Anonima scrittori


Anonima Story: Modica Quantità - L’assoluzione

Categoria: Anonima Scrittori, Narrazioni
Postato da: Torquemada

[Dopo il progetto Rorschach, in Anonima Scrittori, c'era un po' di imbarazzo. Settimane di discussioni sul forum per decidere quale iniziativa fosse all'altezza di sostituire la prima. Eravamo affezionati al Rorschach e avevamo paura dell'ignoto. Solo che c'eravamo dati anche una scadenza - dodici 'macchie' per dodici mesi - e volevamo/dovevamo rispettarla. Un giorno arrivò un utente misterioso, tal Robert Hume - dopo anni vi sveliamo che dietro c'era un altro anonimo storico, quello che ci ha permesso di esistere, l'ideatore di tutti i siti dell'Anonima: MrWhy -, che propose di rivisitare i generi letterari in 2500 battute. L'iniziativa lanciava una sfida al moderno e al postmoderno, in contemporanea: una battaglia contro le parole in eccesso, passando attraverso i tanto vituperati generi letterari. Le discussioni sul Forum dell'Anonima Scrittori non finirono lì ma qualcuno dovette decidere e l'Anonima inventò il nome: Modica Quantità. Dall'approccio psicanalitico si passava all'approccio farmacologico alla scrittura. Si iniziò con le pillole gialle. Ed ecco uno dei racconti della prima tornata: L'assoluzione di Massimiliano 'Zaphod' Lanzidei e Vinicio De Marchis.]

L’assoluzione

Faenza. Duemilasei. Casa di riposo “Villa Serena”.
Padre Maurizio è alla fine del suo giro serale, se l’è lasciato per ultimo apposta, l’uomo è anziano e malato, il medico dice che forse non passerà la notte.
- Senti il bisogno di confessare qualcosa al Signore?
L’uomo è sdraiato nel suo letto. Lo sguardo, annebbiato dagli antidolorifici, si fissa negli occhi del prete.
La risposta arriva con lentezza, come soffocata da strati di ovatta: - Ho ucciso un uomo, padre.
Padre Maurizio si avvicina con la sedia: - Ti ascolto.

Roccasanta. Millenovecentocinquantasei. Domenica mattina. Presto.
In parrocchia c’è già movimento perché Don Giulio inizia di buon ora a ricevere i fedeli. Ne ha già confessati una decina quando dietro la grata si inginocchia la signora Maria Vittoria. Mancano ancora venti minuti alla messa delle otto e i parrocchiani iniziano a prendere posto nei banchi. La signora Maria Vittoria, ottantadue anni, è l’ultima persona del paese a vedere vivo il sacerdote.
Dieci minuti dopo è il turno della vedova Capecchi di percorrere il corridoio tra i banchi fino al confessionale. La donna saluta il parroco.
Don Giulio non risponde al saluto. La vedova Capecchi lo ripete a voce un po’ più alta.
Di nuovo nessuna risposta. Aspetta ancora un po’, poi prende coraggio, sposta la grata e guarda. L’urlo richiama l’attenzione di tutti i presenti che subito si accalcano intorno al confessionale.
Don Giulio è morto, il collo spezzato, la testa innaturalmente poggiata sulla spalla sinistra. Sono le otto meno tre minuti.
Il maresciallo D’ottavi dei carabinieri, che dall’ultima fila è stato il primo a raggiungere il cadavere, tiene a bada i fedeli fino all’arrivo dei suoi uomini e del dottore, segue le procedure per i rilievi e la rimozione del corpo e si occupa personalmente dell’interrogatorio di tutti i testimoni.
Tra la confessione della signora Maria Vittoria e quella della vedova Capecchi don Giulio non è uscito dal confessionale, e nessuno è stato visto avvicinarsi. Però tra lì e l’altare c’è la porta della sagrestia: l’unica soluzione possibile è che qualcuno sia passato da quella parte, che abbia ucciso il prete e sia uscito per la stessa strada.
Nei giorni seguenti gli uomini del maresciallo D’Ottavi interrogano negozianti e abitanti del circondario. Nessuno ha notato movimenti particolari o sospetti intorno alla chiesa quella domenica mattina. L’unico a rilasciare una dichiarazione significativa è Agostino Marrazzo, detto Capatosta, che sostiene di aver visto un uomo in soprabito scuro allontanarsi velocemente in direzione della provinciale.
Dapprima questa testimonianza viene ignorata dai carabinieri, perché non trova riscontro in nessun altro testimone, ma soprattutto in virtù del fatto che Capatosta non verrebbe considerato attendibile da nessun tribunale. Agostino Marrazzo crede di essere il sindaco del paese, vive dell’elemosina dei compaesani, e un paio di domeniche prima è stato fermato proprio dal maresciallo D’Ottavi mentre camminava per il corso vestito solo di un paio di stivali.
Quando, dopo una settimana di indagini, non emerge alcun fatto nuovo il maresciallo D’Ottavi invia lo stesso il suo rapporto al procuratore menzionando la deposizione di Capatosta sullo sconosciuto vestito di nero, evitando però di raccontare ulteriori particolari sul testimone in questione.
Alla fine il magistrato archivia tutto in un fascicolo “contro ignoti”.

- Ho ucciso io don Giulio, padre.
- Ma perché?
- Perché era un bastardo: mio figlio aveva solo sette anni quando iniziò il catechismo: non potevo permettere che continuasse anche con altri bambini.
- Stai calmo, non ti agitare.
- Non ho molto tempo, padre, non voglio portarmi questo peso nella tomba.
- Ma nessuno ha sospettato di te?
- No, quella mattina alle otto io ero a caccia con altri due amici.
- Hanno mentito per te?
- No, loro non sapevano nulla: io don Giulio l’avevo ammazzato prima, ero entrato in sacrestia prima ancora che facesse giorno, gli ho rotto il collo come a un coniglio, poi l’ho messo nel confessionale e sono andato a caccia.
- Ma le persone che si sono confessate? Loro come hanno fatto a non accorgersene?
- Eravamo tutti d’accordo, padre. Hanno fatto tutti finta, anche la vedova Capecchi che ha recitato la scena madre del ritrovamento. Sono tutti morti, ormai, l’unico a conoscere tutta la storia è lei, padre.
- Figliolo, sei pentito del tuo gesto?
- Padre, lo rifarei anche domani.
- Sai che il Signore in questo caso non può perdonarti?
- Spero che non abbia perdonato nemmeno lui.

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