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I lunedì dell’Arcipelago #1 - Ida delle Oche

Categoria: Assaggi, suoni, visioni e letture, I lunedì dell'Arcipelago
Postato da: Faust Cornelius Mob

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Arcipelago Anonima , ultimo nato in casa Anonima Scrittori, è il primo Social Network concepito apposta per gli scrittori. Sebbene sia ancora agli inizi, i suoi frutti non hanno tardato a far sentire il proprio gustoso sapore, ragion per cui abbiamo deciso di selezionare i migliori e, con un po’ di editing, servirli direttamente sull’home page del vostro sito internet preferito. Alla Consolle c’è Faust Cornelius Mob che dedica il racconto di oggi a chi non si fa mettere i piedi in testa

IDA DELLE OCHE - di Lucilla Zanazzi

Ida camminava sul sentiero lungo l’argine del Canale, con un rametto percuoteva le piante di finocchio selvatico affinché liberassero nell’aria l’odore. Le oche la precedevano tranquille chiacchierando tra loro: “Qua qua”. Lui le controllava tutte, andava avanti e indietro, guardava intorno, le superava e poi tornava in coda a quella buffa processione. Controllava anche lei, ma con rispetto, mettendosi al suo fianco. Oco era diverso dalle altre: intanto era maschio, era molto grande e aveva quella macchia scura sul dorso a forma di cuore, un cuore come quello d’argento della Maria Vergine.
Ida aveva dodici anni, ma ne dimostrava meno di dieci tanto era secca e piccola. Portava i capelli chiari raccolti in due trecce arrotolate attorno alla testa come una corona, ma non c’era nulla di regale in lei, insaccata com’era in un vecchio grembiule nero. Dopo la terza elementare, non l’avevano più voluta nella scuola della canonica ed era stato un sollievo. –Te spussi- le dicevano le compagne e non volevano sederle vicino, così era stata sempre sola nell’ultimo banco, assente. La maestra ogni tanto veniva da lei e le dava una bacchettata sulle dita, per svegliarla, diceva. Una volta era andata in gita scolastica a vedere il mare. La gita gliela aveva pagata la madre di una sua compagna, la figlia del dottore, quella che parlava solo l’italiano. La mattina sua madre l’aveva alzata prima dell’alba e l’aveva strigliata a dovere, ma l’odore di cenere e polenta le era rimasto addosso. In corriera quella si era seduta accanto a lei (la carità si fa fino in fondo) dicendo continuamente:” Com’è possibile non aver mai visto il mare! Vedrai che impressione ti farà!”. Quando fu davanti al mare non provò nulla, solo il fastidio per il rumore ossessivo della risacca. La compagna delusa finalmente la lasciò e lei poté mettersi in disparte per guardare nella cartella di cartone che cosa c’era da mangiare. La madre, per non fare brutta figura, le aveva messo due fette di pane con dentro un pezzo di frittata. Per quel giorno niente polenta.
Arrivarono al solito posto. In fila scesero al canale, prima Oco, poi, dondolanti, le oche bianche e poi lei. Le femmine felici planarono immediatamente sull’acqua, lui invece la seguì fino al grande sasso al riparo di un ciuffo di canne. Ida sedette, aprì la cartella e ne trasse un pezzo di polenta abbrustolita, lui si avvicinò di più, allungò il collo, spalancò il becco arancio e attese che Ida vi depositasse l’obolo. Così tutti i giorni, da quando era piccolo.
Quando era arrivato in treno a Borgo Podgora, era ancora un pulcino. L’aveva portato la sorella del parone da su – Xe de pura rassa padovana. Xe un mascio e xe più grande dee altre rasse”. Lei l’aveva preso tra le mani e l’aveva portato all’acqua. La donna chiese:”Chi xea sta putela?”- “La xe ‘na Betonte, i poareti. La xe la tosa dee oche. Non parla.” Ida la guardò senza curiosità.
Oco inghiottì la sua parte di polenta e poi planò nel canale anche lui. Le oche tuffavano ritmicamente la testa in cerca di cibo e lui controllava che non si allontanassero troppo. Volgeva spesso il capo verso lei che stava fissando il nulla. Non amava pensare, se si fosse messa a pensare avrebbe sentito la fame e la fame la perseguitava. Quella non era riuscita a controllarla. Aveva controllato la mancanza di affetto della madre, la brutalità del padre, le urla dei fratelli, il dolore, la solitudine, le botte. Fin da piccolissima era riuscita a sviluppare l’indifferenza, aveva imparato ad essere invisibile e non aveva mai parlato.
