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I Lunedì dell’Arcipelago - Le ultime 48 Ore. Erano 8 e tutti d’Argento.

Categoria: Assaggi, suoni, visioni e letture, I lunedì dell'Arcipelago
Postato da: Faust Cornelius Mob

48ore

Torna “I Lunedì dell’Arcipelago”, in linea con il fermento che è tornato sulle pagine di Arcipelago Anonima dopo l’attacco hacker che ci ha tenuti per un poco fermi ai box. E’ tempo di ridere con Flavio Sarnelli e il suo “Le ultime 48 ore. cover custodia iphone Erano 8 e tutti d’argento”

Mirella, Mirella è la mia passione, ed è per lei che all’università frequento il corso di Storia del cinema. Mirella, dio… che ragazza. Quanto mi piace, con quegli occhi vivaci sempre in movimento, sempre in cerca di qualcosa d’interessante su cui concentrare la propria attenzione. Sempre pronta a carpire con lo sguardo l’ondeggiare di un fiore dall’esile gambo, un buffo gattino incerto sulle proprie zampette, bambini in corsa gioiosa all’uscita della scuola, ragazzine birichine intente a rimirarsi in una vetrina, sgignazzanti studenti del primo anno alla mensa della facoltà, barbuti colleghi di corso dall’aspetto un po’ bohemien, il professore del corso di storia del cinema dall’aria d’uomo vissuto ed esperto, il bidello… sempre in maschia tenuta con tanto di canottiera attillata al petto villoso, persino il parcheggiatore abusivo rozzo e burino che, quando lei gli porge la mancia, non manca mai di dirle con l’acquolina in bocca “signorina Mirella, cosa è che non vi farebbe io a voi” e l’accompagna con lo sguardo colmo di desiderio su per le scale, fin quando lei sparisce ridendo nell’atrio dell’università, e il parcheggiatore rivolto al bidello “Giggì, io a sta guagliona me la farebbe proprio a sponda ‘e lietto” e Mirella volteggia ridendo per i corridoi, e saluta Antonio con un bacio sulla guancia, Michele con un bacio sulle labbra, Vincenzo con un bacio in bocca, Salvatore saltandogli al collo festante, mentre lui è visibilmente contento di stringere, con forti mani da campione di lotta libera, quel suo bel culo che, a ogni passo, lei manda a destra poi a sinistra poi ancora a destra ancheggiando con esperta malizia, mandando tutti ai matti, lasciandoci con un palmo di naso e un vistoso imbarazzo, più o meno anch’esso lungo un palmo, difficile da nascondere. E Mirella ride, passando tra le braccia di questo, poi di quello come una trottola felice e permette e concede a tutti i maschi che incontra baci, carezze, tastatine di sedere, contatti epidermici a vario livello, sguardi ammiccanti, sfioramenti di dita sui capezzoli, passaggi di mano morta, ma mica poi tanto moribonda, anzi vitale e sempre pronta a strizzare, palpare, monitorare quel suo bel corpo mozzafiato taglia 40 ma con quaranta seni e ottanta voglia del suo culetto, che Mirella offre a tutti, nei modi e nei luoghi più svariati. Nei bagni della facoltà, nel ripostiglio delle scope, dietro la lavagna dell’aula magna tra un corso e l’altro, sul tatami con Salvatore, nel sottoscala con Vincenzo, Michele e Antonio, nella saletta a pianterreno con Giggino il bidello mentre il parcheggiatore abusivo guarda ansimando da dietro le tende veneziane, nella biemmevù del professore del corso di storia del cinema con il professore del corso di storia del cinema, mentre il parcheggiatore abusivo sbircia dal lunotto posteriore ripetendo ritmicamente “a sponde ‘e lietto, a sponde ‘e lietto”, a sponde ‘e lietto”, nell’auletta occupata, entrando a destra nel cortile, con sei barbuti colleghi di corso, nella cella frigorifero della mensa della facoltà con una decina di studenti sghignazzanti del primo anno, nei camerini del negozio di fronte l’università con quel trio di ragazzine birichì… beh basta ragazzi, direi proprio che basti. A ogni modo Mirella lo fa con tutti, dico proprio con tutti, anche nella sua stanza, da sola, con il cuscino e un paio d’ortaggi di quelli biologici, grossi così.
