnarmi e di andare, perché non ho idea di quello che potrei perdermi. Anzi, visto che ci sarò, oltre all’ autografo mi farò anche una foto con il pungo chiuso accanto alla musicista. Sempre per la Pagina e la resistenza, naturalmente. Guardo con gli occhi sgranati Belzebù che salta nel display del mio cellulare, poi digito la risposta e intanto mi maledico: ma perché non so dire di no?


30 novembre 2010

Ricapitolando.

  1. Le alchimie per andare a lavorare al mattino ed essere a Roma nel primo pomeriggio le ho messe in atto tutte, non voglio neanche immaginare quanti chilometri macinerò in questo one-day-trip nel sud del Lazio.
  2. Google Maps, per vedere dove diavolo sta la Casa del Jazz, non ci sono mai stata.
  3. Caricati Ipod, cellulare, digitale, batteria di riserva, un paio di quaderni e pennarelli di tutti i colori.
  4. Look total black, che fa sempre fashion e un po’ Neo di Matrix.

Ok, domani vado. Ma sai come mi imbufalisco se il treno mi molla in mezzo alla campagna romana?

1° dicembre 2010

La stazione Termini è miracolosamente tranquilla, dei ragazzi che da giorni occupano i binari neanche l’ombra: meno male, non avrei sopportato di vederli caricati dalle forze dell’ordine come mostrava il tg dell’altra sera. In Piazza dei Cinquecento c’è un cellulare della Polizia; due giovani in divisa stanno bevendo caffè in bicchierini di plastica, un altro accanto a loro parla al telefono. Ha smesso di piovere: il cielo del primo pomeriggio è azzurro come solo a Roma in autunno può esserlo; la luce del sole, del colore dell’oro vecchio, cade sui sampietrini ancora lucidi d’acqua; nelle pozzanghere c’è l’arcobaleno.

La Casa del Jazz è alle spalle dell’Aventino, a Villa Osio, costruita negli anni del Fascismo, passata nelle mani della Banda della Magliana e infine confiscata e restituita alla città. Ci sono una decina di persone fuori dalla Sala delle Conferenze. Qualcuno si sta lamentando che non è che sia proprio un incontro aperto ai lettori, è più una conferenza per giornalisti e non si sa se faranno entrare tutti. E io, penso, son venuta fin qui, sfidando treni, pioggia e occupazioni per tornarmene con le pive nel sacco? Ma proprio no! Non conosco Laurie Anderson, potrei facilmente ripiegare su un appagante giro di shopping romano già che sono qui, ma adesso diventa una questione di puntiglio e sfida: io entro, eccome!

Scusi, il suo accredito?”

Non ho accredito. Non pensavo servisse, visto che è stato pubblicizzato come “incontro con i lettori”.

La hostess non sa cosa dire, chiama il Giornalista Organizzatore in persona, un nome di punta del giornale. E’ un tipo giovane, azzimato e sfuggente, mi stringe la mano senza guardarmi negli occhi: oddio, e ora che gli dico?

Sono una collaboratrice del Dottor Giornalista Milanese di quel Giornale che in Lombardia leggono tutti, mi ha pregato di assistere alla conferenza in sua vece, non credevamo ci fosse bisogno di accredito visto che è un incontro con i lettori, il Dottore è una persona precisa, mi avrebbe sicuramente accreditata se ce ne fosse stata necessità” dico senza fermarmi per non dargli tempo di replicare e intanto penso: ma da dove mi vengono fuori tutte ste corbellerie?

Si guarda circospetto intorno, poi mi fa segno di passare velocemente e mi dice osservando altrove: “Va bene, entri ma niente domande, dobbiamo registrare l’intervista da mandare sul web, è già tutto pronto.” No figurati, e chi domanda nulla? A me serve solo l’autografo con dedica e la foto con il pugno chiuso per portare a termine la mia mission.

