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Max Stèfani - Il Suono della Città

Categoria: Assaggi, suoni, visioni e letture, Editoriali, Interpretazioni
Postato da: zaphod

[Massimiliano Lanzidei su Max Stèfani, Il Mucchio Selvaggio e Suono]

Che a me poi - all’epoca - Max Stèfani stava pure sul cazzo.
Ha fondato e diretto Il Mucchio Selvaggio finché non lo hanno cacciato, meno di due anni fa e, per reazione, ha messo su carta il racconto di quarant’anni di vita passati ad ascoltare, raccontare e far conoscere musica a un paio di generazioni di italiani.
Wild thing si intitola il libro, ed è un tomo di 320 pagine formato Enciclopedia dei 15, pieno di foto, ricordi, interviste e copertine di giornali che raccontano la storia dell’editoria musicale italiana (e della musica popolare mondiale) degli ultimi 40 anni.
Max Stèfani - proprio come le rock (più o meno) star che ci ha fatto conoscere - propone la sua opera in un tour di presentazioni in giro per l’Italia. A Latina ci ha pensato l’ottimo Circolo Hemingway di Piazza Moro a offrirgli l’opportunità di incontrare il pubblico in una serata presentata e organizzata da Claudio Lancia, musicista e press agent di valore.
Non potevo non andarci - e pensavo di incontrare chi, come me, sulle pagine de Il Mucchio Selvaggio, ha avuto la possibilità di conoscere gruppi musicali, libri e film in cui altrimenti difficilmente ci si saremmo imbattuti - non potevo non andarci, dicevo, perché quella rivista ha avuto il merito di introdurre in Italia il concetto “alto” di cultura popolare così come è inteso nei paesi anglosassoni. Lo so, ancora adesso quando si parla di cultura popolare in Italia si evocano fisarmoniche, vestiti tradizionali e, soprattutto, tamorre e tamburelli, ma - attenzione - se non ci fosse stato Il mucchio, il sottoscritto e migliaia di altre persone ancora uscirebbero dalle librerie vergognandosi di aver acquistato l’ultimo libro di Stephen King o di essere andati a un concerto dei Public Enemy. E c’è qualcuno, ancora oggi, che forse pensa che questo sia un male, che la cultura sia cosa seria e vada lasciata a chi se ne intende e, soprattutto, che divertire il pubblico e ottenere successo commerciale siano indice di correità con i Satana del potere.
Noi (ex)lettori del Mucchio, no. Noi lo sapevamo che mettere a confronto la versione originale di Thunder Road di Springsteen pubblicata in Born to run con quella acustica dal vivo nel quintuplo album storico del 1986 aveva la stessa dignità di una discussione sulla differenza tra La Gerusalemme Liberata e la successiva Conquistata. Alcuni pensavano pure che ne avesse di maggiore, ma queste sono le storture tipiche della liberazione delle coscienze.
Intendiamoci, non che su quella rivista fosse tutto oro colato. Tutt’altro. La metà delle recensioni riguardava pure vera e propria monnezza, ma c’erano firme che valevano da sole il prezzo di copertina.
Adesso Max Stèfani ha iniziato una nuova avventura. Co-dirige il mensile Suono con l’amico Paolo Corciulo e, insieme, ne hanno cambiato profondamente la struttura. custodia samsung Prima era (o almeno veniva percepito) come una rivista per maniaci dell’alta fedeltà, gente che venderebbe casa e moglie per ascoltare un disco preciso a come se lo è immaginato l’ingegnere del suono in uno studio di registrazione da un milione di euro. Adesso si parla di musica, oltre che di alta fedeltà, e di libri e dischi tentando di continuare a tracciare un percorso nell’infinità delle uscite di oggi.
Tutto ciò compatibilmente con la crisi dell’editoria, l’età avanzata di chi - come me - ha perso l’elasticità mentale per appassionarsi alle nuove uscite discografiche, e la difficoltà di gestire una pubblicazione mensile nella frenesia della comunicazione istantanea quotidiana.
L’ho comprato il libro. Avevo deciso di prenderlo già prima di uscire di casa per andare alla presentazione. Avevo dato un’occhiata allo scaffale della libreria in cui ancora sopravvivono i testi della mia laurea in sociologia e mi ero accorto che - accanto al Trattato di Ferrarotti e a quello di Demasi/Bonzanini, all’Introduzione alla sociologia della musica di Adorno, subito prima de Il rischio della certezza di Tullio Tentori - erano ben allineati alcuni testi fondamentali pubblicati proprio da Max Stèfani con la casa editrice del Mucchio, e a esso allegati, che danno il senso di quello che significava quella rivista.
Mentre uno magari si aspettava di trovarci la biografia di Springteen, la maglietta di Jim Morrison o la storia del rock a fumetti, loro ti piazzavano lì - come gadget - titoli come Il rock: star system e società dei consumi di David Buxton, Cut’n'Mix: cultura, identità e musica caraibica o, soprattutto, The sound of the city di Charlie Gillett, che indaga la nascita e gli sviluppi della musica rock dalla sua nascita (1954) agli anni settanta. Nell’introduzione Charlie Gillet, nel 1971, scrive: “[In questo libro] vengono presentate alcune ipotesi non sempre condivise dalla cultura popolare, la più importante delle quali sostiene che pubblico e artisti possono determinare il contenuto di una forma di arte popolare il cui veicolo di diffusione è rappresentato dai mass media. La parte economica che funge da intermediario tra pubblico e creatore può essere costretta da questi ad accettare un nuovo stile. L’ascesa del rock’n'roll ne è la prova.”
Niente a che fare con la storia del rock a fumetti, quindi.
Vabbè, ma allora perché Max Stèfani ti stava antipatico? Non lo so. Forse perché era il direttore e sembrava dover giocare il ruolo di mastino che teneva a bada i cani sciolti che scrivevano per la rivista. Oppure per quell’atteggiamento da possessore di verità rivelate che echeggiava nei suoi editoriali. custodia iphone O magari perché quando ho iniziato a leggere Il Mucchio Selvaggio a me Bruce Springsteen non piaceva per niente e lui lo identificavo con gli insopportabili fan sfegatati del Boss, quelli che ne imparavano a memoria pure le virgole delle interviste. Non lo so. covero iphone Però gliel’ho detto l’altra sera all’Hemingway e lui mi ha rassicurato: pare che sia un’impressione che ha sempre suscitato negli altri e ci è abituato.
Adesso invece - non so se è perché l’ho conosciuto e sentito parlare, o se è perché pure io sono diventato un mastino in possesso di verità rivelate innamorato di Springsteen, o magari solo perché mi sono reso finalmente conto che senza di lui Il Mucchio Selvaggio non sarebbe mai esistito - ci ho ripensato e ho deciso che all’epoca l’ho mal giudicato e che oggi mi sta pure simpatico.
E - qualora non si fosse capito - questa è la mia maniera di ringraziarlo.