Le oche le piacevano. Le venivano vicino, la seguivano ovunque, le tenevano compagnia, ma aveva capito che neppure con loro poteva fare un investimento affettivo, perché spesso vivevano solo qualche mese. Oco no, lui era un maschio, era di una razza pregiata, era un campione, era lì per sposare le femmine, perché lui faceva nascere le bestie più grandi e più belle. Con Oco si era lasciata andare e, lei, che non aveva mai avuto interesse al linguaggio degli umani, aveva imparato da lui a modulare certi suoni gutturali.
Vide arrivare da lontano la bicicletta. Rimase immobile, in attesa. Era il paron vecio. Il cappello gli copriva in parte il viso paonazzo e sudato e dalla giacca aperta gli usciva una gran pancia tutta strizzata nella camicia sporca. Si fermò e mise un piede a terra –Varda chi che ghe xe qua! La tosa dee oche.- Smontò dalla bicicletta, la coricò tra l’erba e scese fino a lei.
Ida si alzò in piedi e Oco uscì dall’acqua.
Il parone si sedette pesantemente sul sasso asciugandosi la faccia con un fazzoletto. –Sentate qua!-
Ida con gli occhi bassi ubbidì. Lui aveva un odore insopportabile: vino stalla piscio e vecchiaia. A Ida venne la nausea.
- Anca mi me piase le oche!- Lentamente si sbottonò la patta dei pantaloni. – Anca mi go l’oca.- Le prese una manina e la tirò a se – Anca mi go l’oca. Toccamela!- Ida ritrasse la mano con tutta la forza che aveva. La nausea aumentò. Lui si mise in piedi e abbassò i pantaloni – Toccamela, Troia! – La prese per il grembiule e la buttò a terra. Dalla bocca di lei uscì un suono gutturale.
Successe un pandemonio. Oco, che era già lì in attesa con il collo allungato, aprì le ali e si avventò sul parone colpendogli la faccia e le mani. Proteggendosi con le braccia lui cercò di scappare su per il sentiero, ma i pantaloni alle ginocchia lo facevano cadere continuamente, la bestia allora cominciò a prendere di mira le natiche flaccide, facendole sanguinare. Ida vomitava tra le canne. Oco lasciò la presa e si mise accanto a lei. Le oche, attratte dal casino, uscirono tutte dall’acqua e cominciarono a inseguire il vecchio che era riuscito a tirarsi su i pantaloni sporchi di sangue e ad agguantare la bici. Cercando di stare in equilibrio sulla bicicletta, inseguito dalle bestie infuriate, se ne andò urlando:”Puttana! Te copo a ti e a tutte le tue oche! Te copo troia!” Ida riprese il controllo e l’indifferenza, si mise in piedi ed emise un fischio di richiamo.
Quella sera tornò più tardi. Chiuse le oche nel pollaio, andò al magazzino e portò loro una palata di granoturco.
- Il paron vecio sta male. Il dise che xe cascà dalla bici e il xe tutto rotto.” Disse la madre senza guardarla.
Non successe nulla per una settimana. Portava le oche al canale, tornava, le chiudeva nel pollaio, andava nel magazzino, prendeva una palata di granoturco e riandava al pollaio. Entrava nel casone, si sedeva a tavola, mangiava la broda nella scodella, poi lavava le stoviglie, puliva il pavimento e si buttava sul pagliericcio tra i suoi fratelli.
Quella domenica accompagnò la madre alla messa delle 5. Si misero in fondo, lei con quell’aria assente. Come sempre. Don Angelo durante la predica parlò della loro Santa Maria Goretti, ricordò il suo martirio e disse che tutte le tose dovevano fare come lei: preservare la purezza a costo della vita. Ida abbassò gli occhi. Ma poi il prete disse che non era proprio necessario morire per rimanere pure, che le ragazze avevano il diritto di difendersi e che comunque, nel caso fosse successa una cosa simile anche a loro, dovevano immediatamente dirlo ai genitori. Ida alzò gli occhi – A chi?- pensò, guardando la faccia dura della madre. La sua pancia gonfia le provocò una leggera nausea.
Lunedì mattina presto, fuori, c’era una gran confusione. – I ga massà l’oco e lo gan buttà qua davanti.- Ida per la prima volta in vita sua arrossì violentemente. Uscì e lo vide lì, davanti alla porta. Rimase immobile a guardare la testa dell’animale staccata dal corpo, il collo che buttava ancora fiotti di sangue. Guardò le piume marroni sul dorso. A forma di cuore.
