Anonima scrittori


L’insostenibile originalità degli esperimenti letterari

Categoria: Assaggi, suoni, visioni e letture
Postato da: Torquemada

[recensione di Daniela Rindi - autrice presente ne 'Il Bit dell'Avvenire' e anonima scrittrice - al libro 'Manituana' dei Wu Ming. Nell'articolo vengono affrontati anche i temi della scrittura collettiva e, più in generale, degli esperimenti letterari]

Mi dispiace molto per i Wu Ming, ma non ce l’ho fatta a continuare Manituana. È la prima volta che mollo un libro dopo neanche 170 pagine (su 600), perché ho quella vena masochista che mi porta a pensare che in un libro, salvo rare eccezioni, ci sia sempre qualcosa di buono, quindi mi forzo sempre ad arrivare alla fine. Lo faccio pure con gli spettacoli teatrali, per una sorta di rispetto nei confronti di chi cià messo, se non il talento, almeno l’anima nel proprio lavoro. Questo, sempre per me, vale anche nei confronti di uno scrittore. Potrete capire adesso la mortificazione nel vedere la mia mano abbandonare lentamente quel librone con un ottima idea grafica e un lavoro collettivo di 3 anni alle spalle, notevole e approfondito. Il romanzo storico è già impegnativo di per sè perché ti costringe a fare i conti con la tua ignoranza, anche laddove pensavi di non aver lacune ( non è il mio caso, io normalmente mi cospargo il capo di cenere prima ancora di iniziarlo un romanzo storico), ma anche con le tue curiosità storiche. Io odiavo mio fratello quando prendevo le bambole e lui non voleva giocare con me perché si perdeva in scenografie spettacolari solo per posizionare quegli stupidi soldatini raffiguranti indiani e cow boy, o indiani e giubbe blu, dipendeva dalla scatola. Non capivo il senso di rivivere quelle battaglie in miniatura e non ne subivo il fascino. Da allora non è cambiato molto. Quando ho cominciato Manituana mi sono sentita subito stordita da quella moltitudine di nomi incomprensibili e impronunciabili di grandi capi guerrieri e grandi condottieri, dalle situazioni complesse che si presentavano, che sarebbero sfociate in battaglie sanguinose, preludio della grande rivoluzione che darà vita agli Stati Uniti d’America. Sapevo che andando avanti avrei sbrogliato la matassa e collegato nomi a personaggi, ma l’impatto è stato duro. Lealisti contro ribelli, che si contendono l’alleanza delle sei nazioni, coloni e indiani che vivono in perfetta sintonia, che vogliono difendere il loro status quo, ma è un genere di miscuglio mal visto dai soldati della corona, i quali risponderanno alla loro offerta d’aiuto con un rutto. Neanche dopo aver vinto un’eroica e infuocata battaglia sul fiume. Quando nella battaglia sembra abbiano la meglio i ribelli perché tirano fuori l’arma segreta, un mortaio, che comincia a far saltare in mille pezzi i poveri corpi, ecco apparire finalmente il guerriero soprannominato “le Diable”, che potrà dare finalmente dimostrazione del perché del suo nome, cosa che il lettore distratto non aveva ancora intuito. Saltando da una sponda all’altra come un furetto, tagliando gole, sventrando budella e recidendo aorte, arriva alla postazione e annulla il mortaio. La vittoria c’è, ma al Forte il loro valore non è considerato, perché ci sono con loro quei puzzoni, alcolizzati degli indiani. Questi delusi e amareggiati, dopo essersi visti già all’inizio squoiare vivo il povero messaggero, dopo aver assistito in viaggio alla morte della moglie e del figlio del grande condottiero, squartati da un parto, i superstiti torneranno a casa dove hanno lasciato le restanti famiglie e guarda un po’? Saranno massacrati dai ribelli. Io intanto mi sono vista scorrere davanti agli occhi “l’ultimo dei mohicani”. Dal punto di vista storico Manituana si descrive e si rappresenta attraverso un modello preciso: le vicende di una minoranza accerchiata da due forze più potenti di loro, il nuovo mondo degli Stati Uniti, contrapposto al vecchio mondo della monarchia britannica e la cosa interessante è che l’autore, gli autori in questo caso, ci regalano il punto di vista dei perdenti. Nonostante però lo stile eccellente della narrazione, l’ottima regia, gli ottimi spunti, sarà l’argomento, saranno i clichè o le storie che s’intersecano, che per quanto si sforzino di farle apparire originali in realtà non lo sono, il libro come lettore non mi ha preso. Lo trovo poco personale. La storia va sentita sottopelle e vissuta con i personaggi, il centro deve essere la passionalità, non lo studio a tavolino. Il lavoro corale a volte toglie anima e cuore ai personaggi. Il laboratorio che sto frequentando con le “Cronache di un pianeta abbandonato” me lo conferma. Insomma tutta questa sperimentazione letteraria sorprendente non ce l’ho trovata. Sicuramente questa valutazione non troverà l’accordo della maggioranza, ma come dice il grande capo “Estiqaatsi”, ho voluto dire la mia.
Ho preso poi in mano “Canale Mussolini, stesso peso, stesso numero di pagine più o meno, anch’esso romanzo storico, o così mi azzardo a definirlo io. Ho fatto i miei consueti e rituali “mea culpa” e ho cominciato a lettere. Beh? I personaggi mi hanno subito preso, parlano il mio stesso linguaggio (in senso metaforico) incredibile, sono veri, vivi, con carattere non descritto ma vissuto, ben diversi dai miei amici indiani. Anche quella una storia che si conosce bene, vista e rivista attraverso i film, i libri sul Duce, sul fascio, sui contadini, la bonifica, la miseria, la malaria. Il signor K l’ha raccontata, in maniera differente, in quasi tutti i suoi libri, tanto da andare sulle balle anche alla sua stessa città. E’ vero è diverso, Il Canale lo ha scritto da solo, ma qui io sono solo alle prime 60 pagine, eppure posso già dire che una storia raccontata così…è un’altra storia.

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