Con tutti, tranne con me. custodia de telephone samsung galaxy Che nemmeno mi vede. E nemmeno mi sente. cover custodia huawei Mentre io l’amo. Disperatamente… l’amo, che le getterei per accalappiarla. Invece: niente, come se per lei non esistessi.
Almeno fino a ieri quando, dopo due anni di tentativi a vuoto, un paio di tentativi di suicidio caduti nell’indifferenza assoluta, proprio il muro d’indifferenza, che aveva accuratamente innalzato tra me e lei, alla prenotazione della sessione d’esami di filologia, materia in cui eccello, detto muro s’incrina aprendo un varco, permettendo al suo sguardo, più invitante che mai, di posarsi dritto su di me.
“Chi io?” Le rivolgo incredulo “si, proprio tu, sono secoli che mi ronzi intorno come una mosca. Mi hai sempre chiesto di uscire, di vederci. Mi hai sempre mandato email romantiche, rasentando lo spam più fastidioso e invadente, tanto che i tuoi messaggi finivano direttamente nella posta indesiderata, e ora che t’incontro all’istituto di filologia e ti rivolgo lo sguardo, fai lo gnorri?”
“Beh, è che non me l’aspettavo più, ci avevo un po’ perso la speranza, ecco.”
“Non bisogna mai disperare Arturo,” ma che razza di nome, è evidente che stia pensando, mentre con i suoi occhioni ammicca in modo così tenero, ma così tenero che sembra mi tagli con un grissino. custodia huawei outlet Non posso perdere quest’occasione. Ora o mai più. Ci sono. Eureka! “Occhei, t’invito al cinema, stasera.”
“Un film… mmmh… si. Si può fare. custodia iphone Che film?” Mi chiede con una bellissima espressione vagamente tendente alla noia, da cui non mi faccio minimamente influenzare. Anzi, sfodero il colpo da maestro, la scelta di film, nella storia del corteggiamento in tempi moderni, più giusta e ricca di opportunità possibile, “ti porterò a vedere Gioventù alla meglio, il nuovo film di Giordano Marcotulli. Stasera ne danno la versione integrale alla sala 32 del multisala Modestissimo,” esulto gongolante. Consapevole del fatto che il film duri, pensate un po’, ben 48 ore!
“Ma dura 48 ore?” Urla in preda al terrore “si, ma danno anche sei pasti caldi, coperte e babbucce comprese nel biglietto,” aggiungo nella speranza che accetti.
“Vabbè” accetta! Ce l’ho fatta, “però mi scrivi per stasera la tesina di filologia” aggiunge.
“Certo Mirella. Tutto quello che vuoi” prometto al buio, senza neanche sapere se me la darà o meno.
“Adesso, che ne dici di andare a bere un caffè?” Esagero. “Esagerato. Per 48 ore sarò tutta tua” blink, uno sfavillio prodotto dai miei occhi le illumina un falso sorriso stentato.
“Ora devo andare,” mi dice scappando dalla parte opposta, urlando “Salvatore, Vincenzo, Michele, Antonio… abbiamo svoltato.”
Mi sfugge il senso di quella coniugazione del verbo svoltare in prima persona plurale, ma tutta la mia fantasia è proiettata a elaborare le migliori scene erotiche, protagonisti io e Mirella. 48 ore seduto accanto a lei, e con entrambe le mani libere: viva il cinema, viva la fiction. Un unico dubbio, e se non verrà sola? Mi fiondo in biblioteca a scrivere la tesina.
