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Editoria Indipendente : AnonimaScrittori intervista La Ponga Edizioni

Categoria: Interpretazioni, Sulla letteratura
Postato da: Faust Cornelius Mob

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Le realtà indipendenti nel panorama editoriale e letterario italiano sono da sempre oggetto di interesse per Anonima Scrittori, specialmente se orientate al web. Realtà come La Ponga Edizioni, giovane e agguerrita casa editrice milanese intervistata, nelle persone dei fondatori Valerio Villa e Marcello Nicolini, da Stefano Tevini.

D: Presentatevi brevemente ai lettori di Anonima Scrittori
:

V: Mi chiamo Valerio, vago su questa terra da quasi 40 anni, sono sposato e ho un figlio stupendo. Leggo, scrivo, vedo, ascolto e mangio. Tutte cose che mi aiutano a capire meglio quel che mi circonda. Per il resto tutto nella norma. Ti ho già detto che ho un figlio stupendo?

M: Marcello, Marcy. Ho già intrapreso una strada simile a questa dell’editoria nel campo della musica – con il progetto blackmetal Orcrist – molti anni fa. So che non è facile. Con queste conoscenze e questa consapevolezza cerco di fare del mio meglio per caro mustelide (la ponga n.d.me).

D: Quali sono il senso e la particolarità del vostro progetto editoriale? Cosa vi distingue dagli altri editori indipendenti?

V: Il grosso catalogo non ci interessa. Altre case editrici, anche grazie al digitale, pubblicano tanti di quei titoli durante l’anno, che c’è da chiedersi se sia proprio necessario. A noi non interessa. Pochi ma buoni, ma soprattutto diversi, pronti a rischiare. Magari siamo azzardati, ma la nostra ricerca del non convenzionale è quello che vorremmo come caratterizzazione. Dai contenuti alla veste grafica.

M: Personalmente vorrei cercare di fare non più di quattro, cinque titoli all’anno. Cinque titoli ben selezionati. Storie originali.

Per esempio, stiamo cercando il primo titolo per la nostra collana fantasy ed è come trovare un ago di Hobbit – quindi più piccolo – in un pagliaio grande come la Contea.

Di titoli ce ne arrivano, ma l’originalità è piuttosto bassa.

D: Qual è il vostro giudizio sul panorama attuale della piccola editoria in Italia?

V: Si pubblica tanto, troppo. E in un paese in cui i soldi per i libri sono sempre di meno questo non è un bene. Soprattutto se gli autori esordienti non «investono» nei loro colleghi. Davvero, io mi chiedo sempre più spesso quanti, di coloro che pubblicano con noi piccole case, compra i nostri libri.

M: I piccoli editori si propongono – quasi tutti – come alternativi, indipendenti, e con altri appellativi del genere. Poi nei loro cataloghi vedi gli stessi tipi di narrativa che vedresti su quelli dei grandi editori.

Ergo: zero innovazione. Zero voglia di mettersi in gioco e rischiare.

D: La vostra opinione sull’editoria a pagamento?

V: Esiste, è legale, sta alla gente capire che non esiste al mondo che chi fa il lavoro non venga pagato ma debba pagare. Come se io apro un ristorante e  lo chef mi dovesse pagare un affitto per la cucina o le spese al supermercato.

M: Editoria a pagamento? Se io editore mi faccio pagare da te per stampare il tuo libro e distribuirlo, vuol dire che nel tuo libro non ci credo e che magari non l’ho neanche letto, tanto non rischio!

Se uno scrittore vuol proprio pubblicare – e nessun editore “tradizionale” lo vuole – perché non auto-pubblicarsi invece di usare l’editore a pagamento?

D: Qual è il vostro punto di vista sull’editoria digitale? Quale futuro vedete per e-book et similia?

V: Ci crediamo molto, aiuta chi legge a spendere di meno e ad avere sempre a portata un libreria in cui rifornirsi. Il mercato digitale è in crescita costante.

M: Non dico che il futuro è l’e-book. Il futuro è anche l’e-book. Vedo un ovvio espandersi del mercato digitale e un suo viaggiare in placida concorrenza con quello cartaceo.

D: Quali difficoltà incontra chi vuole entrare nel mondo dell’editoria oggi?

V: Le stesse di chi volesse entrare in un qualsiasi mercato di nicchia strapieno. Molta concorrenza, molta concorrenzialità, pochi soldi che girano.

