Anonima scrittori


Low Cost, un’esplosione atomica

Categoria: Assaggi, suoni, visioni e letture
Postato da: Torquemada

[recensione di Massimiliano 'Zaphod' Lanzidei all'Ep 'The Low Cost' dei The Low Cost. Ormai sono i nostri accompagnatori ufficiali negli electro-reading che l'Anonima Scrittori tiene in giro per l'Italia.]

Per chi volesse avere un’idea, ecco un loro live Bootleg @ Lib(e)ri sulla Carta Festival 23/10/09. Suonano solo loro, ma lo spettacolo fu Anonima Scrittori + Low Cost.

Ecco la recensione di Zaph:

Coi Low Cost abbiamo diviso il palco della scorsa edizione di (r)esistenza - manuale di storie contemporanee al teatro Fellini di Pontinia. C’eravamo incontrati quasi per caso e avevamo iniziato a parlare di una collaborazione. Poi, una sera, con Torquemada siamo partiti in macchina e siamo arrivati a Montesacro, Roma. I Low Cost ciànno un box in affitto all’interno di un garage sotterraneo multipiano. Insonorizzato. Pieno di strumenti musicali, mixer, distorsori, una batteria immensa. Non è l’unico box adibito a sala prove. Pare che la soluzione vada per la maggiore tra i gruppi romani. E infatti a due saracinesche di distanza c’è un altro gruppo che prova i suoi pezzi. Anche quotato, pare. Io della musica di adesso non conosco niente, mi sono fermato agli 90 (l’inizio). Non lo so che ascoltano oggi i giovani. Però sti Low cost mi piacciono. Dice che fanno post-rock. Non so cosa significhi. “Menano come addannati”, avrebbe detto un mio amico dei tempi in cui giravamo i locali romani a sentire gruppi e musicisti sconosciuti ai più come Thin White Rope, Died Pretty, Kim Squad, Los Bandidos, Tom Verlaine, Steve Wynn, Beast of bourbon, e chissà quanti altri che ora non mi vengono in mente.
Insomma, i Low Cost picchiano duro, il loro suono riempie l’aria, il teatro Fellini, la sera del 250 aprile 2009 è gonfio di suoni e parole. Sul palco c’è un bel tiro e ci si diverte tutti insieme.
Non ci penso neanche a cosa significa Post-rock e a che tipo di musica suonano sti ragazzi. Finché - qualche mese fa - il Torque mi mette in mano questo mini cd autoprodotto. “Te lo mandano i Low Cost”, dice. Ringrazio e lo butto in macchina. Lo infilo nel lettore Cd e lo ascolto per tipo dieci volte di seguito. Ancora adesso ogni tanto mi sparo qualche pezzo quando non ho voglia di sentire giornali radio o programmi troppo verbosi. Quando ho bisogno solo di suono, i Low Cost sono perfetti. E ogni volta mi viene voglia di scriverne una recensione disseppellendo l’ascia sepolta ormai decenni fa. A un certo punto avevo quasi pensato di mettermi a fare il giornalista musicale. Qualche mio amico lo ha fatto. A me una volta chiesero qualche pezzo per una fanzine che si chiamava Ossigeno, qui a Latina. Ci ho messo una settimana (forse più) per scrivere un articolo su Syd Barrett e un mezzo trafiletto sui Litfiba (era appena uscito “3″). Lì ho capito che il giornalista non era il mio mestiere.
Insomma se dovessi dire a cosa assomigliano questi Low Cost direi che mi hanno fatto venire in mente i King Crimson del periodo in cui c’erano Adrian Belew, Bill Bruford e Tony Levin ad affiancare Robert Fripp. Atmosfere raffinate, voglia di suonare senza paura di sporcarsi le mani, capacità tecnica. Che volete di più.
Ve lo dico io. E se leggeranno queste righe sarà l’occasione per dirglielo pure a loro. Gli manca un produttore. Uno che sappia mettere bene insieme i suoni e dare qualche dritta sugli arrangiamenti. Il disco - l’ep, sei pezzi in tutto - in questione è un buon demo, ottimo direi, ma non è un disco. Meglio del 90 per cento di quello che ascolti adesso per radio, anche su programmi blasonati come “Alza il volume” di radio3, ma non basta. Potete far fessi chi non vi ha visto suonare dal vivo, forse. Ma io sono stato sul palco con voi. La potenza di questo volo a basso costo l’ho sentita. E sul disco questo si perde. Rimane tutto il resto, la sensibilità, l’inventiva, le atmosfere, la tecnica. Ma come? Ciavéte un batterista che è al tempo stesso un fabbro e un orologiaio di precisione e me lo mascherate con questo suono paraelettronico? Ciavéte un violinista di quella sensibilità e lo tenete a far da sfondo insieme agli altri strumenti? Voi siete matti. Insomma, mentre ascolti la prima volta questo disco fai sto tipo di pensieri, poi arrivi alla traccia numero 5 - Laqu si intitola - e ti rimangi tutto. Un’esplosione atomica. Mururoa. Quando si libera la potenza del suono vengono i brividi. Non scherzo. E pure l’ultimo pezzo, a riecheggiare il giro di Hotel California, è perfettamente calibrato e ti spinge a ripartire con l’ascolto. E ogni volta mi piace di più. Torquemada dice che bisogna sentirlo in cuffia per apprezzarlo al meglio. Magari è vero, ma io mi ricordo sempre di quel produttore, credo fosse Phil Spector,l’inventore del Wall of sound, che mentre registrava e regolava i volumi teneva in un angolo, proprio sopra al mixer una radiolina, una Motorola a transistor da pochi dollari, da cui ascoltava uscire la canzone che stava provando. “E’ da lì che si deve sentire bene,” diceva, “non da queste casse da diecimila dollari, quelle a casa non ce le ha nessuno”.

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