La Sala delle Conferenze è un auditorium accogliente e semivuoto, ci saranno si e no una quarantina di persone. Sul piccolo palco c’è un tavolo lungo, al quale sono seduti il Giornalista Organizzatore, una ragazza dai capelli lunghi e scuri e una donna minuta con un sorriso timido e due occhi incredibilmente luminosi e azzurri; ha i capelli biondi e corti che sparano da tutte le parti: somiglia tanto a Gelsomina ne La Strada di Fellini. E’ lei, Laurie Anderson. Qui sono tutti giornalisti, faccio finta di essere una giornalista anche io: scrivo.

Le chiedono qual è il più grande inganno. “Le persone vogliono sempre di più e sono sempre più insoddisfatte, sembra che per la gente sia più facile immaginare la fine del mondo che non la fine del capitalismo.” Poche battute e questa donna la amo già. Racconta di essere affascinata da più concetti di tempo, continui, in evoluzione. Per questo ha scritto testi e musiche immaginando una forma di espressione intervallata da zip zip continui e contaminata dal linguaggio degli animali, realizzata giocando con l’elettronica che porta suoni particolari e diversi. Senza però utilizzare la tecnologia luccicante, bensì quella a basso costo, fatta in casa, quella che lascia spazio a qualcosa di vivo. Ha un sorriso dolce e gli occhi lucidi quando parla, è sincera.

Qualcuno le chiede dell’argomento del giorno, di Wikileaks. “Le immagini di potere e guerra sono sempre attuali. La guerra sposta il suo teatro, ma il gioco potere-impero è sempre lì. Io mi chiedo dove vanno a finire gli imperi quando spariscono”. Mi guardo intorno e penso con rammarico che siamo quattro gatti qui a sentir parlare questa donna magnetica.

Parla delle collaborazioni con Phil Glass e Brian Eno, che le ha insegnato a cogliere le grandi opportunità di crescita che si trovano dentro il caos, racconta di quando a Sidney ha organizzato un concerto per i cani e i loro padroni da un’idea nata in un backstage, del fatto che ami molto suonare dal vivo e stare con la gente, nonostante “sarebbe molto più facile mettere tutto il lavoro direttamente su YouTube”. Il jazz è una lingua, è sperimentazione. Col marito Lou Reed ha imparato il valore dell’improvvisazione, “è come quando costruisci una barca in casa con quei kit che puoi comprare per corrispondenza: la costruisci e pensi wow! che bella! e poi affonda al primo giro sul lago. Ma tu ti sei divertito a costruirla!”.

Una volta mi hanno chiamata quelli della Nasa, avevano visto il mio lavoro molto hi-tech ed erano convinti di aver trovato finalmente un’artista in linea con lo spirito dell’azienda. Sono andata e ho letto una poesia. Ci sono rimasti male: sono stata la prima ed unica rock star ad essere invitata a tenere uno spettacolo lì.”

Qualcun altro, banalmente, le chiede se il rock ha salvato anche la sua vita. “Si, forse. Lou Reed mi ha salvata? Non lo so, forse non avevo bisogno di essere salvata”. Ben ti sta, penso guardando il provocatore da quattro soldi che ha parlato.

Il mondo sembra piccolo, invece è parecchio grande. Ci esibivamo in un castello fuori Lisbona, con questi artisti della Mongolia che suonavano strumenti tradizionali, lontani da ogni discorso tecnologico. Loro, per arrivare all’aeroporto di Mosca e prendere il volo per il Portogallo, avevano percorso tre ore di cammino a piedi, quattro di autobus e cinque di treno. Il manager russo aveva dimenticato di organizzare il ritorno dal castello in albergo, dopo il concerto. I musicisti mongoli non hanno proferito parola: dopo lo spettacolo, hanno impacchettato i loro strumenti ed erano pronti per tornare a piedi al centro di Lisbona.”