M: Penso che il mercato dell’editoria sia leggermente meglio di quello della musica, che conosco bene, ma comunque sempre pieno zeppo. Anche se tu editore offrissi qualcosa di veramente originale, dovresti sempre fare i conti con le tendenze di mercato. È dura.

D: Avete a che fare con molti aspiranti scrittori. Cosa pensate degli esordienti? Qual è il loro livello medio e quali sono i loro vizi più comuni?

V: Per fortuna pochi di quelli che hanno proposto alla nostra casa editrice un manoscritto, soffrivano di problemi di super ego. Alcuni avevano seri problemi di scrittura, altri di fantasia. E pochissimi hanno la vaga idea di come scrivere una sinossi. A volte mi son chiesto se non facessero apposta a scrivere sinossi del genere. Giuro.

M: Devo dire che il loro livello medio non è così scarso come credevo. Certo, ci sono le eccezioni. Ogni tanto arrivano alla nostra casa editrice cose scritte male e, dopo averle lette dico sempre al Vale che mi hanno “inquinato il cervello”.

Il problema sta nelle idee. C’è poca originalità e si tende sempre a copiare canoni ben consolidati.

D: Lo Stato incentiva in qualche modo l’editoria indipendente?
Grazie mille e a rileggerci presto!

V: Ti rispondo in modo secco e preciso: Ahahahah! No davvero, han pure tolto le spedizioni postali agevolate per gli editori…una su tutte…

Grazie a te per la disponibilità. Ave, Valerio.

M: Lo Stato non incentiva nulla, figuriamoci l’editoria indipendente.

Saludos! Marcello.

16 Responses to “Editoria Indipendente : AnonimaScrittori intervista La Ponga Edizioni”

  1. rindindin Says:

    interessante articolo, interessante casa editrice :) grazie Stefano per avercela fatta conoscere.Valerio anche io ho 2 figlie stupende…:)

  2. painnet blade Says:

    Non credete, piccoli editori indipendenti, sia meglio cominciare ad elaborare criteri condivisibili per la valutazione di un’opera, al posto del solito arbitrario de gustibus? Oppure Pensate anche voi che l’arte, in generale, non sia oggetto discriminabile in senso qualitativo? Se siete d’accordo perché non vi battete affinché determinati criteri siano patrimonio comune degli editori?
    Il web, in questa funzione, potrebbe essere usato diversamente. Non trovate?

  3. Faust Cornelius Mob Says:

    Il ragionamento che fai, painnet, non è pellegrino ma credo che, nel caso di editori che non chiedono compensi o acquisto copie all’origine, ci sia già un criterio valutativo. Bisogna poi vedere fino a che punto si può arrivare con la standardizzazione, però sì, una mentalità imprenditoriale seria non prescinda dal controllo qualità.

  4. Woltaired Says:

    Da scrittore ho visto che le piccole case editrici, che tra narrativa e saggistica, cartaceo ed ebook sono più o meno 5000 in Italia, hanno già dei criteri comuni. Il grosso problema è che una fetta di queste la qualità nemmeno sa che sia e tutti noi dovremmo in primis trovare una parola per definirle. Non più case editrici, perché se ti vuoi far pagare da chi scrive e non da chi acquista sarai pure un’impresa, ma non un editore!

  5. painnet blade Says:

    @Faust Cornelius Mob
    Il tema l’ho approcciato in maniera sbrigativa questo sì, ma non credo affatto che i ‘grandi’ editori, quelli cioè che vantano una buon peso specifico a liv. promoz- distributivo, applichino veri criteri selettivi, se con tale termine si intende ‘capacità’ di manipolare grandi quantità di materiale. Non intendo, quindi, la capacità di esprimere un parere critico, o una ‘conferma’ rispetto al valore di un testo. Ovviamente nel caso del singolo vengono operate valutazioni che, per quanto soggettive, si rifanno – immagino - a una criterialità professionale. Io, tuttavia, mi riferivo al problema di saper applicare un discrimine di qualità su un corpo di opere quantitativamente ingente. Abilità pressoché sconosciuta da parte degli editori o di chi per conto loro opera fisicamente una valutazione sugli inediti . Mi risulta però che il grosso dei manoscritti inviati alla grande editoria ( di qualità e non) giacciano dimenticati in qualche oscuro scantinato prima di esser posti al macero senza aver la minima speranza di esser presi in visione da chicchessia. Numeri alla mano, si può pure condividere la difficoltà operativa in quanto non sarebbe remunerativo leggere (anche parzialmente) tutte le spedizioni senza poi avere la certezza di censire una minima parte gradita al pubblico. Ecco, io parlavo per l’appunto della scarsa attitudine a cogliere (nel mucchio) gli elementi di successo e quindi, in definitiva, il talento. Inutile riprendere la parodia della ‘miniera’.. Senza girarci tanto intorno possiamo allora parlare di assoluta inettitudine, un attributo che persisteremo ad usare con motivo finchè continuerà a sopravvivere quella gamma di espedienti speculativi che oggi vanno per la maggiore, e che prevedono un guadagno facile solo col sistema di imporre a ciascun autore (ma soprattutto ai sedicenti tali) una specie tassa, o meglio, una sorta di assicurazione sul rischi d’impresa che devono essere a carico dell’editore. Non si tratta quindi di ‘impresa tipografica’ (la tipografia infatti, per definizione, non promette niente), ma proprio di un criterio di persuasione basato sull’inganno (vedi le recenti operazioni self-publishing della feltrinelli). Come dicevo – ma è difficile esporlo in questa sede – il web potrebbe giocare un ruolo importante se lo si volesse cominciare ad usare in funzione interattiva.

