Anonima scrittori


Modica Quantità

Categoria: ...Altro, Progetti
Postato da: zaphod
  • Modica Quantità

La terapia dell’Anonima Scrittori contro le parole in eccesso.

2500 battute (spazi inclusi titolo escluso) per raccontare una storia.

Una scorribanda attraverso i generi letterari.

Pillole di narrativa a somministrazione bimestrale scaricabili direttamente da qui.

One Response to “Modica Quantità”

  1. geppo Says:

    Odori e umori del vico

    Mio padre tornava dalla “rezza”, tipo di pesca che si praticava sulla spiaggia, dove due file di braccia tiravano le reti che la barca gettava al largo poco prima, verso le dieci del mattino. Quel giorno avevo corrotto mia madre per non andare a scuola. Di solito bastava che le dicessi che avevo mal di testa o di pancia, che la sua faccia si addolciva di un’espressione complice seppur alimentata da una debolezza di carattere. Insomma, non riusciva a prendere la questione troppo sul serio, oggi capisco che mia madre soffriva già molto, e provava a difendersi. Dal letto, da dove seguivo tutto il dibattito che si sviluppava nel vico tra le varie comari, una voce concitata mi faceva capire dell’arrivo di mio padre. Un salto ed ero giù in cucina accovacciato all’angolo del tavolo a mangiare un panino con il prosciutto cotto, e intanto guardavo le belle sarde ancora vive che brillavano all’interno della busta di plastica. Ancora per poco; da lì a poco sarebbero diventate cibo per gran parte degli abitanti del vico. E non solo! Spesso mia zia Civitina compariva sulla porta ansimante, e non faceva in tempo a chiedere “quant’na’purtat”? che mia madre le aveva già riempito una busta di sarde. E poi altri parenti e amici sparsi per il quartiere. Una gioia ‘sta venuta di papà, pensavo con il mal di testa alle spalle.
    Verso mezzogiorno mia madre cominciava ad accendere la”fornacella”, una specie di barbecue alto quaranta centimetri e largo trenta. La carbonella era poca, ma la faceva bastare, era brava a risparmiare mamma, così papà era ancora più contento. Intanto le prime sarde si immolavano per la nostra fame, che a quest’ora pulsava nello stomaco. Io seguivo il dibattito, che nel frattempo si era spostato all’interno dei venticinque pollici ancora in bianco e nero.
    “Scign”, annunciava dalle scale mia madre a suo marito che riposava al “tavolato”, così era chiamato il nostro primo piano. Chissà perché, forse per il fatto che un tempo nelle case il piano rialzato era in legno. Più che la voce della moglie credo che il profumo del pesce riuscisse a farlo alzare, dopo che si era svegliato alle tre di notte. Dopo qualche anno, dopo che avevo anzitempo lasciato la scuola, anch’io mi svegliavo a quell’ora, e insieme andavamo a chiamare un altro pescatore qualche vico più avanti dal nostro. Si chiamava Leonardo, era un uomo alto poco più di un metro e mezzo con un po’ di gobba e i capelli densi di brillantina già alle quattro del mattino, ricordava, almeno nella faccia, Totò. Nella sua casa il profumo del caffè appena fatto si mischiava con antiche puzze varie, pesce soprattutto, ma anche muffe e tante altre che ricordo ma fatico a trascrivere; lui, a differenza di mio padre che pescava perché in cassa-integrazione, lo faceva come secondo lavoro, anche se il primo era non molto dissimile, visto che vendeva il pesce su via indipendenza nel pomeriggio, quando le signore si muovevano inquiete alla ricerca del cibo migliore per le loro famiglie.
    Insieme proseguivamo a piedi per le buie vie di Gaeta fino alla spiaggia di Serapo, dove già trovavamo un fuoco acceso e alcuni uomini insonnoliti. Tutto intorno era silenzio naturale, di paese che fa i conti con i propri incubi e sogni, che a volte diventano la stessa cosa in certi ambienti domestici.
    Quella mattina le sarde erano davvero speciali, l’odore conquistava tutti, me soprattutto, che le mangiavo come antipasto, ma in realtà non riuscivo a mangiare altro..Mia madre stavolta si era arrabbiata, inveiva contro di me facendo il conto rimasto in sospeso dalla mattina. O forse stanca dalle fatiche dell’arrostita, ma soprattutto poiché non ne era rimasta neanche una, di sarda, che così tanto aveva desiderato durante la cottura. Mia sorella e mio fratello si erano contenuti; mio padre no, aveva una fame che si portava dalla sera prima, ed io che ingordo ne avevo buttate giù una ventina ero quello che si meritava di più la ramanzina. Cercavo di spostare l’attenzione sulle notizie del tiggì, ma niente, mamma voleva arrabbiarsi per bene: voleva punirmi! Così, visto che per il libretto delle giustificazioni stavo male, decido di rifugiarmi nel letto a fare il convalescente.
    Più tardi mamma aveva deciso di farmi passare tutto, difatti con la complicità del forno e dei polipi freschi, insieme alla farina lievito sale e acqua, costringeva me e il mio olfatto a rivedere il piano: tornavo volentieri a scuola l’indomani in cambio di un paio di fette di tielle ai polipetti. Viva la scuola!

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