28 Maggio - Raccontare è rituale.
Categoria: Assaggi, suoni, visioni e letture
Postato da: Faust Cornelius Mob
Giulietta Banzi Bazoli, anni 34, insegnante
Livia Bottardi Milani, anni 32, insegnante
Euplo Natali, anni 69, pensionato
Luigi Pinto, anni 25, insegnante
Bartolomeo Talenti, anni 56, operaio
Alberto Trebeschi, anni 37, insegnante
Clementina Calzari Trebeschi, anni 31, insegnante
Vittorio Zambarda, anni 60, operaio
Questi sono i nomi delle sette vittime dell’attentato di Piazza della Loggia, Brescia, 28 maggio 1974. Oggi, come ogni anno, si commemorava la strage. Questa mattina, come ogni anno da quando ne avevo quattordici, sono stato in Piazza della Loggia. La vita, inutile negarlo, è costellata di rituali che, con diversa frequenza, scandiscono il passare degli anni. Io non faccio eccezione, specialmente il 28 di maggio. Mi alzo, prendo il caffè, percorro Via Milano a piedi. Passo rigorosamente sul lato destro della statua di Garibaldi a cavallo, nella piazza omonima, attraversando gli assembramenti di studenti che da lì partono per il corteo. E’ quando entro in Piazza della Loggia che, tuttavia, ha luogo il rituale più importante. Entro sempre da Piazza Rovetta e, subito, attraverso la piazza in diagonale fino ad arrivare al monumento. Per un attimo, solo per un attimo, guardo il monumento, le prime corone di fiori portate dalle associazioni, i nomi incisi sul marmo scuro. Subito dopo, il secondo caffè all’Oste Sobrio, il locale di mio cugino. Due chiacchiere veloci, poi lui torna a servire i clienti e io torno in piazza. E’ allora che, alla spicciolata, arrivano le facce. Facce familiari, di cui magari, spesso, nemmeno conosco il nome, ma che tutti gli anni saluto e con cui, tutti gli anni, mi fermo a levare la ruggine da certi vecchi pensieri. Chi è stato? Lo sapremo mai? Probabilmente no, ma parliamo, parliamo, parliamo e, soprattutto, ci raccontiamo. Siamo lì per quello, per raccontarci anno dopo anno. Il lavoro, la vita, l’attività politica. Poche parole per sapere come va, poche parole per sapere che ancora ci siamo e che, ancora, non abbiamo mollato.
Questo, io credo, è il senso profondo di Piazza della Loggia nel giorno del 28 di maggio di ogni anno. Noi che, chi perché lo ha vissuto e chi perché ha capito cosa significa, pensiamo che sia giusto continuare nel tempo la presenza e il pensiero, noi che vogliamo continuare a raccontare. Sì, perché è solo raccontandoci che siamo sicuri di continuarci nel tempo, solo attraverso la parola che passa di bocca in bocca, solo attraverso la memoria che passa di anno in anno siamo sicuri di dare a quello che facciamo un senso che vada oltre le nostre vite intese in senso individuale, solo così possiamo sperare di lanciare i nostri sentimenti e il nostro pensiero oltre il nostro sembiante fisico. Solo così. Sempre chiedendo, sempre ragionando, mai dimenticando, perché quel che si perde nella memoria muore del tutto, mentre quel che ci sforziamo di ricordare resta, in qualche modo, vivo.
Dopo la piazza, dopo il vociare, dopo pettorine del sindacato, dopo gli stendardi delle brigate partigiane e le barbe bianche c’è il Caffè della Stampa, la luce del sole che batte contro i muri bianchi facendo brillare di tutti i colori degli stuzzichini che accompagnano il Campari rosso fuoco. Lì, con un vecchio amico facciamo, come tutti gli anni, il punto della situazione. Il lavoro, le donne, i casini e, perché no, i piaceri. Ancora una volta riprendiamo il filo del discorso da dove lo avevamo lasciato un anno prima e, da lì, ripartiamo per la tangente con la politica, con la filosofia, con l’arte e con le donne, finché non si fa una cert’ora e finiamo a casa sua a mangiare la polenta con il gorgonzola senza mai smetterla di parlare, senza mai smetterla di soddisfare quel bisogno che ci portiamo dietro come l’ombra scura che il sole ci fa proiettare d’estate. Senza smettere, insomma, di raccontarci, perché se Vittorio Arrigoni ci esorta a restare umani, finché ci ritroveremo intorno a un tavolo a parlare di politica, di donne, di problemi e di lavoro saremo, nel senso più ampio, proprio questo : esseri umani.
maggio 28th, 2012 at 22:27
Mi ricordo i segni sul marmo della colonna visti in occasione di un reading dell’Anonima di qualche anno fa. Giorni dopo ci siamo ritrovati a Milano in piazza Fontana e sotto la finestra da cui è precipitato Pinell. È passato quasi un anno prima di chiudere il cerchio davanti allo squarcio nella parete della Stazione di Bologna.
In Italia è facile imbattersi nella Storia a ogni angolo di strada e - come ci ricorda Faust nell’elenco all’inizio del suo ricordo - anche entrare a farne parte.
Che la terra vi sia lieve.