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Incanti e disincanti - Il cinema di David Lynch

Categoria: Assaggi, suoni, visioni e letture, Interpretazioni
Postato da: zaphod

[Il cinema di David Lynch sotto la lente di ingrandimento di Sergio L. Duma. Un percorso di lettura e visione che prende le mosse dagli esordi del regista americano fino ad arrivare a sbrogliare l'incredibile matassa visionaria di Inland Empire. Per parafrasare uno dei commenti al volume di Minimum fax Perdersi è meraviglioso - interviste sul cinema, "per gli amanti di Lynch. E per quelli che non lo hanno mai capito.]

L’uomo spesso sogna un futuro e una vita migliori. A volte si rifugia nella fantasticheria e nell’incanto di una esistenza piacevole per fuggire dallo sconforto di una realtà insoddisfacente. Tale atteggiamento non è nuovo. È anzi insito nella nostra sensibilità e filosofi, artisti, intellettuali hanno ragionato sul sogno. Nel panorama artistico anglosassone, c’è un regista, in particolare, che a tale tematica ha dedicato gran parte della sua produzione, concentrandosi sull’incanto che il sogno comporta e sul disincanto che la realtà implica. Mi riferisco all’americano David Lynch, uno dei più grandi registi viventi. Considerare Lynch, comunque, un cineasta significherebbe sminuirlo. È senz’altro vero che è al cinema che il regista originario del Montana deve la fama; ma Lynch, come buona parte degli artisti multimediali contemporanei, è anche coinvolto nella pittura, nella grafica, nella fotografia, nella musica. In altre parole, Lynch è ciò che gli americani, in particolare, definiscono ‘artista rinascimentale’, impegnato, cioè, in innumerevoli e diversificate esperienze creative. Di tale versatilità ci si può rendere conto assistendo alla sua straordinaria mostra fotografica, ‘Fetish’, esposta a Londra, a Parigi e a Milano, in occasione della Triennale, ricca di dipinti, fotografie, creazioni sonore. Con la collaborazione del designer francese Christian Louboutin, Lynch ha per esempio fotografato le ballerine del Crazy Horse con ai piedi scarpe dalle forme bizzarre, di chiara matrice feticista. Un’altra sezione della mostra, ‘The Air is On Fire’ è dedicata alle memorie d’infanzia e alle visioni ricorrenti di Lynch, come i quadri dedicati alla figura tenebrosa di Bob, simbolo del Male, una delle sue più celebri creazioni sin dai tempi, come vedremo, del suo ‘Twin Peaks’; oppure potremmo citare la serie dei cosiddetti ‘Distorted Nudes’, nudi distorti: fotomontaggi digitali creati da immagini erotiche dei primi del Novecento.

Ma parlavo del sogno. Lynch non ha mai nascosto la sua attrazione nei suoi confronti e la stragrande maggioranza delle sue opere è ricca di suggestioni oniriche. E il sogno per eccellenza, Hollywood, è da sempre per Lynch un’ossessione. iphone cover original Il nome ‘Hollywood’, ‘Bosco Allegro’ o ‘Bosco Felice’, è espressione che definisce un mondo luminoso la cui superficie è perfetta e attraente. Ma ‘holly’ rimanda anche a ‘holy’, sacro, e a ‘hell’, inferno, il contrario del sacro, e perciò potremmo tradurre ‘Hollywood’ come ‘Bosco Sacro’ o ‘Bosco Infernale’; e sacro e profano a Hollywood dilagano. Lo aveva già intuito Francis Scott Fitzgerald negli anni venti del secolo scorso, con i suoi produttori, i ‘tycoon’, belli e dannati; uomini perfetti esteriormente ma condannati alla morte dell’anima con la loro corruzione: proiezione e rappresentazione del marciume del sistema degli Studios. O anche Nathaniel West che nel suo ‘The Day of the Locust’ aveva già percepito la contraddizione di un mondo tutto lustrini e luccichii ma contaminato da una segreta, nascosta abiezione. In tempi più recenti, il giovanissimo Joshua Miller ha sconvolto il panorama letterario statunitense con il suo ‘The Mao Game’, imperniato sul personaggio di una anziana fotografa di Hollywood che sta per morire di cancro, sullo sfondo delle palme lambite dal vento, del Sunset Boulevard, delle ville con piscina dei divi, autentica rappresentante di un mondo di sogno corrotto dalla malattia (e il fatto che l’autore sia nipote di un celebre fotografo specializzato in ritratti di attrici della Golden Age hollywoodiana è significativo). Anche nell’ambito del noir uno scrittore come James Ellroy si è spesso concentrato sui vizi di Hollywood, ambiente da lui definito ‘notturno’, simile a un sogno trasformato in incubo, un incanto che lascia spazio a un doloroso disincanto di fronte alla realtà delle cose. E in questo senso è significativo il suo ‘Black Dalhia’. Ellroy, d’altronde, non ha mai nascosto il suo debito di ispirazione nei confronti di Kenneth Anger, regista controverso, occultista e soprattutto autore di ‘Hollywood Babylon’, libro che rivelava, con spietata sincerità, la realtà squallida ben celata dai sorrisi perfetti delle star. Potrei citare molti altri esempi di tale tendenza ma non è lo scopo di questo contributo e intendo concentrarmi prevalentemente sull’attività di David Lynch che ha scelto di utilizzare tematiche già ampiamente affrontate e anticipate, come ho scritto, da altri artisti.