  6. painnet blade Says:

    @Woltaired : ”…le piccole case editrici…hanno già criteri comuni”

    Caro W , mi piacerebbe davvero conoscere questi csìdtt ‘criteri comuni’. Il problema che ho provato ad esporre, è infatti assolutamente culturale, non certo circoscritto ad una casistica minore. A ben vedere la politica palesa analoghe difficoltà. Anche se a noi generalmente sfugge, le scelte (sempre) arbitrarie ci vengono somministrate costantemente, nell’intimità di un urna elettorale, in un concorso pubblico, o indifferentemente sul bancone del market, quando andiamo a fare la spesa. Tuttavia, avendo ancora la libertà di rifiutare il prodotto iper-reclamizzato, siamo perfettamente in grado – in alcuni settori - di imporre un determinato corso economico alle strategie di mercato.
    In campo editoriale non c’è ricambio, non c’è libera circolazione delle idee, non c’è eterogeneità dell’offerta e di conseguenza non c’è mercato che tenga cassa. Laa vera ‘ignoranza’ allora è quella dei super allocchi (ma non sono pochi) che si affidano alle trovate subdole dell’auto-pubblicazione. L’editoria, nonostante ciò, non riesce a far quadrare i conti e non basta certo rigirare la frittata sulla solita litania dell’endemica ‘ignoranza’ dell’italiano medio, per salvare faccia e bilanci. Qui si confondono vergognosamente le cause con gli effetti di una situazione diventata oramai chiara e traballante e non vi è testata, editoriale o pubblicazione che abbia il coraggio di affondare il coltello della critica sulla piaga degli errori perpetrati nel tempo dalla lobby dei monopoli ‘culturali’ dominanti.

