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Antonio Pennacchi - Teoresi della città nuova

Categoria: Interpretazioni
Postato da: zaphod

Da: Fascio e martello. Viaggio per le città del Duce, 2008, Laterza, Roma-Bari.

TEORESI DELLA CITTA’ NUOVA

(Che cos’è una città di fondazione. Quante e quali sono – e quali no – le Città del Duce)

 

 

 

1 – Teoretica e casistica

 

Manca, allo stato, un Regesto completo delle fondazioni in Italia degli anni Trenta. Non sappiamo ancora, in pratica, esattamente quante erano: né quante, né quali, né come, né dove. Uno studio sistematico del fenomeno delle città nuove nel suo complesso non è mai stato fatto[1]; pure De Felice lo bypassa tranquillamente. L’unica eccezione è rappresentata da Mariani e Nuti-Martinelli[2] che – con tutti i limiti e pregiudizi che è pure troppo facile riscontrare oltre vent’anni dopo – finivano per canonizzare un elenco di 12 città nuove italiane così composto: LITTORIA, SABAUDIA, PONTINIA, APRILIA, GUIDONIA, POMEZIA, MUSSOLINIA, CARBONIA, FERTILIA, TORVISCOSA, ARSIA e POZZO LITTORIO. 

Questo elenco diventa vangelo e chiunque decida d’accostarsi in seguito alla questione – pure da Oltreoceano[3] – lo assume come vero e proprio canone. Da lì non ci si scosta: 12 sono e 12 rimangono[4]. E’ un canone, però, in cui sembra proprio che l’unico elemento omologante – l’unica valenza tassonomica – sia costituito dalla griffe dei progettisti o dalla notorietà dell’insediamento che, come si sa, pur se assai importanti non fanno scienza: la scienza è un’altra cosa. In quell’elenco stanno difatti, assieme a realtà fondate come villaggi ed evolutesi poi in comuni (Arsia e Mussolinia), sia comuni evolutisi in province (Littoria), sia province rimaste comuni (Carbonia, che è diventata provincia solo nel 2005), sia realtà concepite come centri comunali e realizzate come tali (Sabaudia, Aprilia, etc.), sia centri comunali rimasti poi per sempre semplici frazioni (Fertilia e Pozzo Littorio). Non appare quindi essere la funzione amministrativa – né quella di progetto, né quella di eventuale ed effettiva realizzazione – il carattere distintivo della città nuova; e comunque nelle stesse condizioni ce ne stanno tante altre: Segezia ed Icoronata, nate proprio come centri comunali, sono oggi piccole frazioni al pari di Fertilia, mentre San Cesàreo, nato come borgo rurale, è oggi un comune (al pari di Arsia e Mussolinia) con più di 7.000 abitanti.

Se non è quello amministrativo, qual è quindi il criterio giusto? Forse quello delle grandezze, ovvero un borgo si distinguerebba da una città solo perché piccolo? Ma Fertilia – poche centinaia d’abitanti – può forse dirsi grossa? Arborea già Mussolinia pure? Mentre Latina Scalo già Littoria Stazione – nato come semplice borgo di servizio con esattamente quattro caseggiati quattro agli angoli di un incrocio, ma che adesso fa 20.000 abitanti – è solo un “borgo”? Così pure Borgo Podgora, Borgo Hermada (4.000), Lamezia Terme e tutti gli altri? Anche le “grandezze” quindi non sono un criterio affidabile: quando si fonda una città è quasi sempre piccola all’inizio, poi può crescere, può anche morire subito, oppure può starsene tranquilla nel suo bozzolo chissà per quanti anni, e poi lussureggiare all’improvviso come Incoronata, che ha cominciato a svilupparsi solo adesso.