Primi incanti.

Gli esordi di Lynch avvengono nel campo della pittura e, più in generale, delle arti figurative. cover iphone 7 custodia outlet Fortemente influenzato dal surrealismo (che, lo ricordo, del sogno e dell’incanto ha fatto la sua bandiera), definisce le sue tele ‘sinfonie industriali’, ‘mondi carichi di colore oscuro che nascono dai miei sogni’ (v. Rodley, 1998). In seguito, dopo aver costruito strani congegni, come donne meccaniche che si trasformavano in macchine da scrivere o flipper a forma di bocca femminile che producevano svariati suoni, realizza i primi cortometraggi sperimentali. Il suo sconvolgente film d’esordio, ‘Eraserhead’, già rivelava l’interesse di Lynch nei confronti dell’universo onirico; tuttavia, qui non è ancora presente la dicotomia incanto/disincanto che diventerà evidente nelle opere successive, e lo stesso si può dire per ‘Elephant Man’ e ‘Dune’ che, comunque, alla suggestione del sogno, specie l’ultimo, devono molto.

Il sogno della provincia americana.

Il senso del disincanto incomincia a rivelarsi in ‘Blue Velvet’, per molto tempo il suo film più conosciuto e da parecchi considerato il suo capolavoro. Ambientato in una cittadina statunitense, Lumberton, che più che altro rappresenta lo stereotipo del paesino felice e tranquillo propagandato dalla cultura mediatica americana degli anni cinquanta/sessanta (genere ‘Happy Days’, tanto per capirci), l’opera esplora la realtà nascosta nel sogno. In questo paese è tutto perfetto. Le villette hanno giardini ben curati. I bambini vanno a scuola ordinatamente, sotto l’occhio attento di un vigile. Le persone sono gentili e sorridenti. Il bravo ragazzo della porta accanto, interpretato da un ottimo Kyle MacLachlan, è educato e tranquillo e la studentessa giudiziosa, una strepitosa Laura Dern, con i suoi abiti poco vistosi, il viso acqua e sapone, l’ostentata timidezza, è la figlia che tutti vorrebbero avere. Insomma, siamo nel sogno suburbano propriamente detto, quello vagheggiato da tanti americani. Ma i giardini ben curati pullulano di scarafaggi orribili (e Lynch, con sguardo impietoso da entomologo, ce li fa vedere in primo piano); le persone sorridenti spesso nascondono segreti inconfessabili; il ragazzo della porta accanto entra di nascosto nelle case delle donne sole per osservarle mentre si spogliano; e le ragazzine di buona famiglia non sono poi così tranquille. Insomma, nell’incanto provinciale di Lynch si nasconde il Male, simboleggiato dalle pulsioni perverse e incestuose di uomini insospettabili. Ed è lo stesso Lynch che definisce ‘Blue Velvet’ un ‘film sogno’, ‘ricco di immagini che hanno ossessionato le notti degli adolescenti degli anni cinquanta, un sogno che però si è trasformato in incubo’ (v. Caccia, 2004). Lynch dichiara che l’idea originaria di ‘Blue Velvet’ (e del successivo ‘Twin Peaks’) nacque osservando le sue foto giovanili. In tutte le foto, dice il regista, sia lui sia gli altri membri della sua famiglia sfoggiavano un grande sorriso. Secondo Lynch, ciò era una metafora dell’America: una nazione che viveva in un sogno felice e si crogiolava in tale illusione, senza sapere che ben presto il sogno sarebbe finito e il disincanto, ciò che Lynch definisce ‘catastrofe imminente’ (v. Rodley, 1998), avrebbe preso il sopravvento. E nella fattispecie, per Lynch, la catastrofe si sarebbe realizzata con la guerra del Vietnam, i conflitti generazionali, il terrore atomico, i problemi razziali e sessuali.

