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La programmazione culturale, Arrigo Sacchi e gli astrofisici di Drò

Categoria: Editoriali
Postato da: Torquemada

di Clemente Pernarella

“Mi rendo conto che i toni molto accesi assunti dalle polemiche che stanno seguendo la vicenda della gestione del Teatro Fellini di Pontinia richiedono alcune puntualizzazioni perché sia evitato il rischio di distorcere il senso di un confronto su un tema che riguarda solo in parte il Comune di Pontina, e che si muove su argomenti di carattere generale inerenti la questione della progettazione e dello sviluppo del settore della cultura e dell’arte in tutto il territorio provinciale.

Innanzitutto mi preme ricordare quanto gli Amministratori del Comune di Pontinia pare trascurino, ovvero che il merito del successo dell’operazione costruita sul Teatro Fellini è sempre stato, per quello che mi riguarda, condiviso con l’Amministrazione stessa che nei due anni passati ha dato prova di coraggio e lungimiranza, volendo sostenere un progetto che appariva fuori scala per un Comune come quello in questione, coraggio e volontà politica che hanno reso tanto più incomprensibile il repentino cambio di indirizzo relativo alla gestione del Teatro.  Il considerevole riscontro di pubblico, ottenuto dal tentativo di costruire un polo culturale, in evidente controtendenza rispetto a quanto accade in tutto il territorio regionale, escluso, ovviamente, il Comune di Roma, poggiava su un idea di offerta culturale alta e su regole di buona prassi e, per l’appunto, buona amministrazione.

Ritengo necessario collocare il problema del Teatro Fellini sempre all’interno di un quadro più ampio, solo in questo modo appare chiaro quanto sia inutile discutere della opportunità di far convivere il cinema ed il teatro nella stessa struttura, o quanto sia ridicolo soffermarsi sulla conta dei cittadini di Pontinia abbonati alla stagione di prosa traendo quindi conclusioni sulla utilità dell’attività teatrale, ma risulta altresì inadeguato anche un giudizio affrettato sulla possibilità di coesistenza di bene pubblico e impresa privata.

Che i percorsi dell’arte contemporanea viaggino verso l’integrazione dei linguaggi e la multidisciplinarietà è scoperta che risale agli anni sessanta circa. Che l’utilità di una offerta non possa essere decisa da un singolo, sia pur esso un amministratore o un politico (ammesso che per qualcuno oggi ancora sia utile distinguere questi ruoli), poiché sottostà a leggi di mercato è una conclusione che risale a dinamiche  analizzate  e codificate più di un secolo fa: domanda ed offerta. Se in un luogo vengono fabbricate cento scarpe al giorno e nello stesso luogo vengono acquistate cento scarpe al giorno è logico desumerne l’opportunità della presenza della fabbrica di scarpe.
Quanto al privato basterebbe tener presente quanto ormai accade di regola in Europa o guardare alcuni macroesempi italiani, il Lingotto di Torino o l’Auditorium Parco della Musica di Roma per capire come il percorso comune di cultura ed impresa abbia già da molti anni cominciato a produrre benefici considerevoli. Ben venga un privato per il cinema, ma anche, perché no,  un privato per la ristorazione, un privato per la vendita al dettaglio, libreria, gadgettistica (vedi spazi espositivi e musei, ma anche teatri in tutto il mondo con relativi store annessi), ecc. ecc.
L’unico problema è nella individuazione di regole che permettano uno scambio di benefici egualmente vantaggioso tra pubblico e privato, questo dovrebbe essere l’unico argomento di disputa.

Impostando la discussione sul piano generale emergono quindi istanze diverse che riconducono alla necessità di un confronto serio tra le istituzioni e tra le forze politiche territoriali, risultando evidente che quella che appare una vicenda marginale e localistica potrebbe costituire materia di dialogo e dibattito in un territorio come il nostro che, per motivi storici, non ha ancora avuto il tempo di affrontare il tema dell’identità culturale e dello sviluppo ad essa correlato . La costruzione di una specificità sociale e culturale originale ed indipendente passa oggi per traiettorie trasversali di difficile individuazione poichè il sistema culturale, su cui è necessario che esso si basi, viaggiando di pari passo con lo sviluppo della comunicazione si relaziona a meccanismi che richiedono conoscenze tecniche e specialistiche assai approfondite. Una delle risultanti positive di un sistema globalizzato è che una vicenda possa avere eguale peso ed importanza, come spunto di riflessione per la comunità e non certo per entità, sia che essa accada a Pontinia o che accada a New York.