Ogni forma di linguaggio e la sua utilizzazione sono fonte di ricerca e sperimentazione continua. Ho scritto testi in cui cercato di parlare di come funziona la mente. Non di come la mente racconti una storia, ma di come pensi una storia.”

Mia madre, sul letto di morte, ha usato per le sue ultime frasi un linguaggio spezzato, interrotto, non c’era un discorso compiuto, completo, eppure le sue frasi erano lì, volavano nell’aria come farfalle, come piccoli punti di luce: potevamo quasi osservare intorno sicuri che le avremmo viste volteggiare lentamente, sospese nell’aria. Studio, ricerco e sperimento il linguaggio perché le parole sono come la vita, che non fluisce mai ininterrotta come un film, dall’inizio alla fine: anche il migliore degli scrittori sa che non troverà mai le parole adatte a descrivere un’emozione così come la vive nella sua anima.”

La conferenza è finita, le telecamere sono spente, tutti si alzano chiacchierando sommessamente. Mi scuoto a fatica dall’incanto inaspettato: io ho ancora qualcosa da fare, ora o mai più. Salgo sul piccolo palco, mi avvicino alla Anderson che sta mettendo via le sue cose in una borsa. Le sorrido, le allungo il mio quaderno e un pennarello mentre le spiego più velocemente possibile cosa vorrei e il perché di quella dedica strampalata: facciamo resistenza fatta in casa come le sue ricerche hi-tech utilizzando quello che il web mette a disposizione di tutti, ci terremmo tanto ad una sua testimonianza. Lei ride divertita mentre scrive, chissà cosa le passa per testa. Si avvicina anche il Giornalista Organizzatore cercando di capire cosa sto dicendo: ha dato prova di un inglese appena passabile durante la conferenza stampa, ma dal suo sguardo finalmente focalizzato su di me intuisco che sta pensando che non sia stata una buona idea quella di  lasciarmi entrare. Non è aria per la foto.

Passano tutti accanto a me che sto raccattando il mio zaino, dirigendosi verso l’uscita. Scatto in avanti senza pensarci due volte e blocco di nuovo Laurie: per favore, possiamo fare una foto insieme? Lei acconsente, ormai penserà che è meglio assecondarmi come si fa con i matti. Allungo la digitale alla persona che è più vicina a me, la collaboratrice carina che era sul palco e le chiedo se può scattare lei la foto. All’ultimo momento, sorrido e alzo il pugno: non credo che la rock star se ne accorga, ma il Giornalista Organizzatore e il suo entourage si: stanno lì fermi, osservandoci con le bocche spalancate. La foto è fatta ma non si muove nessuno. Allora riprendo la mia macchinetta ringraziando la ragazza, stringo di nuovo la mano a Laurie, esco e sparisco nel più rosso dei tramonti romani che abbia mai visto: devo essere impazzita, immagino di avere la maschera di V il Vendicatore sul viso mentre cammino verso Villa Celimontana canticchiando sottovoce “hey babe, take a walk on the wilde side, hey honey…”

3 Responses to “I Lunedì dell’Arcipelago - Compagna Laurie (Anderson)”

  1. 鞐 鞀る媹旎れ Says:

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    google_adset(’Web_Sub_view_in_200×200′,’C');박인비는 올해의 선수 포인트 9점을 보태 63점으로 이 대회 전까지 선두였던 페르닐라 린드베리(스웨덴)를 3점차로 따돌리고 1위에 올랐다….

  2. 韥措 旄?鞎勳繝鞎?鞀堨 Says:

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    마지막 18번홀(파4)에서 버디를 잡아냈지만 로리 매킬로이(북아일랜드)의 벽을 넘지 못했다….

  3. 氚滊Μ 鞀る媹旎れ Says:

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    오세근 외 선두 DB의 주축인 버튼과 올 시즌 경기당 23점 이상을 넣으며 맹활약 중인 사이먼 등 외국인 선수도 MVP 유력 후보다….

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