Incubo da schermo televisivo.

E’ con il serial televisivo ‘Twin Peaks’, però, che Lynch inizia ad approfondire il conflitto sogno/realtà o incanto/disincanto. Ancora oggi considerata rivoluzionaria, la serie tv sconvolse il pubblico americano e internazionale con il quesito ‘Chi ha ucciso Laura Palmer?’, pretesto utilizzato da Lynch per esplorare fino in fondo le sue ossessioni. Anche in questo caso, lo sfondo dell’azione è una piccola cittadina di provincia, simile alla Peyton Place immaginata da Grace Metalious. Nel romanzo ‘Peyton Place’, la scrittrice descrive una complessa e labirintica vicenda ambientata in una città del New England, popolata da gente perbene, da famiglie solide tutte religione e lavoro. Il volto pulito del sogno americano, insomma. Ma dietro la facciata si nascondono tradimenti, violenze in ambito familiare, disillusioni. In un certo senso, Grace Metalious anticipò la voga di certe saghe familiari (e lo stesso ‘Peyton Place’ ebbe due versioni cinematografiche e una televisiva), svelando, non si sa quanto consapevolmente, la falsità delle apparenze.

Lynch parte da questo modello e ambienta la vicenda in un paese immaginario del Nord Ovest, Twin Peaks, appunto, una Peyton Place moderna. Qui la natura è idilliaca, con le splendide quanto inquietanti foreste e in particolare con gli abeti ‘Douglas Firs’, vera icona del serial; con un lago; con un paesaggio incantato (e i termini ‘sogno’ e ‘incanto’ sono sovente pronunciati dai personaggi della storia). Ma in questo mondo pacifico avviene la tragedia: il corpo nudo e senza vita di Laura Palmer, reginetta del liceo di Twin Peaks, viene trovato in riva al fiume, avvolto in un sacco di plastica. L’assassinio della ragazza, studentessa modello da tutti ammirata, sconvolge la piccola comunità e nello stesso tempo distrugge il sogno della vita serena degli abitanti di Twin Peaks. L’arrivo dell’agente dell’FBI Dale Cooper dà inizio al disincanto: sarà Cooper, infatti, puntata dopo puntata, a togliere il velo dell’ipocrisia e a scoprire la realtà autentica delle cose. A Twin Peaks tutti hanno perlomeno un amante. Le famiglie rispettabili celano segreti imbarazzanti. La ragazzina modello di giorno era di notte una prostituta tossicomane. Aggiornando il modello Peyton Place all’era Bush, Lynch inserisce nella vicenda torbide storie di droga, di liceali scapestrati e assassini, con un forte senso di disincanto che si accentuerà man mano che la complessa storia si dipana. La scoperta del colpevole dell’omicidio di Laura, e cioè suo padre, rappresenta il punto culminante della trama: l’avvocato rispettabile e stimato è in realtà un maniaco che ogni notte abusa della figlia. Questa è la realtà nascosta nel sogno, sembra volerci dire Lynch. E la suggestione onirica è fortemente presente nel serial e tale particolare ha spinto alcuni critici (v. Grasso, 2007) a considerare ‘Twin Peaks’, almeno per gli standard televisivi dei primi anni novanta, un prodotto innovativo: esiste infatti una dimensione parallela, popolata da enigmatiche creature da incubo che giocano con gli abitanti della cittadina, manipolandoli. Tra essi, l’inquietante Bob, un uomo dai capelli lunghi e spettinati e il ghigno satanico, la rappresentazione del Male, colui che controlla dietro le quinte il mondo celato nella maschera dell’incanto. È lui a spingere il padre di Laura ad uccidere la figlia. E sarà sempre lui, alla fine della serie, ad avere l’ultima parola. Secondo Lynch, quindi, una volta che il disincanto è arrivato, non ci potrà essere salvezza e l’incanto inevitabilmente non potrà tornare. custodia de telephone samsung galaxy Le riflessioni sul mondo reale/irreale di Twin Peaks sono poi proseguite nel lungometraggio ‘Twin Peaks – Fire Walk With Me’, senza però che si sia aggiunto molto a ciò che già si comprendeva.

