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Savile Row - Brusco risveglio

Categoria: Assaggi, suoni, visioni e letture, Narrazioni, Savile Row di Stefano Cardinali
Postato da: zaphod

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[Un nuovo capitolo per il viaggio di Stefano Cardinali tra musica ed esperienze degli anni '70 e non solo.]

A mia madre Fausto non è mai piaciuto.
- Certo che me lo ricordo: era il più brutto tra i tuoi amici.
- Io mi ricordo che con le ragazze aveva un discreto successo - provo a difenderlo.
- Era anche un gran maleducato: non alzava mai la tavoletta del water - mi dice mentre mi restituisce la foto che ci ritrae insieme. - E dopo non si lavava nemmeno le mani! - aggiunge per rafforzare la sua posizione.
Ho capito, oggi non è aria.
Non ho mai fatto caso alle cattive abitudini di Fausto in bagno anzi è probabile che a quei tempi mi comportassi anche io così. Adesso vattelo a ricordare! Di lui mi aveva colpito la curiosità per ogni argomento, molla che lo spingeva ad approfondire tutto, tanto da arricchirlo di conoscenze che amava poi condividere con gli amici. E l’ho sempre ritenuto un esempio per la lealtà con cui gestiva ogni rapporto.
Ci conoscemmo in palestra alla selezione per la squadra di basket della scuola che partecipava al campionato tra istituti. L’amore per lo sport e per la musica ci portarono a frequentarci e ben presto fui contagiato anche io dalla sua voglia di fare nuove scoperte. E grazie a lui capii che nel panorama del progressive rock italiano non esistevano solo Banco e PFM.

- Devi ascoltare Le Orme - più che un consiglio, un ordine.
- Guarda che li conosco. L’anno scorso Sguardo verso il cielo mi ha fatto due palle così e adesso sta succedendo la stessa cosa con Gioco di bimba. Non esiste jukebox che non la suoni - respingo così il suo suggerimento.
- Non puoi giudicarli per quei brani. Quelle sono le canzoni uscite sul 45 giri, sono i pezzi commerciali per farsi conoscere. Gli LP sono un’altra cosa, credimi - e se lo dice Fausto, bisogna dargli retta. - Ti presto la cassetta dove ho registrato Collage e Uomo di pezza. Devo farti ricredere.
Mi ricredetti e così nel 1972 Le Orme entrarono nella mia collezione discografica nonostante le riserve che ho ancora oggi sui loro brani più orecchiabili. Mi piaceva il fatto che tre soli elementi - Aldo Tagliapietra, voce, basso e chitarra, Toni Pagliuca, tastiere e Michi Dei Rossi, percussioni - fossero in grado di produrre un suono così ricco. Le loro melodie spesso rievocavano costruzioni classiche e entrarono a pieno titolo nel cosiddetto rock progressivo italiano come accadeva alla PFM e al Banco, con la differenza che questi ultimi si avvalevano rispettivamente di cinque e sei elementi. Un po’ quello che succedeva con Emerson Lake & Palmer, con altri timbri ma con un risultato ugualmente originale.