[Poi arrivo a casa, dormono tutti, mi allungo sul divano e sfoglio il libro. Mi soffermo sulle pagine che raccontano il periodo in cui ero un lettore della rivista. Rivedo copertine e pagine conosciute. Il primo piano di Michael Stipe. iphone 8 plus custodia outlet Il coccodrillo di Antonio Tettamanti che mi ha fatto scoprire - purtroppo ovviamente postumo - Andrea Pazienza. La copertina coi Litfiba. E arrivo alla scissione. Stèfani l’ha già raccontata durante la presentazione. Di punto in bianco più della metà dei collaboratori del giornale lasciano Il Mucchio e fondano una rivista chiamata Velvet. Una rivista di buona qualità, devo dire, ma che non regge il passo e dopo qualche tempo chiude. Prova ulteriore - semmai ce ne fosse bisogno - che per fare una rivista seria ci vuole qualcosa di più di talento, boria e qualche idea. cover iphone custodia Comunque in quel frangente Max Stèfani resta con una mano davanti e l’altra di dietro ed è costretto a fare il numero successivo del Mucchio con i pochi collaboratori rimasti fedeli. Ognuno di loro scrive un numero esagerato di pezzi e - per non far vedere che le recensioni le aveva scritte quasi tutte lui - Max Stèfani rispolvera un suo vecchio pseudonimo per firmarle. cover shop online Quello pseudonimo è Stefano Cardinali, e a me prende un accidente. Perché io uno Stefano Cardinali lo conosco per davvero e sono sicuro che non è il direttore de Il Mucchio Selvaggio. E lo conoscono pure gli habitué del sito anonimo perché oltre a frequentare, con lo pseudonimo di Big One, le pagine del nostro forum è uno dei più assidui e capaci collaboratori dell’Anonima Scrittori e, guarda caso, ci scrive proprio di musica.

One Response to “Max Stèfani - Il Suono della Città”

  1. big one Says:

    Ebbene si, maledetto Carter! Sono proprio io, Stanislao Moulinsky!

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