Incanti fiabeschi.

Anche in ‘Wild at Heart’, che fa vincere a Lynch la Palma d’Oro al Festival di Cannes, ci sono riferimenti alla dicotomia incanto/disincanto, benché il film risenta comunque di altre ispirazioni, in particolare dell’immaginario filmico e musicale degli anni cinquanta e della narrativa pulp. custodia de samsung Tuttavia, la vicenda di due amanti in fuga, ostacolati dalla madre della ragazza, si presta ad alcune riflessioni. Se in ‘Twin Peaks’ il padre perfetto è uno psicopatico omicida, in ‘Wild at Heart’, la madre esemplare è una pazza pronta ad assoldare un killer allo scopo di eliminare il ragazzo della figlia, colpevole di essere a conoscenza dei segreti scottanti della donna. samsung custodia outlet C’è inoltre, in tutta la vicenda, un interessante sottotesto, collegato alla favola del Mago di Oz. Lula, la protagonista della pellicola, immagina di vivere all’interno della fiaba, identificandosi nel personaggio della strega buona dell’Ovest (e va da sé che la madre è la strega cattiva). Il romanzo di Frank L. Baum, ‘The Wizard of Oz’, è molto importante per la cultura statunitense e Lynch lo utilizza di proposito, come archetipo narrativo, per fare l’ennesima analisi sul conflitto tra realtà ed apparenza. In verità, tale conflitto non viene risolto e in diversi momenti lo spettatore si chiede cosa sia vero e cosa non lo sia e l’ambiguo, spiazzante lieto fine del film non ci fornisce (volutamente) una risposta precisa.

Il sogno di Hollywood.

‘Lost Highway’, opera complessa e inclassificabile, gioca sui concetti di ‘realtà’ ed ‘apparenza’; tuttavia qui non c’è disincanto, dal momento che la vicenda, imperniata su un caso di uxoricidio e di sdoppiamento della personalità, malgrado l’impervia struttura narrativa, è chiara. Si intuisce da subito che il protagonista ha ucciso la moglie e che il suo matrimonio non funzionava. In questo caso non essendoci disincanto, non può esistere nemmeno l’incanto. In ‘The Straight Story’, Lynch ci racconta la toccante vicenda di un vecchietto che, con il suo tosaerba, va a trovare il fratello ammalato; e anche in questo caso non esiste la dicotomia incanto/disincanto, dal momento che l’entroterra americano viene presentato in una luce sempre positiva. E’ invece con ‘Mulholland Drive’ che Lynch realizza finalmente ciò che da sempre lo attraeva: una riflessione sul sogno e sulla sua falsità, concentrandosi sulla terra dei sogni per eccellenza, Hollywood. Che Lynch si sentisse coinvolto da Hollywood era già evidente nelle opere precedenti e, tra i progetti del regista fortemente voluti e mai realizzati, c’era anche un film sulla vita di Marilyn Monroe. Forse nessuno più della Monroe potrebbe in effetti rappresentare il conflitto incanto/disincanto: l’attrice bellissima e desiderata, la dea del sesso, sorridente e appagata, era di fatto una ragazza fragile e sfortunata, tormentata dalla depressione, schiava della droga, con un torbido passato di adozioni infelici, prostituzione e pornografia (e una delle frasi più spiazzanti del ‘Twin Peaks’ lynchiano è: ‘Che rapporti c’erano tra Marilyn Monroe e i Kennedy? Chi ha ucciso il Presidente?’; e qui preferisco non occuparmi di Kennedy e, quindi, di un altro conflitto: l’affascinante rampollo di una dinastia, protagonista di un sogno politico e mediatico, ucciso a causa di colpe e segreti che coinvolgono la corruzione della sua famiglia e la mafia). Di tale contraddizione è stata consapevole una scrittrice come Joyce Carol Oates che nel suo romanzo ‘Blonde’ ha appunto analizzato, in chiave postmoderna, il rapporto incanto/disincanto simboleggiato dalla celebre diva.

