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Antonio Pennacchi recensisce “Qualcosa di scritto” di Emanuele Trevi

Categoria: Antonio Pennacchi, Interpretazioni, Pennacchi, Sulla letteratura
Postato da: Torquemada

Uno dei libri più belli di questa edizione 2012 del premio Strega è sicuramente Qualcosa di scritto di Emanuele Trevi (Ponte alle Grazie). Parla di Pasolini, di Petrolio, dei tempestosi rapporti del giovane Trevi – allora ai primi suoi lavori di ricerca – con l’odiamata Laura Betti, la nume tutelare del mito e dell’archivio di Pier Paolo Pasolini, chiamata qui spesso, però, semplicemente “la Pazza”. Qualcosa di scritto è quindi un romanzo metaletterario, un libro cioè che per poter parlare della vita parla di un altro libro, e parla della letteratura e soprattutto delle idee che della vita e della letteratura s’è fatto Emanuele Trevi.

Queste idee non sono esattamente le mie, anzi sono proprio l’opposto (lui non è un narratore – o almeno così dice – ma un critico-letterato che aborre il “roman de geste“, che provo invece a fare io), ma sono scritte in maniera stupenda, tanto che alla fine emergono non solo tutti i suoi tormenti ed angosce, ma pure la soavità dell’animo suo.

Il libro, peraltro, non sembra essere stato accolto molto bene dai sacerdoti e cultori del mito di PPP, che hanno sempre ricercato e preferito nella costruzione di questo culto acritico – ideologico quasi, più che estetico – le “lectio difficilior” e le spy-stories. Trevi fa un lavoro diverso: non va a cercare fuori da Pier Paolo Pasolini e dalla sua opera – nelle spy-stories appunto, nelle lectio difficilior – le risposte, le ragioni e gli esiti che possono già trovarsi tutti, con “lectio facilior” da buoni filologi, dentro la vita e l’opera di PPP. E allora Petrolio diventa quello che davvero è: un romanzo – o l’abbozzo d’un romanzo – ma niente più di questo, su cui l’approccio dovrebbe quindi essere di esclusiva natura estetica e non spionistico-esoterica. Non è difatti il libro dell’Apocalisse o le profezie di Nostradamus, e tanto meno è il rapporto riservato di un servizio di controinformazione. Non c’è un solo segreto là sopra – ed Emanuele Trevi lo dimostra pagina per pagina, vuoi per Cefis vuoi per l’Eni – che Pier Paolo Pasolini non abbia attinto da giornali o libri abbondantemente pubblicati già all’epoca. La valenza di Petrolio è quindi solo estetica, o eventualmente di costume. Volerci cercare per forza qualcos’altro – magari la risposta a qualche Grande Mistero della Repubblica – è solo da creduloni, ossia roba che non sta più nella sfera estetico-letteraria, ma in quella magico-religiosa. Stop.

Certo rimane pesantemente sub iudice se il Pelosi fosse solo o ci fosse anche qualcun altro insieme a lui, quando Pier Paolo Pasolini venne ammazzato. Ma anche in questo caso la lectio facilior – il cercare spiegazioni o risposte, per quanto dolorose, dentro i sentieri stessi, per quanto oscuri, della vita e delle opere dell’autore – porta decisamente a escludere ogni fumisteria estrinseca, spionistico-complottesca. Senza voler citare per forza Salò o le 120 giornate di Sodoma, è purtroppo chiaro a tutti che dentro Pier Paolo Pasolini convivessero sia l’anima eccelsa d’un grande poeta ed artista, sia i più disperanti istinti dell’autodistruzione.

Di quegli istinti e di quelle angosce, Emanuele Trevi si fa interprete fedele e immedesimato, prima ancora che esegeta critico. Non è un detrattore di PPP: egli lo ama con tutto l’amore dell’empatia, ma lo toglie finalmente dagli altarini dorati dei maghi-cultori di professione, per restituirlo alla sua vera natura di uomo e d’artista. Ma è da quella specifica e inscindibile natura di uomo e d’artista – angosciata e sofferta, sublime e disperante fino all’autodistruzione – che si sono prodotte sia le sue opere (e io credo fermamente che Accattone per esempio, o Edipo re, siano opere immortali), sia la sua vita e la sua morte.

Sia chiaro però, infine, che il libro di Emanuele Trevi, Qualcosa di scritto, non è palloso come questa recensione. Il libro è scritto bene – è “soave” appunto – ed è pure divertente, specie tutte le volte che appare “la Pazza”, Laura Betti; e menomale che appare spesso. Trevi s’offenderà, ma lì sembra proprio un “narratore” vero, che tra sfuriate, incidenti, crisi isteriche e persecuzioni deliranti costruisce un monumentum perenne alla sua amata, anche se terrifica, eroina. Secondo me, è uno stupendo soggetto cinematografico (ma deve essere un film leggero; non lo faccia fare a quelli che penso io).

One Response to “Antonio Pennacchi recensisce “Qualcosa di scritto” di Emanuele Trevi”

  1. zaphod Says:

    Ok… adesso Trevi è entrato nella cinquina dello Strega. L’anno scorso Pennacchi ha portato fortuna a Edoardo Nesi….

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