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I Lunedì dell’Arcipelago - In un lago di menta (dedicato a Vittorio Curtoni)

Categoria: Assaggi, suoni, visioni e letture, I lunedì dell'Arcipelago
Postato da: Faust Cornelius Mob

cariche-polizia

Le strade sono piene di una rabbia che ogni giorno va più forte. Lo diceva Guccini, ce lo racconta Stefano Carbini, nella speranza che queste parole ci facciano meditare. Il vostro Faust dedica questa puntata dei Lunedì dell’Arcipelago a Vittorio Curtoni, che da poco ci ha lasciati e che tanto ci ha dato, anche se non lo sappiamo. Ciao Vic, ti sia lieve la terra.

 

Comparve nella piazza improvvisamente, provocando solo un leggero spostamento d’aria quando gli atomi del suo corpo si materializzarono in prossimità di quelli dell’atmosfera. Era alto e aveva una brutta cera; il suo viso pallidissimo dava decisamente sull’olivastro, cosa che contrastava con gli occhi color ambra che si muovevano nervosi sopra un naso quasi inesistente.

Si guardò intorno e sorrise soddisfatto: quel posto era pieno di gente e tutti sembravano eccitati; che avessero previsto la sua venuta? Fece un passo in avanti per saggiare i movimenti sul nuovo pianeta; quello era il quinto della sua carriera, ma si sentiva eccitato come se fosse il primo, incredibile! Compì una mezza piroetta su se stesso per osservare ancora il luogo in cui era giunto, e le sue ampie vesti svolazzarono leggere nell’aria insolitamente calda di quella giornata autunnale. Sì, quel posto gli piaceva, e la gente era abbastanza per poter cominciare.

In fondo alla piazza il movimento crebbe tra le file dei giovani che urlavano rabbiosi in direzione degli uomini ammassati, in un ordine e silenzio quasi paradossali, dall’altra parte del vasto spiazzo. Gli slogan, scanditi con regolare violenza, si perdevano nella distanza che separava i due gruppi, e agli uomini vestiti di grigioverde non arrivava che un insieme di voci incomprensibili. I giovani cominciarono allora ad avanzare lentamente ma con decisione.

Vide il gruppo di persone che aveva preso a camminare nella sua direzione, e sorridendo decise di cominciare. Lasciò andare le braccia lungo i fianchi e con tono solenne esclamò: – Uomini della Terra! – La sua voce esplose come attraverso un potentissimo altoparlante, ma la gente intorno a lui ci fece appena caso.

L’uomo in borghese con la fascia colorata ai fianchi si voltò verso il centro della piazza e chiese con un’espressione feroce in viso: – Cosa ci fa quello là in mezzo?!

- Sarà uno di loro, signore – rispose immediatamente quello che gli era a fianco. – Vorrà influenzare gli uomini.

- Agli uomini ci pensi lei, dica loro di accarezzarlo senza troppo riguardo quel bastardo.

- Fratelli! – esclamò ancora, per attirare l’attenzione di tutti. – La vostra lunga attesa è ormai giunta al termine. Siete finalmente pronti per il più importante evento della vostra vita di uomini: presto potrete unirvi ai vostri fratelli dell’universo!

Pronunciò l’ultima frase con un’enfasi particolare, come se con quelle parole stesse annunciando l’avvento di un nuovo mondo, un nuovo Eden. Fece una lunga pausa per dare tempo di assimilare il nuovo concetto, mentre i giovani continuavano ad avanzare scandendo i loro slogan, e gli altri, quelli con elmetti, maschere e divise grigioverde, fissavano nervosi i manifesti e gli striscioni che si erano fatti abbastanza vicini da poter essere letti. Alcuni gruppetti di giovani si fermarono e presero a dare colpi di spranga alla pavimentazione della piazza.

- Lo so che vi sembra incredibile; potervi gettare alle spalle la vostra vita di solitudine, ora vi sembra impossibile. Ma credetemi, io sono venuto qui in mezzo a voi per annunciarvi la buona novella: il fratello chiama a sé il fratello più piccolo.

Parlando, notò che la gente alle sue spalle aveva continuato ad avanzare, mentre gli altri davanti a lui erano ancora fermi laggiù in fondo. Forse non lo sentivano; decise allora di camminare anche lui in quella direzione.

- Lo so, la gioia vi annebbia la mente, non riuscite a pensare; ma non abbiate paura di non essere all’altezza dell’avvenimento, noi vi seguiremo nel cammino e il nostro aiuto vi sarà di conforto.