‘Mulholland Drive’, come si intuisce dal titolo, si svolge a Hollywood e nei luoghi ad esso collegati nell’immaginario filmico di un’intera epoca: l’autostrada, la Mullholland Drive del titolo, appunto, ma anche nome di un quartiere; il Sunset Boulevard e così via. Alcuni hanno definito il film una specie di ‘Viale del Tramonto’ in stile lynchiano. È vero che Lynch non ha mai negato la sua profonda ammirazione nei confronti del grande Billy Wilder, uno dei nomi storici dell’epoca d’oro di Hollywood, che aveva già, effettivamente, intuito come la Mecca incantata del cinema fosse in realtà una menzogna. Tuttavia, il film di Lynch presenta anche altre ispirazioni. La storia di una ragazza bionda e sensibile che arriva a Hollywood per fare un provino, sperando di diventare una stella del cinema, è il pretesto per un viaggio nell’inconscio del regista ma anche nell’universo da sogno che è Hollywood stessa. La prima parte del film, che appunto narra le vicende della ragazza, coinvolta suo malgrado nei problemi di una smemorata donna bruna, braccata da qualcuno e bisognosa di protezione, rappresenta la superficie di Hollywood, la falsità, l’incanto che nasconde l’orrore. In questo sogno, la protagonista ha grande talento, ottiene tutto facilmente e soprattutto trova l’amore della bellissima donna bruna. La seconda parte di ‘Mulholland Drive’, invece, ribalta la prospettiva, facendoci vedere (forse) la cruda realtà: la protagonista è solo una comparsa dalle scarse capacità recitative; la donna bruna non è bisognosa di protezione, è anzi una cinica e fredda arrivista pronta a schiacciare chiunque pur di raggiungere i suoi scopi; la stessa Hollywood non è più il sogno abbagliante dove tutti sorridono: i registi di talento sono egocentrici e insopportabili; i produttori sono al soldo dei mafiosi; amore e amicizia sono solo vuote parole. Hollywood è il regno del Male. E il Male è incarnato in un essere mostruoso, un barbone nascosto nei vicoli di Los Angeles, che gioca crudelmente con l’inconscio delle ragazze desiderose di diventare stelle immortali, raffigurato da una scatola azzurra. E il Male si nasconde ovunque, persino nel sorriso apparentemente innocuo di due vecchietti che, alla fine del film, sveleranno la loro natura diabolica. Tuttavia, l’amore che Lynch prova nei confronti di Hollywood emerge comunque ed è evidente soprattutto nella sequenza ambientata nel Club Silenzio. samsung custodia In questo teatro, attori fingono di recitare (il testo è registrato) e le cantanti fingono di cantare (anche le canzoni sono registrate), come se Lynch volesse dirci che a Hollywood tutto è finzione; ma tale finzione, per quanto dolorosa, ci incanta e la sequenza ha, in effetti, un livello di suggestione visiva ed estetica eccezionale, al punto che molti l’hanno considerata il momento artisticamente più alto di ‘Mulholland Drive’.

I meandri incantati dell’inconscio.

