Anonima scrittori


Il giallo italiano non esiste

Categoria: Assaggi, suoni, visioni e letture
Postato da: Torquemada

articolo di Nicola Villa, ripreso dal suo Blog ‘Fanfole’

[Si parte dall'analisi di un libro  - di Andrej Longo, una vecchia conoscenza dell'Anonima in una presentazione a Latina, presso la Libreria Mondadori - per fare una seria riflessione sul giallo in Italia. Una riflessione che raccogliamo e che volentieri rigiriamo agli anonimi scrittori e ai lettori di questo sito]
Napoli anni novanta. La riscoperta da parte della polizia di un cadavere di una ventenne della borghesia napoletana, Sarah, in un palazzetto di Posillipo sembra dare avvio al più classico dei noir. Peccato che il quinto libro di Andrej Longo, Chi ha ucciso Sarah?, si distingua per una trama inconsistente, un colpo di scena senza sapore e dei personaggi (un linguaggio) vuoti. Non è sufficiente, infatti, che il punto di vista del racconto sia di un poliziotto ventenne alle prime armi immedesimatosi con la vittima, che ci sia il commissario malinconico proposto come figura paterna poco credibile. Sono personaggi-vettoriali, macchiette da fiction, che non dicono niente di nuovo: alla fine il “personaggio” di Longo appartiene alla piccola borghesia partenopea, perché la lingua, la parlata, una sorta di italiano napoletanizzato, è quella dominante della piccola borghesia partenopea. Dal centro a Posillipo sempre, passando per Mergellina dove si può prendere una bibita fresca o un gelato contro la tremenda calura estiva (l’omicidio è festivo e estivo.. un altro cliché), mai oltre, solo una volta alla Sanità dove l’unico proletario di tutto il romanzo parla un po’ più aspramente ma sotto sotto è buono e giusto e non farebbe male a una mosca. Tutto è trascurato in questo libro, dalla trama alla costruzione del giallo vero e proprio, in ottica della redenzione del tema sociale e di conseguenze umane: ma se anche il tema sociale è assente e palesemente sbilanciato sul punto di vista di un unica classe sociale, per lo più dominante, e i risvolti psicologici sono irrisori, allora ci troviamo di fronte a un fallimento, un genere morto.

Lo scrittore ischiano ha raggiunto la notorietà e l’apprezzamento del pubblico (Premio Chiara a esempio) due anni fa con una raccolta di racconti, Dieci, pubblicata sempre per Adelphi, ispirati ai dieci comandamenti sulla Napoli contemporanea, su la malavita e su Scampia. Allora poche voci critiche si sono alzate per denunciare l’eccessivo “tremendismo”, il gusto cioè per le nefandezze della cronaca, e per un linguaggio sostanzialmente artefatto con il quale Longo cavalcava l’onda lunga di Gomorra. Il fatto che il libro successivo a Dieci sia un tentativo non riuscito di genere, fa pensare che il giallo sia diventato un facile rifugio per i nostri scrittori. In Italia non esiste una scuola vera e propria di genere, se la confrontiamo con quella di lingua inglese e con l’ultima nord-europea, e, soprattutto, nessuno è Camilleri e tutti vorrebbero esserlo. Camilleri è un punto di riferimento importante che spesso viene sottovalutato o liquidato, ma nessuno si chiede perché sia così difficile imitarlo. Il romanzo di genere locale, regionale o cittadino, voga che va dal nord al sud in modo abbastanza conforme, dimostra continui tentativi di imitazione dello scrittore siciliano e vuole sfruttare una discutibile appartenenza identitaria e dialettale. Inoltre gli scrittori di genere, penso anche a Carofiglio, sono sempre in ritardo sulla comprensione dei fenomeni sociali: si accorgono tardi che le loro città sono dei laboratori di trasformazione culturale e antropologica. Sono sostanzialmente miopi e cercano di sfruttare, sempre in ritardo, quello che televisione e politica, per non parlare delle mafie, capiscono e strumentalizzano per primi. Insomma non ci siamo.

Avrei voluto intitolare questo articolo “Chi ha ucciso il giallo italiano?” ma sarebbe stato troppo simile al commento “Chi ha ucciso la fantasia dei giallisti italiani?” di giò su aNobii. In realtà avrei voluto scrivere quello che lei ha scritto nella sua efficace e vera osservazione generale sullo stato (inesistente) del giallo italiano: “Un po’ sulla scia del giallo poliziesco all’italiana: più socio-psicologico che giallo vero e proprio. Alla fin fine questi libri sembrano tutti uguali. Cambia la città e la parlata; una volta c’è l’agente di polizia; un’altra il commissario o l’avvocato…ma dopo tutto le storie si assomigliano tutte e i personaggi rispondono quasi sempre al medesimo cliché. Insomma gli autori son diversi, ma sembra di stare dentro a un’unica gigantesca fiction televisiva che va da Napoli a Bari, da Milano alla Sicilia. L’imperativo è: 1.scrivere un libro con un protagonista “molto umano”, con le sue debolezze, ma fondamentalmente “giusto”. Non bello, non brutto, non acuto, non scemo. Un po’ triste, trasandato, sensibile, ma con un misto di cinismo-ironia-malinconia, e soprattutto completamente privo di qualsiasi moto di allegria. 2. Scrivere un libro infischiandosene assolutamente della trama e degli ingredienti che fanno di un giallo un buon giallo. Che importa se lo spunto è scialbo, se ci sono delle incoerenze nella storia, se non ci sono suspense ed enigmi da sciogliere. Qui c’è ben altro, c’è la problematica sociale a far da padrona, ci sono i risvolti psicologici…che barba!”.

2 Responses to “Il giallo italiano non esiste”

  1. Il giallo italiano non esiste Says:

    [...] Guarda Originale:  Il giallo italiano non esiste [...]

  2. k Says:

    Bello.

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