L’uomo con la fascia colorata prese in mano un megafono e urlò in direzione del gruppo di giovani: – Disperdetevi! La vostra è una manifestazione non autorizzata. Vi ordino di abbandonare la piazza singolarmente. Questo è l’ultimo avvertimento!

In risposta alle sue parole i manifestanti cominciarono a lanciare i blocchetti di pietra che avevano strappato poco prima dalla pavimentazione. I poliziotti alzarono i grossi scudi di plastica per difendersi dal fitto lancio e indietreggiarono di qualche passo.

Stava per riprendere il suo discorso, quando un sampietrino lo colpì al braccio. Sorpreso si volse a guardare verso il punto da cui doveva essere stata lanciata la pietra, poi abbassò lo sguardo e fissò incredulo la ferita al braccio. Non riusciva a capire cosa stesse succedendo; cosa significavano quelle pietre? Ce l’avevano con lui? Perché?

L’uomo in borghese diede l’ordine e gli agenti presero ad avanzare decisi, agitando nervosamente i lunghi manganelli neri. Una bottiglia molotov si infranse al suolo spandendo fuoco liquido, e quasi nello stesso istante alcuni agenti spararono sulla folla dei candelotti lacrimogeni.

In piedi nella nebbia, era completamente immobilizzato dalla confusione che gli si agitava nella mente, così simile a quella che lo circondava. Quello doveva essere un incarico normalissimo, come tutti gli altri; cosa era successo? Cosa stava succedendo?

Tutto intorno era un sovrapporsi di rabbiosi colpi di tosse e imprecazioni inframmezzate da singhiozzi; nonostante i fazzoletti bagnati sul viso e gli occhiali da sci, il gas penetrava ugualmente facendoli tossire e riempiendogli gli occhi di lacrime. Lentamente indietreggiarono cercando di uscire dal banco di nebbia. Gli agenti invece, si erano fermati in attesa che il gas venisse disperso dal vento; nonostante avessero le maschere, aspettavano una maggiore visibilità.

Le bianche volute di fumo si dileguarono lentamente mostrando a poco a poco le figure sempre più nitide dei giovani che si andavano disperdendo come se rincorressero la nebbia invece di sfuggirgli.

Immobile là in mezzo, con una mano stretta sulla ferita grondante sangue, si scosse con la stessa lentezza con cui la nebbia gli usciva dalla mente per essere dispersa dal vento. Vide gli agenti davanti a sé che riprendevano ad avanzare, vide le loro facce tese, le labbra tirate in un’ombra di sorriso, gli occhi fissi. Sentì dietro di sé le urla dei giovani che si andavano ricomponendo, ma non ascoltava ciò che dicevano, e non sarebbe arrivato a capire cosa avessero intenzione di fare. Scosse il capo confuso; dove aveva sbagliato?

- Fratelli! Cosa succede? Perché… perché questo?

A un nuovo ordine, gli agenti presero a correre con gli scudi alzati e i manganelli pronti nella mano; cadde ancora una molotov e diverse pietre; ma gli agenti continuavano a correre, e il sangue di smeraldo che gli usciva dalla ferita non si fermava e macchiava la veste leggera.

Poi gli furono addosso.

- Fratelli… fermi! Cosa…

- Ma vai in culo.

Il lungo manganello nero scese con violenza sulla sua testa e poi tornò a colpire, ancora e ancora e ancora… Le ossa sottili del cranio cedettero sotto i colpi, e schizzi di sangue e frammenti di tessuto cerebrale si sparsero intorno appiccicandosi sulle divise degli agenti che avevano ripreso a correre in avanti, mentre il corpo ormai senza vita cadeva nel sangue uscito a formare una pozzanghera che si andava sempre più allargando sull’asfalto.

Una buona occasione affondava in un lago di menta.

 

 

Racconti brevissimi – ottobre 1978

4 Responses to “I Lunedì dell’Arcipelago - In un lago di menta (dedicato a Vittorio Curtoni)”

  1. big one Says:

    Bello Ste’, ma che amarezza!

  2. Faust Cornelius Mob Says:

    E’ la realtà che fa schifo, amico mio…

  3. big one Says:

    Proprio così! C’e molta verità in questo breve racconto nonostante la trama fantastica. Per questo e’ ancora più amaro. E l’amarezza cresce se e’ davvero stato scritto nel 1978.

  4. SCa Says:

    Sì, in trent’anni sembra sia cambiato solo il colore delle divise. Però basta amarezza!

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