E dopo ‘Mulholland Drive’ i critici si sono chiesti a quale grado di complessità sarebbe potuto arrivare Lynch. E INLAND EMPIRE (il titolo deve essere scritto in maiuscolo per volere del regista) ha dato la risposta. Una risposta scioccante. Una risposta che ha spiazzato tutti. Con la sua ultima fatica, in effetti, Lynch ha realizzato il suo film oggettivamente più difficile e Gianni Canova, negli extra della versione in dvd, ha esplicitamente definito INLAND EMPIRE ‘epocale… un film avanti di vent’anni rispetto alla cinematografia contemporanea’. Va detto che INLAND EMPIRE ha suscitato una serie interminabile di discussioni e attualmente critici e sociologi stanno scrivendo saggi monumentali al riguardo. E certamente, come previsto da molti, nei prossimi anni le tesi di laurea su INLAND EMPIRE si sprecheranno. Il film, presentato alla Mostra del Cinema di Venezia (e Lynch, in quell’occasione, è stato premiato con il Leone d’Oro alla carriera), ha ricevuto accoglienze contrastanti, anche se tutti hanno riconosciuto all’ultima fatica lynchiana una forza espressiva notevole. cover samsung custodia Se riassumere opere come ‘Lost Highway’ e ‘Mulholland Drive’ è difficile, fare un riassunto di INLAND EMPIRE e cercare di trovare uno schema logico è forse impossibile, come nel caso dei romanzi postmoderni di Thomas Pynchon, William Gaddis o William Gass. Tuttavia, mi cimenterò nel non facile compito, avvisando che molte delle cose che scriverò saranno frutto di personali e soggettive percezioni e che in rete circolano centinaia di interpretazioni di INLAND EMPIRE, tutte differenti. Ciò che però si può dire con certezza è che, anche in questo caso, la struttura onirica è rilevante e la dicotomia incanto/disincanto è fortemente radicata nella trama (o nelle trame, per essere più precisi).

Fili per il labirinto narrativo.

Innanzitutto, INLAND EMPIRE è composto da diverse ‘sezioni’ o ‘frammenti narrativi’ o ‘trame parallele’, tra loro intersecate, senza rispettare una sequenza cronologica precisa. Il concetto della fluttuazione temporale, e della memoria, e delle sue differenti percezioni, è espresso con l’immagine ricorrente di una puntina che scorre sui solchi di un disco, ripresa però da una prospettiva particolare che la rende simile a una spirale che si avvolge su sé stessa. La tematica della ‘visione’ della protagonista (che osserva o ricorda i diversi stadi della sua vita) è invece simboleggiata dal raggio di luce di un proiettore (e che rimanda al cinema e ricordo che Inland Empire è il nome di un quartiere di Los Angeles, non molto lontano da Hollywood). Altre volte invece la stessa idea è esplicitata dal foro provocato da una sigaretta accesa su un pezzo di seta; foro che la protagonista usa per sbirciare nelle molteplici realtà. Le varie sezioni sono così sintetizzabili:

1)- la storia di una prostituta polacca, imprigionata in una stanza, che segue in televisione le vicende di una donna bionda e una situation-comedy con protagonisti conigli antropomorfi.

2)– la suddetta situation-comedy, con i conigli forse collegati alla donna e che parlano al contrario (tipica caratteristica del mondo onirico). Le frasi da loro pronunciate fanno comunque riferimento alla vita della bionda.

3)– la storia di un’attrice di Hollywood in procinto di recitare in un film. Il rapporto con il marito è problematico e misterioso. Il film da interpretare è la cronaca di un amore extraconiugale. Man mano che la lavorazione procede, l’attrice inizia una relazione con il suo collega di lavoro. La pellicola è il remake di un film polacco, mai concluso per la morte violenta dei protagonisti.

4)– la storia del film propriamente detto.

5)– la storia di una donna che ha un rapporto difficile con il marito, ambientata nei paesi del Baltico e che Lynch presenta come se fosse un radiodramma a puntate.

6)- la storia del rapporto difficile tra la prostituta e il marito, che è di fatto il film polacco incompiuto.

7)– la storia di una tossica che si prostituisce nell’Inland Empire e che viene poi uccisa.

Da considerare che, a parte le sezioni 1, 2, 6, protagonista di tutte le altre e quindi, di tutte le differenti versioni di donna, è sempre Laura Dern, vera e propria attrice icona di Lynch. Sorgono quindi spontanee le domande: tali versioni sono la stessa donna? Sono possibili ruoli che potrebbe interpretare? Sono parti della sua personalità, aree del suo inconscio (ricordiamoci che INLAND EMPIRE potrebbe essere tradotto con ‘impero dell’interiorità’ o ‘impero interiore’)? Sono sogni? Oppure diversi momenti della sua vita? Considerando che il film comunque gioca, specie nella prima parte, sulla consueta contraddizione incanto/disincanto del cinema hollywoodiano, possiamo propendere per l’ultima ipotesi e di conseguenza orientarci in questo autentico labirinto narrativo.