  7. Raccontweet Says:

    @painnet blade (ti rispondo con un account differente, perché non riuscivo a loggarmi con l’altro, comunque sono Woltaired)
    Tutto ciò che tu dici è vero. Ci troviamo in un momento in cui l’editoria sembra, come anche molti altri settori, avere dimenticato il significato dell’etica del Senso. La realtà, però, dipende molto dagli occhi e dai sentimenti con cui ognuno di noi la guarda. Al di là di ciò che diffusamente appare c’è ancora tutto e sta a ognuno di noi, scavare, riempire sacchi di spazzatura, agire, anelando a ciò che vorremmo e non vediamo. Non si può solo vivere di rassegnazione.
    Per quello che io conosco del mondo dell’editoria (come scrittore aspirante pubblicato) un criterio comune di selezione, almeno nelle case noeap (editori non a pagamento) di piccole e medie dimensioni, esiste. (Per quanto riguarda i grandi editori la mia esperienza si limita a tre di loro e nei casi specifici ho riscontrato le medesime caratteristiche dei piccoli, ma non ti posso generalizzare una risposta).
    L a qualità non può essere un valore univocamente assoluto, la si deve scovare nel metodo. Un libro è (o almeno dovrebbe essere) un’opera d’arte e come tale può piacere o non piacere. Questo vale in ogni campo, prendi la pittura e la diatriba figurativo/astratto, per esempio. Il metodo di valutazione e ricerca degli editori, solitamente, consiste nel determinare i tempi di lettura, chiudendo la ricezione di manoscritti quando se ne accumulano troppi. Poi c’è lo scouting, ma non confondiamoci con nepotismo e altre bieche pratiche similari. Dopo una prima scrematura passa in gioco il gradimento personale, la conformità dello scritto alla linea editoriale e sicuramente altro che io non conosco, comunque un metodo che comporta fatica e lavoro.
    A questo proposito invito la Ponga Edizioni, che è il soggetto di questo articolo, a volerci dare qualche dettaglio.
    Tu, painnet blade, parli giustamente di “problema culturale” e hai perfettamente ragione, ma in ciò vanno considerati anche gli scrittori. Non si tratta solo di allocchi, ma a volte anche di emeriti stronzi supponenti convinti che le loro deiezioni mentali siano i veri capolavori del terzo millennio e, perciò, non si curano minimamente di valutare altro se non la lunghezza del loro membro cerebrale. Inviare, per esempio, un autobiografia storica e un editore che nella sua collana pubblica solamente fantasy, tu, come lo definiresti? E riempire pagine e pagine del proprio ombelico senza un minimo di, non dico poetica, ma nemmeno grammatica?
    Vuoi farti un’idea di chi sono gli scrittori? Iscriviti al Torneo Letterario indetto dal gruppo GeMS, uno dei maggiori in Italia, e goditi una decina di questi. Per carità, puoi anche avere fortuna…
    Ora, è chiaro che nel momento in cui, oltre che in libreria o su siti specifici, trovi i libri al supermercato, all’area di servizio e nei distributori automatici e non si tratta mai di quelli scritti da Mahfouz, Oe o Coetzee (chi cazzo sono? …tre premi Nobel per la letteratura!), ma quelli di James, Volo o l’ultimo pirla di un calciatore diventa facile pensare: “E che cazzo, ora lo scrivo pure io un libro!”
    Non vuol dire, però, che i libri non vadano venduti ovunque, anzi. (Che poi un camino d’accendere lo si trova sempre…)
    In conclusione la cultura è una coltivazione collettiva e ognuno lotti per quel che può, senza vittimismi, né solipsismi, con la vanga e la tastiera e, magari, buoni amici con cui condividere i pensieri. Magari elaborando un neologismo per quelli che sotto la millantata spoglia di “editore” operano lucrando sui sogni e le inettitudini di molti.

  8. zaphod Says:

    “Magari elaborando un neologismo per quelli che sotto la millantata spoglia di “editore” operano lucrando sui sogni e le inettitudini di molti.”

    Enhanced tipografi?

  9. painnet blade Says:

    “Un libro è (o almeno dovrebbe essere) un’opera d’arte e come tale può
    piacere o non piacere. Questo vale in ogni campo…”

    Caro @Woltaired, prendo questo breve periodo del tuo interessante intervento
    perché fra i tanti appare il più ovvio, il meno controverso e, a primo acchito, il più spontaneamente condivisibile: credo invece che si tratti di un elemento del
    tutto fuorviante intorno al quale ruoti il fulcro tutta l’intricata faccenda che
    stiamo cercando , con buona lena, di dibattere. Lo dico con forza e convinzione,
    nella speranza di fornire elementi nuovi a questo confronto. So che provocherà
    attriti, ma credo valga la pena di soffermarsi.
    Per replicare , dovrò tuttavia far riferimento a una serie di principi formidabili,
    sicuramente sgraditi a una classe intellettuale che si ostina a rifiutare determinati
    significati, che si ostina a permanere nel limbo di un limitato paradosso culturale,
    coi risultati che ben sappiamo.
    Ebbene un Signor Fisico di grande fama, tempo addietro, ebbe l’ardire di formulare
    una gran quantità di scoperte sulla base di questi importanti principi:
    Uno stile d’arte può anche essere definito con una serie di REGOLE FORMALI applicate al materiale di quell’arte particolare.
    …gli elementi fondamentali di queste regole sono in stretta relazione con gli elementi essenziali della matematica.
    i diversi stili dell’arte non sono un prodotto arbitraio della mente umana, ma per
    capirlo non dobbiamo farci sviare dalla partizione cartesiana:
    lo stile nasce dall’interazione fra il mondo e noi, ovvero fra lo spirito del tempo e l’artista; perciò i due processi, quello dell’arte e della scienza,
    non sono molto diversi fra loro. Sia la scienza che l’arte danno forma nel corso dei secoli ad un linguaggio umano per mezzo del quale possiamo parlare delle più
    remote parti della realtà, e le serie coerenti di concetti, così come i diversi stili
    dell’arte, sono le parole o i diversi gruppi di parole di questo linguaggio

    Credo che l’autorevole pensiero meriti una riflessione attenta, ma soprattutto
    ritengo che dovremmo cominciare a renderci conto che il criterio cartesiano e il meccanicismo rappresentino il vero problema della metodologia analitica a cui
    siamo stati abituati fin dall’età scolare.

