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Le Coste

Categoria: Narrazioni
Postato da: Torquemada

[racconto a firma di Graziano e Massimiliano Lanzidei, apparsa su Mono, numero 9, del Novembre 2010]

“Allora ci vediamo su nel primo pomeriggio”, aveva detto l’organizzatore. “Così ci prendiamo un caffè prima della conferenza”, e poi aveva chiuso la conversazione.
Ero rimasto a guardare il telefono, ormai muto. L’indomani sarei dovuto tornare a Sezze. E la cosa non mi faceva particolarmente piacere.
Non ci sono mai andato molto volentieri. E non per la rivalità tra ‘marocchini’ e ‘cispadani’ di cui si narra giù nella ex palude. In famiglia siamo di origine romana, tutt’al più nettunese. Solo la famiglia di mia madre, marocchina che più non si può perché originaria di Savignano Irpino, è venuta a Latina durante la fondazione.
Nessuno dei miei parenti comunque, né materni né paterni, m’ha mai parlato di Sezze. Mia madre si lamenta sempre, ancora oggi, di quanto sia scomodo arrivarci. Mi veniva a trovare tutti i giorni, due volte al giorno, quando mi ricoverarono lì per l’asportazione di una fistola sacrococcigea.
Diciannove giorni di ricovero che feci terminare con una bugia. Altrimenti sarei dovuto rimanere per un’altra settimana.
“A meno che non hai un parente infermiere”.
“Certo che ce l’ho, e sembrai così credibile che fecero trovare ai miei genitori il foglio di dimissioni già pronto. Dovevano solo firmarlo.
“E’ infermiere al Santa Maria Goretti di Latina”, aggiunsi, ma non sapevo nemmeno il suo cognome. Solo il nome, Rodolfo.
I miei arrivarono e firmarono. cover iphone 8 plus custodia outlet Mio padre non disse niente, mia madre invece, appena varcato il portone dell’ospedale, mi diede uno scappellotto.
“Ma che ti salta in mente”, strillò e poi proseguì in macchina per tutte quelle che i sezzesi chiamano ‘le coste’. Come per ogni altro paesino arroccato sulle montagne, sembra che la macchina si arrampichi un po’ alla volta, in un avvicinamento lento, cauto, delicato. Non ci puoi arrivare a Sezze all’improvviso. E non puoi nemmeno scappare in fretta. cover iphone custodia Devi fare, appunto, ‘le coste’. Una volta scesi, forse ripensando alla fatica di aver fatto su e giù tutti i giorni, mia madre si riaprì in un sorriso e disse: “Quando torniamo a casa telefono a Rodolfo”.
Sorrisi anch’io. iphone 8 plus custodia Quando lei sbraitava e strillava, però, non m’è mai saltato in mente di sentirmi in colpa. Non ho mai pensato che stessi giocando con la mia salute, che le bugie non si dicono e che m’ero preso gioco dei dottori e degli infermieri. Dall’ospedale volevo andar via, a ogni costo. Lì avevo vissuto la mia prima grande vergogna.

Mi avevano messo il catetere, dopo l’anestesia, dato che non riuscivo ad andare al bagno. Nonostante gli incoraggiamenti da stadio di mio zio Luciano, da fuori la porta.
“Fare la pipì dopo l’operazione è un dovere, altrimenti rischi il blocco renale”, mi disse il dottore poco prima di comunicarmi che, di lì a poco, sarebbe arrivata un’infermiera. Una volta uscito, chiesi a mio padre cosa fosse il catetere. E scoprii che dovevano maneggiare lì, nelle parti basse.
“E’ doloroso”, ripeteva, con una faccia che esprimeva per intero la sua preoccupazione.
Quei minuti in attesa dell’infermiera furono un inferno. Avevo dodici anni, era l’epoca dei primi pruriti sessuali e m’ero fatto tante fantasie sulle signorine che giravano per il reparto con il camice bianco. Avevo preso a rigirarmi nel letto, pensando alla figuraccia che avrei fatto di lì a poco.
Arrivò una delle infermiere più carine. Diventai rosso, sorrisi come un ebete. Da un lato mi sentivo soffocare dalla vergogna, dall’altro ero eccitato dall’idea che quelle fantasie potessero prendere forma.
“Abbassati i pantaloni”, fu il suo esordio. cover iphone x custodia Professionale, come tutte lì dentro. samsung custodia Credo che lo insegnino proprio alla scuola per infermieri, a fare le richieste più assurde - “si metta questa cosa nell’ano”, “assuma la posizione del missionario” - con naturalezza, magari mettendosi i guanti o iniziando a maneggiare una siringa o spalmando la vasellina intorno al catetere.
Eseguito l’ordine, si avvicinò.
Prese il mio pene tra indice e pollice. Armeggiò per avvicinare il catetere. Con mio grande stupore - e forse rammarico - non successe niente. Il pene sembrava addormentato. Finché non disse: “Fai un respiro profondo”. Cercavo di capire perchè non ci fossero segni di vita laggiù, perchè era tutto così… immobile. cover custodia iphone Forse è per quello che provai vergogna. O forse quando, una volta fatto il respiro profondo, lei iniziò a infilare il catetere lungo le vie urinarie e io caccai un urlo talmente potente che m’avranno sentito fino a Latina.

Non ci sono più tornato a Sezze, da quella volta.
“Il tema della conferenza, te lo sei fatto ricordare?”, era stato l’esordio del mio socio al telefono.
“Si, così facevamo una bella figura di merda, adesso guardo su Internet e così ci regoliamo. Basta che andiamo con la macchina tua. Lo sai… a me… le coste”.
“Si, non ti preoccupare, lo so”, m’ha interrotto il socio.

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