Un’ipotesi di lettura.

C’è una donna, quindi, che a volte Lynch ci presenta con le sembianze di Laura Dern, altre volte con le fattezze di una donna polacca. E’ sposata con un uomo che in realtà non ama e, a un certo punto, inizia una relazione con un altro, suscitando le ire della moglie di quest’ultimo (e peraltro, l’amante sarà ucciso dalla consorte). Questo momento della sua vita è in parte presentato da Lynch come un radiodramma e in parte come il film polacco incompiuto.

In seguito, il marito trova lavoro presso un circo, dominato da una sinistra, tipica figura lynchiana, un uomo chiamato ‘Fantasma’ e che deciderà di controllare la donna con l’ipnosi. Lei rimarrà incinta e il Fantasma spingerà il marito a picchiarla e a farle perdere il bambino (e anche questa parte è a volte presentata come se si trattasse del radiodramma e altre volte come se fosse il film polacco).

Dopo la perdita del bambino, la donna, prigioniera del Fantasma, viene portata a Los Angeles e qui costretta a prostituirsi (è la sezione ambientata nell’Inland Empire).

In questa situazione, la prostituta, di tanto in tanto, sogna l’incanto di una vita migliore, immaginando di essere un’attrice di Hollywood, impegnata nelle riprese di un film basato sulla sua esistenza passata (e ciò ci riconduce alla sezione iniziale di INLAND EMPIRE).

Solo una parte di sé è consapevole dell’illusione e Lynch ce la presenta in due versioni: la prostituta polacca, prigioniera in una dimensione onirica, che assiste in continuazione al film della sua vita; e una Laura Dern più vissuta che, in una squallida stanzetta, racconta a una enigmatica figura maschile inconscia tutto ciò che le è accaduto e che vede la sua vita ‘come se fosse un film proiettato in un teatro’.

E sarà solo quest’ultima Laura Dern, in una dimensione sognante (probabilmente dopo la morte, assassinata dalla moglie del suo amante, anch’essa ipnotizzata) ad uccidere i demoni interiori, rappresentati dal Fantasma, appunto, e a raggiungere l’equilibrio, accettando ogni lato della personalità. Tale accettazione, però, avverrà non nella realtà, ma in un mondo di sogno. In questo caso, il disincanto non prevale; pur essendo cosciente di non essere un’attrice ma una prostituta; pur consapevole di non avere una vita perfetta, alla fine del film, la protagonista avrà un marito, un figlio, forse la carriera di attrice vagheggiata. E pazienza se nei marciapiedi di Los Angeles lei sarà solo un relitto umano che muore mentre alcuni barboni la osservano impassibili. La trama di INLAND EMPIRE parte dall’incanto (l’irreale vita hollywoodiana), raggiunge il disincanto (la brutale realtà di tradimento, droga e prostituzione); ma, a differenza delle altre opere lynchiane, si conclude con il ritorno all’incanto (il mondo del sogno che è sempre migliore della realtà). Come mai Lynch ha optato per questa soluzione? Forse perché ha deciso di non abbandonarsi alla disillusione? Non ci è dato saperlo e non è nemmeno importante. Si può sicuramente dire che con INLAND EMPIRE Lynch ha toccato i vertici del suo cinema. Dal punto di vista tecnico e visivo, con i lenti movimenti della macchina da presa, con le immagini di corridoi oscuri, di labirinti alla Piranesi, forse rappresentazioni inconsapevoli dell’inconscio di Freud, di alberghi ad ore occupati da prostitute simili ai set utilizzati dalle attrici (e prostitute e attrici, in fondo, in INLAND EMPIRE sono la stessa cosa e ogni personaggio femminile è manipolato da qualcuno: l’attrice dal regista; la prostituta dal cliente; la moglie dal marito prima e dall’ipnosi del Fantasma poi). Dal punto di vista narrativo, ovviamente. E anche, oserei dire, da quello concettuale, perché mai come in quest’opera Lynch è riuscito, a mio parere, ad esprimere la magia del sogno e la terribile concretezza della disincantata realtà.

Bibliografia.

Basso Fossali, P., 2006, Interpretazione tra Mondi.

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