  10. painnet blade Says:

    Enhanced tipografi?
    Ma i tipografi non vendono fumo per arrosto. In massima parte sono onesti lavoratori che non promettono nulla più di quanto non siano in graodo di
    mantenere. Io direi allora: Biemme WP (business men waste paper), ovvero,
    affaristi della carta straccia, nel senso che riescono a trarre profitto dalla
    banale cellulosa da macero.

    Inoltre sottoscrivo pienamente quanto s’è detto riguardo gli ess (emeriti stronzi supponenti), ma è proprio da questo inconfutabile dato che vorrei principiare la mia analisi. Ora, come tu dici @Woltaired, è assolutamente vero che questa moltitudine di sedicenti autori finisca di solito per intasare i canali editoriali disponibili alla lettura, o all’onesta valutazione critica. Tuttavia non possiamo escludere, per amor di logica, che fra tanta paccottiglia possano nascondersi lavori importanti. Il problema che intendevo sollevare agli editori è pertanto quello di chiarire (se ne sono capaci) di quali strumenti intendono avvalersi affinché il talento possa essere discriminato dalla massa. Continuo a ripetere che il ‘de gustibus’ non può rappresentare un criterio perché è proprio l’arbitrarietà del giudizio che fomenta la ricerca di una ‘raccomandazione’ / facilitazione ; e da questa al ‘nepotismo e pratiche similari’ di cui , e giustamente, parli, il passo è alquanto breve. Se facciamo passare il concetto che l’arte non risponde a parametri valutativi, nel nome di una non meglio specificata aleatorietà e libertà espressiva, non facciamo che confondere e confonderci le idee: questo per me è l’inevitabile paradosso, figlio degenere di un vecchio antagonismo culturale (è il problema irrisolto delle due culture - Charles Snow ) che ci tiene pregiudizialmente incatenati ai biechi espedienti di una linea strategica decisa a spremere fino all’osso il mercato (costituito anche dai sopracitati ‘ess’), ma che alla lunga non porterà da nessuna parte.

  11. zaphod Says:

    Forse - in maniera molto laterale - può portare un contributo a questa discussione l’articolo pubblicato da Christian Raimo su MinimaEtMoralia, in particolare sul finale quando cita l’esperienza di Liberos.

    http://www.minimaetmoralia.it/wp/parlare-appena-appena-di-politiche-culturali-il-giorno-in-cui-si-vota/

  12. painnet blade Says:

    Grazie per la segnalazione @Zaphod. Non ho letto l’articolo, lo farò al più presto
    anche se credo non sfiori il cuore del nostro, a questo punto interessante, dibattito, Conosco il progettoo di Liberos, e ti assicuro che non si colloca entro il contesto dei significati di cui parlavo. Cmnq cercherò di documentarmi sul pezzo di C.Raimo e domani sera bloggerò una risposta. Se hai dei dubbi sui contenuti del mio intervento fammi sapere, proverò ad esprimermi con maggior chiarezza. un saluto.

  13. zaphod Says:

    No, in verità volevo allargare il discorso - e mi pare che il progetto Liberos vada in quel senso - perché mi pare che quello che manca, e che forse si sta provando a costruire, è una struttura di significati condivisa tra i vari attori che giocano un ruolo in quello che possiamo chiamare il nostro “panorama editoriale”.
    L’impressione è che si parli una serie di linguaggi e dialetti - quando si parla di editoria, pubblicazione, autori, scrittori, vanity press, selfpublishing, selezione, logiche editoriali, eccetera eccetera - che solo a volte si sovrappongono in un linguaggio comune e che la difficoltà di definire, come dice Wolt, gli Editori a Pagamento, sia solo un aspetto di questo processo complessivo.