Alcuni mesi dopo il nostro primo incontro Fausto conobbe Ines, cugina di Paola, la sua compagna di banco. Fu amore a prima vista, intenso ed esclusivo, tanto che la coppia si isolò dal resto del mondo e i nostri incontri si diradarono fino a limitarsi ai soli allenamenti con la squadra. Da Paola seppi poi che Fausto aveva cominciato a frequentare la casa della ragazza e che spesso era invitato a pranzo proprio dai suoi genitori.
Nel 1973 la nostra scuola vinse il torneo provinciale e l’anno seguente - chissà per quale strano motivo - fummo scelti per rappresentare l’Italia al campionato mondiale studentesco di Barcellona. Non è che sulle maglie della nostra divisa ci fosse stampata la scritta ROMA, no, c’era proprio scritto ITALIA con lo scudetto sul petto e i bordi delle maglie ornati dal tricolore. Eravamo noi gli azzurri, con tanto di inno nazionale prima di ogni gara!
Il viaggio fu indimenticabile: in treno fino Genova e poi imbarcati alla volta della Spagna. Per molti di noi si trattava del primo tragitto in nave e addirittura della prima volta che andavamo all’estero. Arrivati a Barcellona fummo suddivisi in camere doppie. Fausto e io chiedemmo di sistemarci insieme e, con Ines lontana, la nostra amicizia ritrovò in poche ore la vecchia complicità. Per dieci giorni la nostra vita si trasferì in una dimensione di cui avevamo solo sentito parlare, schiavi di uno sport che amavamo ma senza un’ora di tempo libero. Ci allenavamo mattina e pomeriggio, giocavamo una partita ogni due giorni e negli spazi vuoti andavamo ad assistere agli incontri tra le altre nazionali. La sera arrivavamo in camera talmente stanchi che ci addormentavamo sempre con la musica accesa. E si, perché Fausto aveva portato con sé il mangianastri e uno zaino pieno di cassette con almeno due chili di batterie di scorta. Anche Le Orme - che nel frattempo avevano sfornato quel capolavoro di Felona e Sorona, un concept album che ebbe un ottimo riscontro di pubblico e critica tanto da essere pubblicato anche in inglese per il mercato internazionale con Peter Hammill dei Van Der Graaf che collaborò alla traduzione dei testi - ci accompagnarono per tutto il tempo nella nostra trasferta catalana. Fin dalla prima partita Fausto portò negli spogliatoi il suo mangiacassette e, visto che all’esordio stracciammo la nazionale turca, da quel momento il festoso brano Felona
P divenne ufficialmente la canzone portafortuna della squadra.
Il nostro campionato si concluse con un’onorevole sesto posto tra le sedici squadre partecipanti. La sera prima del ritorno in Italia fummo invitati a una festa in discoteca da alcune ragazze di una comunità italiana che avevano seguito le nostre partite. Io accettai con entusiasmo mentre per convincere Fausto faticai parecchio.
- Dai, vieni con noi, è la nostra prima serata libera e domani torniamo a casa!
- No, non me la sento. Sono stanco e poi a Ines non farebbe piacere.
- Non facciamo niente di male. E poi non sarò certo io a raccontare alla tua ragazza della nostra uscita in discoteca!
- Tu no, ma io lo farei di certo. Sono sicuro che lei me lo confesserebbe.
- Ecco, vedi? Lei andrebbe a ballare e poi te lo direbbe. E tu, che hai fiducia in lei, non ti dispiaceresti. Perché voi vi fidate vero? - questa provocazione sembrò smuovere qualcosa. - Dai andiamo, non c’è niente di male - conclusi. Fausto confermò il suo no e io smisi di insistere.
Ero fuori del mitico Hotel Oriente - albergo dove avevamo mangiato in tutti e dieci giorni della nostra avventura catalana - già seduto nel taxi con la portiera ancora aperta quando il mio amico mi fece segno di aspettarlo.
Scomparve per alcuni secondi e si ripresentò col giubbotto in mano. Salì in auto e mi sorrise quasi addolorato. Solo al ritorno a Roma capii il significato di quella smorfia.
In discoteca lo vidi appartato su un divanetto in compagnia di una delle ragazze che ci avevano invitato poi cominciai a ballare e non feci più caso a lui. Verso le due decisi che ero stanco abbastanza per andare a dormire. Cercai il mio amico per avvertirlo ma non lo vidi. Mi convinsi che fosse già tornato in albergo ma, arrivato in camera, non lo trovai. Non ebbi il tempo di preoccuparmi perché crollai subito addormentato. Verso le sette lo sentii rientrare.
- E dire che ho dovuto faticare per convincerti a venire - bisbigliai con la voce impastata dalle poche ore di riposo.
- Poi ti racconto - rispose anche lui sottovoce. E si mise a dormire senza spogliarsi.
Alle nove squillò il telefono e visto che Fausto continuava a ronfare risposi io. Era Ines. Svegliai il mio amico strattonandolo e gli passai la telefonata. Lo sentii sussurrare poche risposte:
- Si, a ballare.
Pausa.
- Un po’ di gente.
Pausa.
- Beh, si, ce n’erano.
Pausa.
- Da poco.
Pausa.
- Quando torno ti spie… - rimase per un attimo imbambolato guardando la cornetta che mi consegnò senza dire nulla. Si girò dall’altra parte e si riaddormentò. Io, ormai sveglio, mi preparai e uscii. L’imbarco era previsto per le due del pomeriggio perciò feci colazione e mi unii ad altri compagni di squadra per un giro in città. Quando rientrai in albergo salii nella mia stanza e trovai Fausto che aveva preparato anche la mia valigia.
- Che fine hai fatto ieri sera? - chiesi incuriosito.
- Sono andato a casa di Martina, la ragazza con cui mi hai visto parlare e… - Fausto lasciò la frase in sospeso mentre si lasciava cadere sul letto.
- E…? - chiesi incalzandolo.
- …abbiamo fatto l’amore - aggiunse il mio amico con lo sguardo fisso al soffitto.
- E bravo il nostro fedele e sincero fidanzato modello! E adesso come ti senti?
- Come vuoi che stia? Con un peso sullo stomaco come la paella di ieri sera e con la preoccupazione per il dolore che ho provocato a Ines.
- Che “provocherai” a Ines - lo corressi io.
- No, che le ho già causato. Stamattina, appena sei uscito mi ha richiamato e le ho confessato tutto.
- Proprio non ce l’hai fatta ad aspettare di guardarla in faccia?
- Tu non puoi capire quanto sto male. Se le ho raccontato di questa notte è stato più per alleggerirmi la coscienza che per un eccesso di sincerità.
- Vedrai che Ines ti perdonerà questa distrazione spagnola - aggiunsi cercando di risollevarlo.
Fausto mi guardò senza rispondere. Si rialzò dal letto e chiuse la valigia.
- Scendiamo prima che ci facciano chiamare dalla reception. - disse. Poi prese il proprio bagaglio e uscì dalla stanza.
Sul pullman verso il porto cercai di riprendere il discorso ma trovai solo un muro. L’unica frase che mi concesse fu un attestato di affetto: - Ritrovare la tua amicizia mi ha riaperto gli occhi.

