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Il Fascismo è una questione di famiglia - 1

Categoria: Interpretazioni, Narrazioni
Postato da: Torquemada

[Sul numero di Libero del 2 Marzo 2010, c'è una intera pagina dedicata a due scrittori, Antonio Pennacchi e Lorenzo Pavolini, che hanno fatto parte dell'antologia 'Il Bit dell'Avvenire'. Il primo, Pennacchi, è alla seconda recensione del suo libro 'Canale Mussolini', che già fa parlare molto di sé, mentre Pavolini riceve la prima nota per il suo 'A cavallo della tigre'. Partiamo dal secondo, anche se il romanzo uscirà giovedì]

A CAVALLO DELLA TIGRE

In questi giorni il fascismo torna in sala narrativa anche con il terzo romanzo di Lorenzo Pavolini (classe 1964), Accanto alla tigre (Fandango, pp. 248, euro 16,50, in libreria da giovedì), dedicato al nonno Alessandro, gerarca appeso in piazzale Loreto accanto al Duce e alla Petacci. Lui, convinto fosse morto in volo come il suo amato Saint-Exupery e non fucilato alla schiena dai partigiani dopo essere stato catturato armi in pugno, apprende la verità solo scoprendone una foto in un libro delle medie e si mette in testa di accostarsi alla ‘tigre’. Finendo, quasi inevitabilmente e per quanto involontariamente, per cavalcarla.

[A questo punto uno può chiedersi: chi era Pavolini Alessandro, oltre ad essere un gerarca fascista e ad essere stato appeso a Piazzale Loreto?]

I DUE (VERI) VOLTI DEL GOEBBELS ITALIANO

Classe 1903, squadrista a 19 anni, a 26 anni è già federale di Firenze; cinque anni dopo è presidente della Confederazione fascista professionisti e artisti per altri cinque anni; quindi ministro della Cultura popolare dal 1939 al 1943: è Alessandro Pavolini, forse il più significativo esponente della nuova generazione fascista, quella che non ha fatto in tempo a fare la guerra, ma si è voluta ‘riscattare’ con la partecipazione allo squadrismo. Una vita trascorsa in fretta a raggiungere la ‘bella morte’: a 42 anni, fucilato dai partigiani sul lungo lago di Dongo, il 28 Aprile del 1945, seguiva la sorte di Mussolini a poche ore di distanza.
Personaggio controverso e contraddittorio, è diventato simbolo della violenza e dell’intransigenza più dura allorché fu portato dai tedeschi alla carica di segretario del Partito fascista repubblicano, durante la Rsi. Tuttavia, prima del 1943, Pavolini, due lauree e una buona produzione giornalistica e letteraria alle spalle, fu, nonostante certi toni verbali, sostanzialmente un moderato. Fondò e diresse ‘Il Bargello’, forse il più interessante fra gli organi locali del partito, con una terza pagina aperta al contributo di diversi intellettuali, da Bargellini a Pratolini, da Luzi a Vittorini, e inventò il Maggio fiorentino. Protetto da Ciano, al Ministerlo della Cultura popolare riuscì a fiancheggiare l’azione di Mussolini e dello stesso Ciano in politica estera finché esse concisero; poi prese sempre più le posizioni del duce, ma senza rompere con il ‘delfino’ e soprattutto senza indulgere nella retorica staraciana. Mantenne una posizione abile e intelligente nei confronti dei tedeschi nel periodo della ‘non belligeranza’; difese l’antologia Americana curata da Vittorini e nel campo del cinema permise la diffusione di Ossessione di Visconti.
Fu la crisi del regime, nel 1943, a far scattare il suo spirito giacobino e intransigente. Capo dei fascisti repubblichini e capo delle Brigate nere, rappresentò il potere più forte e più autonomo nella Rsi, trasformando il Pfr in ‘partito-milizia’, in una èlite di credenti e di rivoluzionari. Mussolini tentò, nella primavera del ‘44, di sostituirlo con Balisti, ma non vi riuscì perché il partito fece quadrato attorno a lui: fu il principale responsabile della fucilazione di Ciano, interpretando così le istanze del fascismo più estremista e organizzò l’azione di cecchinaggio a Firenze, mentre stavano arrivando gli Alleati. Impresse alla repressione partigiana tratti di efficienza e di violenza non comune.
Una trasformazione radicale, la sua, dovuta alla consapevolezza che con la fine del fascismo sarebbe finito un mondo, il suo mondo, letterario e mitico, fatto di onore, di coerenza e di tragica consequenzialità.

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