Verso le sette, dopo sei ore di ricerche, metto un punto alla tesina che introduce un nuovo periodo della mia futura vita sessuale. Un salto a casa per una doccia e alle otto e venti sono fuori al cinema Modestissimo. C’è una gran ressa. La prima cittadina, alla quale seguirà la premiazione, ha richiamato il fior fiore dell’intellighenzia locale. Faccio fatica a districarmi tra la folla, temendo di non riuscire a vederla, quando un vociare scomposto attrae la mia attenzione. Eccola, bellissima fra una ventina di sghignazzanti studenti del primo anno. “Acc… “ penso, “non sei venuta solaaa” quasi le urlo andandole incontro, “ma che dici? Li ho incontrati quiii” mi rassicura, “piuttosto, hai portato la tesinaaa?” Mi chiede con sguardo da impunita.
“Certo, eccola” sventolo il fascicolo, che mi viene letteralmente scippato dalla possente mano da lottatore di Salvatore, sopraggiunto al mio fianco e spalleggiato dal trio Antonio, Michele e Vincenzo, “gliela portiamo noi, non ti disturbare”, mi urlano in coro.
“Anche loro qui” penso mentre cerco d’avvicinarmi a Mirella, che mi sembra sempre più irraggiungibile.
“Mirellaaa” urlo nella sua direzione “entriamo che fra un po’ inizia il fiiilm.”
“Comincia a comprare i biglietti e a trovare i postiii” a sua volta mi urla da lontano, “che io ti raggiungo appena possibileee. Poi… aremo ntott’ore… mpre… ieme, tu io… oliii” le sue parole sono coperte dallo sghignazzare degli studenti del primo anno, ormai una quarantina. Mentre di lato un gruppo di suoi colleghi di corso fende la folla raggiungendola. “Oddio, anche i barbuti” penso affranto, quando l’attenzione di tutti è distratta da uno stridio di freni, portiere d’auto sbattute, una voce nasale che intima ai presenti “largo, largo! Prego dottò, da questa parte,” il parcheggiatore abusivo fa spazio per il professore del corso di storia del cinema, seguito da Giggino il bidello che dice “eccola! È li,” avviandosi verso Mirella, sempre più immersa in un mare di braccia, mani, cosce, fiati, labbra, che la porta alla deriva lontano, sempre più lontano da me, ormai naufrago d’amore.
In preda allo sconforto e alla confusione più totale cerco, fra la folla, di guadagnare lo spazio aperto e, sconfitto, ritornarmene a casa a sognare di lei, ma la calca mi chiude ogni via di fuga. Tutti spingono per entrare nel cinema. Che errore ho fatto. Non questo film dovevo portarla a vedere, ma L’ultimo macho di Buccino, che danno nella sala 18 del Modestissimo. Un’intima saletta a due posti con lo schermo quindici pollici, ideale per flirtare. Ho voluto strafare, e la scelta del film di Marcotulli da 48 ore di felicità, si è trasformata in le mie prossime 48 ore di rassegnazione, anche perché la folla di caparbi e determinati amanti della fiction mi spinge a varcare la soglia dell’atrio del cinema.
“Prego signore, quanti biglietti?” Mi fa il cassiere al di là del vetro “uno, grazie” rispondo per educazione.
“Sono 30 euro!”
“30 euro? Ma io ho l’abbonamento” protesto “sospeso! Stasera c’è la prima, seguita poi dalla premiazione dei Morsi d’Argento alla presenza del regista.”
“Ah beh, se è così” pago ed entro spinto dalla folla. In sala è già buio pesto. A stento riesco a trovare un posto laterale, in prima fila, con lo schermo semi coperto da una colonna. Il silenzio dilaga sui titoli di coda. Interminabili, durano 35 minuti! 35 minuti di schermo nero e titoli a scorrimento senz’audio. Con la gente che continua a fare “ssshh” senza alcun motivo, perché non c’è audio. Il silenzio è rotto soltanto da certi soffocati risolini di Mirella, persa nel buio della platea chissà dove, alternati da diversi sgignazzi di una sessantina di studenti del primo anno, da svariati sospiri di una ventina di barbuti colleghi di corso, da alcuni gemiti del professore del corso di storia del cinema, da qualche rantolo di Giggino il bidello, da eco lontane del parcheggiatore abusivo “ondeliè, ondeliè”, da taluni fremiti eccitati di Antonio, Vincenzo, Michele e Salvatore. Fino a uno “ssshh” definitivo che zittisce tutti. Inizia il film.