Fu Fausto a cercarmi dopo una settimana dal rientro a Roma.
- Ieri sera hanno ricoverato Ines - esordì accendendo una sigaretta. - S’è bevuta mezza bottiglietta di topicida.
- Come sta? - chiesi preoccupato.
- È fuori pericolo. Le hanno fatto subito la lavanda gastrica.
- L’avevi lasciata?
- L’avrei fatto presto. Le ho raccontato ciò che mi è successo in Spagna, che appena siamo sbarcati ho ricominciato a respirare aria di libertà. All’inizio pensavo che fosse l’entusiasmo per quello che stavamo vivendo invece, giorno dopo giorno, ho realizzato che l’essermi staccato da lei mi faceva stare meglio e più stavo bene, più soffrivo. Ho cercato di spiegarglielo e le ho chiesto del tempo per riordinare le idee. Lei è stata lì ad ascoltarmi fredda, quasi distaccata. Stamattina mi ha telefonato la cugina per avvertirmi dell’accaduto. - Fausto gettò la sigaretta a metà spegnendola con la suola.
- Sei andato a trovarla?
- No. È piantonata dai genitori e Paola mi ha detto che non è aria, che non vogliono vedermi più girare intorno alla figlia.
- Adesso cosa hai intenzione di fare? - domandai al mio amico.
- Niente. Provo pena per lei ma non posso nascondermi di avere riaperto gli occhi. Devo pensare a ciò che è successo e alle cause che l’hanno provocato. Quello che nutro oggi dopo il suo gesto mi ha confermato che, per quanto le voglia ancora bene, il nostro rapporto si è esaurito.

Ines si riprese in fretta: la tempestiva lavanda gastrica aveva limitato gli effetti dell’avvelenamento e la ragazza tornò alla sua vita normale. Del suo tentativo di uccidersi non si venne a sapere mai niente, tutelata dall’amore dei genitori e dalla discrezione di Fausto e mia.

- Guarda che anche tu in quell’immagine non sei venuto tanto bene - ora mia madre ne ha anche per me.
- Con i capelli lunghi e la riga da una parte eri proprio ridicolo.
Devo ammettere che stavolta ha ragione: sembro il serial killer di McCarthy impersonato da Bardem però con indosso la divisa della nazionale italiana.
Rimetto a posto l’album del basket nel cassetto della credenza.
- Quando te le porterai a casa tua sarà sempre troppo tardi!
Le sorrido. Succede così ogni volta: tiro fuori le fotografie per portarmele via e, dopo averle guardate, decido di lasciarle dai miei. - Le prendo la prossima volta, te lo prometto!
Ora è mia madre a sorridermi con sarcastica benevolenza. Sembra dire: è sempre la solita storia.

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