Il lato oscuro di Walt Disney
Categoria: Assaggi, suoni, visioni e letture
Postato da: Torquemada
['Vita di Walt Disney. Uomo, sognatore e genio' è un libro di Michael Barrier, edito per i tipi della Tunuè - stessa casa editrice de 'Il bit dell'avvenire' di Anonima Scrittori. Riportiamo la recensione de La Repubblica del 28 Dicembre 2009, a firma di Luca Raffaelli]
«Non dimenticatevi questo: è la legge dell’universo che i forti sopravvivano e che i deboli debbano in ogni caso soccombere; e non me ne importa un bel niente di quale schema idealistico ci si possa inventare: niente può cambiarla». Così disse Walt Disney l’11 Febbraio 1941, nei giorni dello sciopero, organizzato da alcuni suoi collaboratori, che cambiò la sua vita. E’ quello il momento che Michael Barrier pone all’inizio della biografia ora pubblicata in Italia (Tunuè, pagg. 560, euro 24) sotto la cura e la traduzione di Marco Pellitteri e con un’introduzione di Giannalberto Bendazzi. Barrier non è un fanatico disneyano né uno scrittore alla ricerca dello scoop a tutti i costi: da appassionato di cinema ha raccolto decine e decine di interviste con i più stretti collaboratori di Disney, documenti, disegni e resoconti stenografici delle riunioni che avvenivano nello Studio. Così è arrivato a scrivere una biografia documentata e obiettiva, in cui del carattere di Walt non si tagliano gli estremi. «Uomo, sognatore e genio», scrive nel sottotitolo all’insegna della positività: non si può davvero mettere in discussione che Disney abbia avuto una straordinaria visione del mondo da offrire in forma di spettacolo. Per raggiungere il suo scopo (in cui la ricchezza era solo la logica conseguenza del successo) ha agito con coraggio e lungimiranza produttiva e artistica, aiutato da un destino magico, ma non sempre benevolo. Disney è stato il primo a capire quali fossero le potenzialità dei cartoni animati sonori (il primo film di Mickey Mouse è sonoro, del 1928), poi di quelli a colori, con gli effetti speciali, e poi il primo a gettarsi nell’idea, che altri giudicavano pazzesca, di realizzare un lungometraggio a cartoni (Biancaneve è del 1937). Per riuscire in questo ha fatto crescere artisticamente decine di animatori, mettendoli a confronto con l’arte e l’illustrazione europea, e ha ritagliato per sé stesso un ruolo particolare, non quello del produttore e nemmeno del regista: era qualcosa di più, quasi il detentore di un linguaggio e uno stile, il giudice supremo di tutto quello che poteva accadere nel suo Studio. Non a caso volle anche lui i Nove Vecchi (i nove collaboratori più fedeli) tanti quanto quelli della Corte Suprema degli Stati Uniti. Insomma, lui, Walt, era come il Presidente. Ed è proprio in questo bisogno smisurato di gonfiare il proprio ego l’altra faccia della medaglia. «Poteva essere una persona molto difficile durante le riunioni, manifestando l’assenza di qualsiasi interesse per chi lo ascoltava. Poi, circa una settimana dopo, veniva nella tua stanza tutto pieno d’entusiasmo e ti raccontava la tua idea come se fosse stata sua», scrive Barrier a proposito degli anni successivi a Biancaneve. «Oh, merda» era la sua frase più frequente, anche se era «notoriamente e contraddittoriamente pudico». Poi Walt Disney si prendeva volentieri il diritto di far credere pubblicamente che certe scene dei suoi film le avesse fatte lui, così come erano firmate solamente ‘Walt Disney’ anche le storie a fumetti della famiglia dei paperi scritte e disegnate da Carl Banks (anche di Banks è uscita una bella biografia, scritta da Thomas Andreas e pubblicata da ProGlo). Controllare una scena animata insieme a Disney poteva essere un’esperienza frustrante e mortificante, e non a caso Disney aveva battezzato ’sweatbox’, la saletta in cui l’esame veniva effettuato: sweat come sudore non solo perché la saletta era piccola e poco areata, ma anche per il terrore di quei momenti. E, nonostante tutto, Disney voleva essere amato: come un padre severo e a volte inarrivabile, come una figura mitica e lontana, come una star. E voleva fedeltà assoluta: nel 1929 licenziò un suo animatore solo perché aveva osato chiedere a un altro Studio quanto pagassero. Così, quando il 28 Maggio 1941 fu organizzato un picchetto di scioperanti davanti allo Studio (a scendere in piazza più o meno un terzo dei suoi 1.079 impiegati), per Disney fu un tradimento insopportabile: «ho capito che devi stare molto attento a dare qualcosa alla gente. Alle persone non puoi regalare nulla». Qualche giorno dopo, scrisse a un giornalista esprimendo il suo disgusto per uno sciopero «ispirato e diretto in chiave comunista». Fu così che Disney non fu più lo stesso, che a poco a poco il suo amore per i cartoni scemò e crebbe quello per i documentari e i film dal vero. Mentre il suo sogno divenne Disneyland.
gennaio 26th, 2010 at 14:16
da queste poche righe non viene fuori proprio una bella persona…spero che la bio non sia tutta così altrimenti dò fuoco a tutte le cassette di mia figlia.
gennaio 27th, 2010 at 12:38
Prima di accendere il caminetto e di buttarci tutte le cassette di tua figila… magari leggiti tutta la biografia. Qualche sorpresa - positiva in questo caso - ci sia.