La questione è quindi definire con esattezza il concetto di città di fondazione in termini rigorosamente teoretico-qualitativi e non metrico-quantitativi: la specie e non il numero, le qualitates e non le quantitates. A questo scopo appare ancora oggi abbastanza esaustiva la definizione di Pierotti[5], secondo cui il “concetto discriminante che serve particolarmente nel caso delle città di fondazione [è] l’esistenza o meno di un problema-città. Un problema-città esiste quando la creazione di un nuovo insediamento ha come scopo esclusivo o prevalente la costituzione di un nuovo organismo urbano, pensato nelle sue specifiche articolazioni costruttive e funzionali”. Questo esclude sia ogni insediamento sorto per sinecismo o aggregazione spontanea e poi razionalizzato – quella che Giovannoni chiama cioè Gewordene (città divenuta) rispetto a Gegründete (fondata)[6]  sia ogni lottizzazione tipo Torvaianica o la costa del Circeo che non preveda dal suo sorgere articolazioni funzionali e spazi pubblici e di socializzazione. Non è però tassativa la presenza ante quem di un piano regolatore. Anche a partire dall’antichistica – anzi, proprio a partire dall’antichistica e da Fustel de Coulanges – quello che caratterizza e definisce la città di fondazione è la presenza e constatazione di uno schema programmatico che, anziché su strade come fa un piano regolatore, suddivida e attribuisca funzioni e spazi (pubblico dal privato, civile dal religioso, residenziale dal produttivo e aperto dal chiuso) per semplici linee, con squadro, paline e allineamenti. Questa è la città di fondazione a partire dai tempi di Ippodamo di Mileto[7] (dice: “Ancora con st’Ippodamo di Mileto, ma si può sapere chi cazz’è?”. E’ un architetto del V sec. a.C., il primo vero urbanista della storia), e sono quindi a pieno titolo città di fondazione tutti i borghi dell’Agro Pontino, embrioni di urbanizzazione pensati ab origine nelle specifiche articolazioni funzionali, sia pubbliche che private, ancora anni prima che si ipotizzi la nascita di Littoria. E’ su questi borghi inoltre – e non nelle aule universitarie o al Ciam – che i tecnici dell’Onc (Opera nazionale combattenti) costruiscono man mano e sul campo il modello progettuale complessivo della città di bonifica, modello che diverrà poi canonico sino a venire esportato dappertutto, da Aprilia e Pomezia alla Puglia, Sicilia e Libia.

Accanto a questo s’aggiunge però un altro e fondamentale discrimine – non essendo data la città solo dagli edifici, vuoi pubblici o privati, e dal reticolo delle strade – per la corretta individuazione delle città di fondazione.

La città è soprattutto un fatto antropologico: essa è data dalla gente che ci sta dentro, dalle relazioni che le persone intessono, dalla loro cultura, dal loro patrimonio condiviso di storie, di memorie, di miti e di riti che ne fanno, appunto, una communitas – piccola o grande che sia, e piccolo o grande che sia quel patrimonio condiviso – specifica ed individua, diversa da tutte le altre. La città è un organismo vivente – un organismo biologico – e non solo perché di anno in anno cambia e muta negli edifici, cambia e muta nelle strade; ma soprattutto perché cambia e muta nelle persone, nella sua propria storia, nella sua communitas. Chiunque viva nelle città nuove non può non finire in qualche modo per partecipare del mito della fondazione, poiché è da lì che nascono – e traggono comunque e costante alimento – sia la communitas di cui egli fa parte sia la sua stessa e specifica identità personale (stante l’assunto aristotelico che, senza gli altri, un uomo non è uomo: tu sei soltanto le tue relazioni).

Ma se la città non è che un organismo biologico, la città nuova non può essere che un “nuovo organismo biologico. Unico e individuo. Prima non c’era e adesso c’è. Una “nuova” communitas, una nuova scintilla di vita. Ed è per questo che i decentramenti – o i nuovi quartieri d’espansione delle vecchie città – non sono città nuove. Mica ci dovrebbe volere il mago per capirlo[8].