Ambientato in una casa di riposo, un gruppo di vecchi rincoglioniti rievoca i bei tempi della gioventù andata. Piani sequenza lunghissimi, scene interminabili di quotidiani gesti dei personaggi riempiono lo schermo e i nostri occhi.
Tristi e affranti per l’inesorabile avvicinarsi della fine, soffrendo di solitudine, anche perché nell’enorme parco della casa di cura geriatriche Il viale del trapasso non s’incontrano mai fra loro, i vecchi sono maltrattati da arroganti infermieri, che mostrano loro tutta la propria indifferenza di uomini giovani, sani e vitali.
Il protagonista, un uomo di 96 anni, racconta al suo nipotino settantaduenne di come abbia sofferto di solitudine per circa un secolo. Povero, orfano, mutilato di guerra, una vita di stenti. Più che una vita un’agonia, sottolineata dal regista da lentissime sequenze al rallentatore del protagonista, che tenta di farsi la barba, solo nella sua squallida stanzetta d’ospedale. Con un pezzo di specchio attaccato al muro da un chiodo arrugginito, un consunto pennello da barba quasi senza più peli, un mozzicone di sapone annerito dal tempo, un bacile dai bordi sbeccati colmo di acqua torbida. La commozione del pubblico rasenta l’apice quando il povero novantaseienne tenta, finalmente, di radersi dopo essersi insaponato per sei ore circa. Afferra maldestramente, con le dita irrigidite dall’artrosi galoppante, il rasoio anteguerra portandolo alla faccia, ma non ha la forza di farsi la barba. Non ci riesce. La debolezza non glielo consente, e allora piange. Piange e le lacrime gli rigano il volto insaponato. E piange per circa tre ore. Che film! Qualcuno tra il pubblico tossisce, subito zittito da svariati “ssshh”, tra i quali uno in particolare si distingue per il tono deciso, perentorio. Verso la sedicesima ora del film, durante una scena fondamentale che riprende il vecchio mentre si riscalda il brodino, la signora accanto a me muore di noia. Subito due manovali, sollevandola di peso, la portano via. Io conquisto, con uno scatto fulmineo, una posizione migliore. “Certo che, da qui, il film ne guadagna, penso” mentre, nel corridoio laterale, alcune persone rimaste in piedi trattano, fra di loro, per accaparrarsi il mio ex posto.
Verso la ventiquattresima ora un tramestio proviene dall’uscita di sicurezza. Qualcuno stava tentando di evadere, accorgendosi, però, che le porte sono sbarrate dal di fuori. Immediatamente è stato ricondotto al proprio posto e ammanettato alla poltrona. Alla trentesima ora, un noto critico, che scrive su un famoso quotidiano, tenta a mezza voce di analizzare un passaggio cruciale del film: quando il vecchio protagonista prova, con esito negativo, a misurarsi la pressione con un’antidiluviana pompetta con tanto di manometro simbolicamente senza lancetta. Improvvisamente, un fascio di luce accecante investe il giornalista e un uomo in divisa da maschera del cinema, con al guinzaglio un ringhiante doberman, gli intima con un imperativo “ssshh” il silenzio assoluto.
Il pubblico tace. Un uomo sui quaranta si suicida lanciandosi dalla balaustra della platea superiore. Però, muore in silenzio. Alla quarantaduesima ora il vecchio protagonista ha un attacco d’asma. Strabuzza gli occhi, rantola, gli manca il respiro, sembra che tiri le cuoia, tutti noi ci guardiamo speranzosi l’un l’altro. Forse il film finisce prima, ma l’irruzione di un giovane infermiere nella stanza del povero malato, seguita da una gragnuola di schiaffi, fa riprendere il novantaseienne che ricomincia a respirare ritmicamente, chiedendo al giovane “perché non mi hai lasciato morire?”
“Perché meriti soltanto di vivere, vecchio scemo” e se ne va sbattendo la porta che chiude, definitivamente, ogni nostro spiraglio di salvezza.

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