Mi sia pertanto consentito lo stupore di fronte all’atteggiamento di alcuni amministratori provinciali che interrogati rispetto a quanto accade a Pontinia rispondono: “so solo quanto appreso dai giornali”. Ma lo stupore aumenta quando si scopre che tali amministratori provinciali siedono in Commissione Cultura ed appartengono allo stesso partito che esprime la maggioranza nel Consiglio Comunale di Pontinia. Lo stupore diviene meraviglia quando però sempre gli stessi amministratori provinciali passate appena un paio d’ore dall’annuncio delle dimissioni del Direttore Artistico della Fondazione Teatro di Latina si dichiaravano già provvisti di soluzioni adeguate offrendo la ricetta semplice e veloce, con tanto di dosi e tempi di cottura, per la futura politica di programmazione della Fondazione stessa.

Sottolineo questo fatto non per accendere altre polemiche ma poiché ciò serva a comprendere quanto siano difficili e quanto radicate le difficoltà e gli ostacoli da superare affinchè il nostro territorio possa liberarsi dal pressappochismo e dalla superficialità. Tale superamento risulta essere condizione necessaria per raggiungere l’obiettivo ultimo della conquista  e del riconoscimento della nostra identità culturale.

Tale obiettivo dovrebbe essere il punto di arrivo di un progetto, questo è quanto si è cercato fino ad oggi di dimostrare a Pontinia-New York, che consenta di legare alla cultura, intesa come impresa, lo sviluppo di tutto un territorio. Qualsiasi progetto di costruzione dovrebbe essere letto nella prospettiva del risultato che si persegue e dei modelli di programmazione adottati, se il teatro italiano o il cinema italiano vivono un momento, che dura ormai da molti anni, di grave crisi è lapalissiano che i modelli di riferimento per il progetto di crescita debbano essere cercati altrove, o in Europa o in quelle realtà italiane che, non a caso, nascono sempre più frequentemente in centri, spesso molto piccoli, e , nella maggior parte dei casi, lontani dai centri di potere.

Ci si confronti con Provincie che ospitano realtà teatrali in grado di competere con il mercato internazionale, vedi Brescia o Parma, ci si interroghi su quanto accade in piccoli centri: Drò (in Provincia di Trento) o Santarcangelo di Romagna, dove migliaia di persone ogni anno, operatori e pubblico danno vita a manifestazioni che non hanno riflessi solo sulla crescita culturale della comunità ma rappresentano un importante mezzo di marketing legato all’arte e costituiscono un elemento inconfutabilmente consistente nello sviluppo dell’indotto correlato. Si ragioni sul fatto che quando si parla oggi di teatro e di cultura si parla di crescita sociale ma anche e soprattutto di economia. Un teatro è uno spazio che produce denaro e offre lavoro, un teatro richiede logiche di gestione adeguate, un teatro è un impresa, un teatro deve utilizzare il denaro pubblico per costruire qualcosa e i costi che la comunità dei contribuenti è chiamata a sostenere vanno messi in relazione con gli utili, anche economici, che ne ottiene.

Jeremy Rifkin economista e saggista statunitense, analizzando l’impatto che gli sviluppi tecnologici e scientifici hanno su economia, lavoro e società ha per primo, diversi anni fa, sottolineato che lo sviluppo dell’industria della comunicazione ha aperto una nuova era, “l’era dell’accesso” appunto, l’era in cui l’esperienza vale più della proprietà dimostrando come tale industria, quella cioè che produce esperienza, si collochi oggi al primo posto negli interessi della finanza mondiale ed abbia sostituito i modelli di industria del novecento in termini di movimento di capitale.

In un convegno tenuto a Cagliari nel 2007 sul tema della riconversione degli spazi industriali a luoghi di produzione artistica: musica cinema, teatro, danza, architettura e design, si è ragionato intorno a dati che dovrebbero far riflettere. Tale nuova industria culturale e creativa, spesso trascurata nella visione economica italiana, contribuisce al 2,6% del Pil europeo e dà lavoro ad almeno 5,8 milioni di persone secondo il rapporto Figel diffuso dalla Commissione Europea. Riassumendo le conclusioni del convegno si è sottolineato come, dati alla mano, quello della creatività sia un settore, con un alto valore aggiunto, superiore non solo al tessile e all’alimentare ma anche all’immobiliare e alla chimica.