L’Eur quindi è bellissimo, la Città universitaria pure ed anche il Tiburtino terzo. Ma sono Roma. Come è Roma sia Ostia Lido che Primavalle (forse Acilia no, perché sembrerebbe avere tutti i caratteri socio-economici di una “nuova colonia rurale”; però bisognerebbe approfondire meglio). Certo l’Eur, il Tiburtino terzo e Primavalle hanno pure e sicuramente caratteri che ne definiscono una precipua individualità sociale e collettiva, ma in quanto sottogruppi – communitas di quartiere cioè, non di città – poiché non trattasi che d’un normale fenomeno di crescita della città di Roma: sono nuovi rami che escono dalla stessa pianta e dalle stesse radici, e che pertanto partecipano dello stesso e fondante mito di Romolo e Remo.

La città nuova invece è una piantina o addirittura un seme solo – come il Villaggio di Sessano, ora Borgo Podgora – che viene piantato ex abrupto dalla sera alla mattina, poi, se Dio vuole, cresce, s’assesta e diventa una pianta grossa come Latina Carbonia e tutte le altre. Oppure rimane mingherlina come Segezia e Borgo Cervaro, o proprio muore come Tavernola. Ma è una cosa nuova, una cosa che prima non c’era.

Un discorso a parte è poi quello delle “rifondazioni”, o costruzione di nuove città su insediamenti preesistenti, anche se demoliti alla bisogna a fundamentis. Qui l’analisi andrebbe fatta nello specifico e caso per caso, perché un paio di maniche sono evidentemente Tresigallo e Torviscosa – già Torre di Zuino – dove alla rifondazione muraria corrisponde quella socio-antropologica con l’intera mutazione demografica stessa, oltre che economica e di classe: insieme ai muri cambiano le persone fisiche, quello di cui vivono e soprattutto il lavoro che fanno; prima era agricoltura e dopo industria. Un altro paio di maniche è invece Bacu Abis vicino Carbonia, che villaggio minerario era e – pure se ristrutturato, ammodernato e ampliato quanto vuoi – sempre villaggio minerario rimane, sempre Bacu Abis. E anche qui non ci dovrebbe volere un mago. Ma vallo a far capire tu, se sei capace, a certi professori d’architettura.

Diverso ancora è il caso della rifondazione di paesi o cittadine come Acquedolci in provincia di Messina – o Salle in provincia di Pescara, che però allora venne chiamata Salle del Littorio – distrutte dal terremoto e ricostruite altrove. Ora è chiaro che la communitas che si sposta nel nuovo centro è – in termini fisici – la stessa che c’era già prima, e che a buon bisogno s’è pure portata appresso la statua del santo patrono sottratta alle rovine della chiesa e tutte quante le sue storie. Ma è altrettanto chiaro che nel suo “sentimento” – nel modo cioè di sentirsi e percepirsi communitas – non è più quella di prima ma una communitas nova, che “nasce” esattamente nel travaglio della distruzione abbandono ed esodo nel nuovo centro. E’ quell’exodus, che ne fa una communitas ed una città nuova. Esodo rivissuto, a Salle del Littorio, ogni volta che ci si affacci sulla valle e si vedano al di là – a meno di due chilometri in linea d’aria, ma sul costone di un’altra montagna, quella di fronte – le rovine di Salle Vecchia. Sono città nuove, semi staccatisi come figli da una vecchia pianta, ma germogliati e cresciuti come nuove piante altrove. Li avessero ricostruiti sul vecchio sito – e mancando quindi dell’esodo – sarebbe stato forse diverso.