  14. painnet blade Says:

    No, caro Zaphod, credo che la distanza fisica distorca la tua percezione del fenomeno. Qui (sul tuo sito) si cercava di parlare d’altro! Per fortuna.
    Seguire liberos da vicino significa proprio conoscere (per come si muovono in Sardegna) le comparse di quella che si prospetta come l’ennesima fiction in salsa campidanese-barbaricina. Michela Murgia sarebbe forse un’innovatrice? Ma vi siete mai soffermati sui suoi libri? Sulle sue interviste? sulle dichiarazioni del suo sito? Sulle sue (precise) posizioni politiche? dietro di lei si muovono marionette ‘continentali’ del medesimo teatrino: autori irrilevanti che intendono solo contare di più sul panorama mediatico nazionale senza avere le qualità per farlo, cioè scrivere bene . Non voglio però proseguire su questi binari. Ti assicuro che i temi di questo dibattito sono ben altra cosa rispetto ai pareri di un manipolo di inutili scrittori allineati ed incapaci di porsi in chiave innovativa rispetto a qualsiasi argomento, specie letterario. Nel sesto commento accenno infatti a un’ editoria che non fa ‘quadrare i bilanci’, all’inquinamento artistico dei monopoli culturali dominanti’. Ecco, questi di cui mi scrivi con tanta enfasi, sono proprio gli autori preferiti da questa editoria fallimentare (per non dire ‘complici’) ed allo stesso tempo i primi promotori del pensiero unico su cui si reggono i paradossi che abbiamo menzionato in questo commentario- Se provassi ad esporre loro un qualsiasi problema, così come stiamo facendo noi, ti risponderebbero che non appoggiano teoremi plutocratici (da una mail di Marcello Fois al sottoscritto). A loro, in fondo il sistema va benone così. Cercano solo di consolidare una scala di merito gestita dall’alto in cui occupano un posto di riguardo(in Sardegna), in virtù della loro benevolenza e sudditanza ideologica. Fidati.
    ed ora se vuoi rispondere ad alcuni dei miei quesiti, sono a tua completa disposizione, ma su ‘liberos’, davvero, lascia perdere, è un progetto di cartone destinato ad afflosciarsi e sbrindellarsi al primo temporale.

  15. Woltaired Says:

    Scusa painnet ma, invece, proprio non mi fido del giudizio che dai. Nè sulla Murgia nè, tantomeno, su Liberos.Trovo il tuo ultimo post denso di dietrologia, fumosità e rancore e non ne capisco il motivo. Non ti conosco, ma ho seguito la partecipazione di Liberos al premio Che Fare? e, sinceramente, dubito che tutti quelli che hanno portato questa associazione alla vittoria siano una nuova massoneria e tu l’unico bardo detentore della verità. Già non ho fede di base, scusa se non la concedo a te a priori. Poi se, invece, hai delle argomentazioni e dei fatti da mettere sul piatto allora è un’altra cosa.
    Tornando al discorso primario: sono d’accordo con te sulla necessità di allontanarci dai meccanicismi modernisti, ma non posso poi condividere l’auspicio della definizione di “parametri valutativi” (che detta così non vuol dire nulla, ma penso di interpretare che tu intendessi “parametri concreti in grado di discriminare tra paccottiglia e arte”), perché ciò implicitamente prevede un, forse diverso, ulteriore meccanicismo. L’arte è arte perché la gente, parlandone, la definisce arte, la fruisce come arte, la vive, la produce e la conserva come arte. L’arte cambia, come il resto della vita e non potrà mai non partire da un gradimento personale, che sia singolo o collettivo. Anche la “merda d’artista” è arte, non tanto per ciò che è, ma per ciò che suscita, per ciò che evoca e provoca. Poi che a me faccia cagare, tu dici, è relativo. Forse, chissà. Tra cinquecento anni la scatoletta di Manzoni forse sarà in un museo, mentre il cinghiale di Ligabue l’avranno usata per coprire un comodino dalla polvere, o forse no? Non lo sapremo mai.

  16. painnet blade Says:

    Parere personale Woltaired, semplice parere personale, non ‘verità’. In quanto all’acredine, alla massoneria e a tutte le gabbole che tiri in ballo, cosa vuoi che me ne freghi, non faccio mica lo scrittore. Come spettatore pagante però mi riservo qualche bella botta di stronzo a chi mi pare. Ecchèmai, tu non hai mai inveito contro un calciatore che gioca da cani? Comprendo le ragioni della tifoseria contraria e vabbè , ma non prendertela tanto, non ne vale la pena.

    Per il resto hai detto bene: parametri utili a separare le cianfrusaglie da discarica da un bella tela d’autore, dimenticata sotto le ragnatele di qualche puzzolente scantinato . Mettiamola così, fermo restando – come dici – che un Rembrandt e un Modigliani non possano sottostare a qualsivoglia graduatoria di merito. Non so se mi sono spiegato.

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