L’italica abitudine calcistica che ha trasformato noi italiani, tutti, in tanti commissari tecnici, pronti a dare la soluzione e lo schema migliore per ogni nazionale che ci si trovi davanti, non contagi amministratori e politici quando si affronta il tema dello sviluppo culturale, si resista alla tentazione di offrire soluzioni e si cerchi lo spazio per il dibattito. Quello di Pontinia poteva essere uno spunto ma continua ad essere ignorato, rispetto a Latina tutti invece pare sappiano cosa fare e quale sia la scelta migliore.

Continuo a sentir parlare di passivo in bilanci, ATCL, aperture e chiusure di Fondazioni come ai tempi di Sacchi tutti parlavano di “zona” e “fuorigioco”

Questa Provincia è ad un punto di svolta, alcuni giornalisti lo hanno capito ed hanno sottolineato che il punto è: cosa vuole arrivare ad essere questa terra.
Se la nostra terra vuole riconoscersi ha bisogno di crescere per crescere ha bisogno di qualità e professionisti,di tecnici a cui siano dati mezzi e garanzie, presupposto imprescindibile per ogni investimento professionale. E’ indispensabile capire quanto amministratori e politici abbiano chiaro e condividano e quanto siano pronti a sostenere una proposta che richiede sviluppo sul lungo periodo, e dialogo interistituzionale.

Occorre rischiare quindi occorre coraggio, a Pontinia si è dimostrato, perlomeno, che il coraggio, anche quello degli amministratori, ha pagato.

Le questioni del Teatro Fellini di Pontinia e della Fondazione Teatro di Latina rappresentano due tasselli, fondamentali, di uno stesso puzzle, la politica ha, in relazione alle due vicende, l’opportunità di dimostrare, prima delle prossime scadenze elettorali, di aver raccolto e compreso le istanze che tali questioni hanno sollevato. Si esprimano posizioni chiare rispetto all’argomento: cultura, territorio ed economia. Si conceda a tale confronto il peso dovuto, lo stesso peso che avrebbe se si parlasse di industrie in crisi sul territorio o di navigabilità di laghi. Dati e numeri dimostrano che la nostra provincia ha bisogno e risponde a progetti di alta portata, numeri e cifre certificano che la cultura è un comparto, peraltro dei più vivi dell’economia Europea si costruisca su questo un percorso di sviluppo. Assumano le forze politiche un atteggiamento di responsabilità nei confronti di questi argomenti, solo l’assenza di tale atteggiamento responsabile può giustificare la superficialità delle prese di posizione relative alle vicende in oggetto.
A Drò,quello in provincia di Trento, dove si svolge il festival Drodesera Fies, una delle più importanti rassegne legate alle performing arts ed al teatro di ricerca riconosciuta come grande esempio di strategia culturale di livello internazionale, e penso che a Pontinia una stagione teatrale di un profilo leggermente elevato viene definita elitaria. Qualcuno ha anche detto, forse proprio un amministratore, che i cittadini di Pontinia sono “persone semplici” più adatte al cinema che al teatro. Penso allora ai cittadini di Drò, 3000 abitanti, ed immagino un popolo di laureati, penso ai bar di Drò, dove, credo da anni ormai non si discuta più di calcio ma di astrofisica o fisica quantistica, dove le riviste dei negozi di parrucchieri suppongo avranno lasciato il posto a trattati di etica e filosofia morale. Si rassegnino a Pontinia e studino prima di pretendere un teatro.
Ci si domanda, in attesa che politici ed amministratori rispondano, la Provincia di Trento è un modello troppo alto ed irragiungibile? Quale il modello che invece sarebbe giusto imitare?”

One Response to “La programmazione culturale, Arrigo Sacchi e gli astrofisici di Drò”

  1. Jeremy Rifkin Says:

    [...] La programmazione culturale, Arrigo Sacchi e gli astrofisici di Drò Anonima Scrittori - PeopleRank: 4 - 04-10-2009 … Jeremy Rifkin economista e saggista statunitense, analizzando l’impatto che gli sviluppi tecnologici e scientifici hanno su economia, lavoro e società ha per primo, diversi anni fa, sottolineato che lo sviluppo dell’industria della comunicazione… Persone nome : Arrigo Sacchi  Clemente Pernarella  + vota [...]

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