L’ultimo caso – ma è proprio solo un caso “di scuola” – è quello di Latina-Littoria e Mussolinia di Sardegna (che oggi si chiama Arborea) ed è riferito più che altro alle loro effettive datazioni. Tutti i testi – a partire già dall’agiografia di regime – proclamano difatti a viva voce il 1928 per Mussolina e il 1932 per Littoria. In realtà nel 1928 viene imposto solo il nome di Villaggio Mussolini – che poi cambierà in quello di Mussolinia di Sardegna due anni dopo, nel 1930, contestualmente alla sua elevazione a comune – al Villaggio Alabirdis che era stato da poco costruito come ampliamento ed espansione del primiero centro colonico Alabirdis (o Ala Birdis) realizzato nel 1924-25. Sarebbe quest’ultima quindi – in termini filologici – la datazione corretta della fondazione. A Littoria invece, al di là della datazione stessa, si tratterebbe di capire se trattasi davvero di nuova fondazione o semplicissima rifondazione. Essa nasce difatti nel 1932, ma sulle spoglie del Villaggio del Quadrato che era stato costruito solo nel 1926. E’ il Quadrato quindi la vera e prima fondazione, anche perché il piano regolatore di Frezzotti per la nuova Littoria del 1932 – che pure comporterà il radicale abbattimento di tutti tutti gli edifici del Quadrato – finirà per non obliterarne, ma anzi per assumerne interamente l’impianto urbanistico, con gli stessi allineamenti e lo stesso reticolo delle vie, gli stessi allineamenti. Sarebbe il 1926 quindi la vera data di fondazione della città nuova – pure se non si chiamava Littoria – e non il 1932 come sono abituati a festeggiare a Latina. E non c’era il Duce purtroppo – anzi, non c’era un cane: giusto qualche operaio e un geometra forse – quando hanno gettato in mezzo al fango la prima pietra. Ma chi glielo va a dire mo’, ai postfasci di Littoria? Io – per non avere discussioni – ho lasciato negli elenchi il 1928 per Mussolinia e il 1932 per Littoria come proclama tutta la bibliografia. Ah, non mi fregano. Dice: “Ma non è giusto, tu lo devi cambiare”. Essì, no? Ecché, so’ scemo? Così ricominciano a dire: “Ecco, mo’ è arrivato lui e bisogna ricambiare tutto quanto: ma chi si crede di essere? Mo’ ci vuole levare pure il 18 dicembre?” (che è il giorno che loro festeggiano e che peraltro non era quello della fondazione – o per dire meglio “rifondazione”, che comunque avvenne il 30 giugno 1932 – bensì quello della inaugurazione). Se lo tenessero.

 


[1] Né possono definirsi tali gli improvvidi tentativi che, dopo il 2003, hanno fatto seguito a questo lavoro.

[2] Cfr. MARIANI, cit.; NUTI-MARTINELLI, cit.

[3] Cfr.: GHIRARDO-FORSTER, cit.

[4] Per la verità, Maria Luisa MADONNA aveva già operato nel 1985 una ricognizione più a largo raggio delle 12 canoniche, censendo anche le fondazioni di area pugliese, Tresigallo, Mussolinia di Caltagirone e alcuni Borghi di Sicilia. Alla fortuna di questo articolo non dovette però probabilmente giovare l’inserimento in una più vasta miscellanea di Studi in onore di Giulio Carlo Argan (cfr. FAGIOLO-MADONNA, “Le città nuove del fascismo” in: Studi in onore di Giulio Carlo Argan cit., pp. 339-397), di problematica diffusione. Il sottoscritto – per sua colpa naturalmente – si dispiace di averne potuto prendere visione solo a babbo morto, dopo che l’edizione Asefi-2003 era già uscita.

[5] PIEROTTI, “Le non-città della ragione”, cit. Cfr. pure: P. PIEROTTI, Urbanistica: storia e prassi, Firenze 1972.

[6] Cfr. G. GIOVANNONI, Vecchie città ed edilizia nuova, Torino 1931, p. 9.

[7] Cfr.: P. SOMMELLA, Corso di Topografia e urbanistica del mondo classico, a.a. 1989-90; Id., Italia antica. L’urbanistica romana, Roma 1988; ma cfr. pure: CASTAGNOLI, cit.; MARTIN, cit.; GIULIANO, cit.; TORELLI-GRECO, cit.

[8] Più di qualche docente universitario non sembra però riuscirci proprio, finendo magari per catalogare come “città nuova” pure il Villaggio della Rivoluzione a Bologna, che altro non è che il quartiere d’espansione di Via Irma Bandiera, all’immediato ridosso delle mura e poco prima dello Stadio Dall’Ara. Prima – ripeto – non dopo il Dall’Ara. Ma per loro non è Bologna, è “città di fondazione”. Poi paga le tasse, tu.

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