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Epopea dolorosa della terra

Categoria: Canale Mussolini, Pennacchi
Postato da: Torquemada

[Sulla Gazzetta di Parma una bella, ed entusiastica, recensione di Giuseppe Marchetti al romanzo 'Canale Mussolini' di Antonio Pennacchi. Lo riportiamo integralmente. Il sottotitolo è: "Il fascismo, la guerra e il dopoguerra attraverso personaggi indimenticabili e una trama avvincente. La saga di una famiglia di coloni veneti nell'Agro Pontino paragonabile al 'Mulino del Po' di Bacchelli]

Verrebbe voglia di intornare «Ma per fortuna che c’è il Pennacchi», come cantava Gaber con il suo Riccardo. E davvero, letto il romanzo-storia-epopea «Canale Mussolini» (Mondadori editore) bisognerebbe ringraziare la nostra buona sorte perché ancora fa nascere e scrivere gente come Antonio, questo meraviglioso Pennacchi, che se ne infischia delle mode, delle cronache, dei libri gialli, dei figli cretini, dei servizi segreti deviati, degli assassini, dei ladri, delle puttane di alto e basso bordo, componendo un affresco di così vaste e profonde dimensioni, un romanzo vero di una verità che non si nasconde, non si trucca, non si offre all’ambiguità, alla politica, alle ideologie e ai sofismi dei falsi maestri di ieri e di oggi. Un romanzo, cioè, che pur consapevole dei propri difetti, esibisce una travolgente voglia di scrivere, l’imprudenza fino alla temerarietà del raccontare, il gesto che salva e autentica i personaggi, le loro voci, i loro atteggiamenti, il fluire della storia e delle storie senza soluzione di continuità. Ecco il romanzo storico che mancava. «Canale Mussolini» nasce dalla terra come il bacchelliano «Mulino del Po» e alla terra ritorna. Nasce e si sviluppa da un sentimento tutto italiano della narrativa: Bacchelli inventò gli Scacerni, Pennacchi inventa i Peruzzi che con migliaia di altri contadini emiliani, veneti e friulani lasciano le loro regioni e i loro paesi per andare nelle terre laziali della bonifica, là dove il Fascismo e Mussolini soprattutto, ha deciso di rendere fertile la Maremma togliando alla malaria e restituendo allo sfruttamento agricolo le paludi pontine. Lo scenario che si apre sotto i nostri occhi mano a mano che il fluviale romanzo si dipana, è di quelli che non si dimenticano: uno scenario che si popola di uomini, donne, bambini, animali, riti, timori, speranze, amori, dolori, caratteri diversi e contrastanti, affetti radicati in segrete fortune e improvvisamente affioranti come mostri, orchi e fate. Il tutto, si noti bene, raccolto in un controllo molto severo del Pennacchi che parla a se stesso, e recita, e si entusiasma convocando attorno alla vicenda madri, padri, zii, fratelli, spose e figli dei suoi «cispadani» viventi in questo nuovo Sud che non conosce le radici contadine del Nord rimanendonde praticamente travolto e suggestionato. Il romanzo pullula da questa sua antica ruralità, e perciò ha bisogno di eroi, a cominciare dal territorio che non è più soltanto l’Agro Pontino ma una sorta di Troia assediata e poi trasformata dal lavoro umano, dal sudore, dalla fatica, per finire con i Peruzzi da zio Pericle e zio Adelchi e zio Temistocle, alle donne, le magiche donne di casa, di stalla e di focolare, che assicurano cibo, compagnia e amore senza fine, mentre sullo sfondo passano i giorni della prima guerra mondiale, delle rivolte dei combattenti, dell’avvento del Fascismo mussoliniano con le sue illusioni, e la realtà della miseria a Codigoro, della fame e della scarsa polenta. E poi l’esodo, in trentamila, a scaglioni, un treno al giorno, con animali, mobili (quei pochi che c’erano), oggetti cari, indumenti e tanta speranza vereso i Monti Lepini e le terre da «redimere». La saga sembra non finire mai: anzi, si solleva, a tratti, dagli eventi quotidiani, dai dialoghi stampati nella memoria come lapidi per ricordi indimenticabili, e diventa storia del Fascismo tra le due guerre - con le altre guerre di quei decenni - storia dei Peruzzi, di Italo Balbo, di Rossoni, degli ebrei, del «Mussolini ha sempre ragione», della costruzione di Pomezia e infine dell’angoscia dei Peruzzi mentre si avvicina e colpisce già la seconda grande guerra. Così, lungo il «Canale Mussolini», strada e simbolo di pace e di guerra, sfila il Novecento di Pennacchi visto dal podere 517 dei Peruzzi, ma interpretato come una «Guerra e pace» dei poveri, la memoria del tempo e l’avventura dei vivi e dei morti che s’alternano da millenni sulla terra. Antonio Pennacchi è riuscito a fondere in queste pagine trent’anni di storia italiana con i grumi del sangue, della pazienza, degli amori, dell’ironia e del sarcasmo che trasudano nel gorgo del destino creando il canto del poema della gente e delle sue cento lingue. Scrisse un giorno Cesare Garboli ne «La Stanza separata» che «in Italia non si perdona troppo facilmente a uno scrittore di non essere un letterato. Non gli si perdona mai, soprattutto, di non concepirsi come un letterato». Ebbene, Antonio Pennacchi appartiene all’esiguo numero delle «penne naturali» e noi, spiacenti a Dio e agli inimici sui, glielo riconosciamo con profonda e commossa convinzione. Il suo romanzo ci ridà la passione folgorante per la narrativa che molti altri suoi colleghi non fanno altro che umiliare.

One Response to “Epopea dolorosa della terra”

  1. Mamma78 Says:

    Da leggere assolutamente! Mi da l’idea di un libro profondo e approfondito, uno di quei libri che si affrontano con timore, ma che ti lasciano solchi indelebili ;-)

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