Alzò lo sguardo sulla casa colonica e prima di andare a liberare le vedove, entrò nel magazzino.
Sul sentiero la processione avanzava lentamente. Lei dietro con il vuoto negli occhi, davanti le oche che bisticciavano. Stava usando il training che le era consueto: io non ci sono…io sono aria…io niente.. Oco le veniva in mente lo stesso e ogni tanto aveva la sensazione che fosse dietro di lei, allora si voltava di scatto. Via via i pensieri! Niente, niente. Si affacciarono nella mente anche le parole di don Angelo, quelle sulla purezza delle tose a costo della vita. Purezza… fino a una settimana prima non aveva mai pensato al proprio corpo, se n’era resa conto solo quando il parone vecio le aveva preso la mano. Che schifo! Che schifo! Sì, lei sarebbe rimasta pura per sempre… Certe cose le sapeva, le aveva sempre sapute…aveva visto suo padre e sua madre…i maiali, Oco e le oche… la testa tagliata di Oco… il suo occhio aperto che non vedeva, il sangue che usciva a fiotti dal collo. Aveva visto tante volte ammazzare i maiali, ma non le aveva mai fatto impressione.
Sapeva che il parone vecio si sarebbe fatto vivo proprio quel giorno, l’aveva visto, la stava spiando nascosto dietro gli scuri di una finestra del casale. L’aveva avvertita ammazzando Oco. Che non c’era più a difenderla. Ma lei non si sarebbe fatta ammazzare come la Maria Goretti, lei si sarebbe uccisa da sola. Nessuno l’avrebbe toccata. Tastò la tasca del grembiule per assicurarsi che il sottile coltello per ammazzare i maiali fosse al suo posto.
Il sentiero che scendeva al canale era ormai vicino. Le oche si buttarono giù di corsa, solo quando anche lei incominciò la discesa vide la bicicletta appoggiata a terra, tra l’erba.
Si era annuvolato.
Si fermò in mezzo al sentiero. Niente…niente…non sento niente…invece non riusciva più a respirare. Lui uscì da dietro le canne. “Ida, vien qua. Vien qua, che non te faso gnente.” In quel momento si sentì un tuono lontano. Lei in trance si avvicinò a lui. “Vien a sentarte” Si diresse al sasso. Ida lo seguì dietro alle canne. Niente…niente…niente.. Lui la prese delicatamente sotto le ascelle e la mise in piedi sul sasso. “Non te fasso gnente. Solo un baso. Un basetto!” Le sorrise togliendosi la giacca e le andò vicino. Ida abbassò gli occhi e sulla camicia vide una chiazza di sangue rappreso. Il sangue di Oco. Lui era sempre più vicino, sentiva l’umido del suo respiro. Lei si raddrizzò e fulmineamente fece uscire il coltello dalla tasca, mirò al collo e …zac! Uno spruzzo di sangue la investì in piena faccia. Il parone la guardò sorpreso, poi si portò le mani alla gola e incominciò a imprecare. “Puttana! Puttana!” . Gli occhi gli si appannarono e scivolò a terra rantolando. .
Niente …niente… non sento niente…
Rimase immobile, le braccia abbandonate lungo il corpo, il coltello le scivolò dalla mano.
Niente…niente… non sento niente…
I tuoni erano sempre più frequenti e sempre più vicini. Vide le oche che sguazzavano. Cominciarono a cadere grosse gocce. Le cadevano sulla faccia creando rivoli di acqua rossa. Un fulmine cadde lì vicino e le oche uscirono di corsa dal canale. Lei si scosse di colpo. Guardò l’uomo a terra in un lago di sangue annacquato, i suoi occhi erano girati all’indietro. Qualche cosa cominciò a montarle da dentro… sempre di più, sempre di più. Quando la cosa divenne insopportabile, scese dal sasso, salì sull’argine e cominciò a correre urlando sotto la pioggia .

Ida fu condannata per omicidio premeditato per futili motivi. Fu internata nel Manicomio Giudiziario di Castiglione delle Stiviere, dove morì nel 1958. Aveva 18 anni.

One Response to “I lunedì dell’Arcipelago #1 - Ida delle Oche”

  1. Faust Cornelius Mob Says:

    Il racconto era originariamente più lungo ma ho ritenuto opportuno in fase di editing tagliarne la seconda parte che nulla aggiungeva, anzi appesantiva, un testo che funziona così come l’avete letto.

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