Anonima scrittori


Parigi, 1896 - Un racconto di Gabriele Santoni

Categoria: Assaggi, suoni, visioni e letture, Il bit dell'avvenire, Narrazioni
Postato da: zaphod

Anonima Scrittori - Il Bit dellAvvenire

[Gabriele Santoni ha vinto # YouCrime il concorso per racconti noir indetto da Rizzoli e Corriere della Sera. Il suo racconto Morire due volte è risultato il più apprezzato in una classifica che bilanciava gradimento, vendite e condivisioni. L'ebook celebrativo della manifestazione è scaricabile gratuitamente dal sito di RizzoliLibri ma intanto si può avere un assaggio della sua prosa leggendo il racconto pubblicato qui sotto. Fa parte dell'antologia Il Bit dell'Avvenire (acquistabile in formato cartaceo, ma anche online in tutti gli ebookstore, come per esempio quello di UltimaBooks) che abbiamo curato per Tunué - Editori dell'immaginario e che vedeva anche la partecipazione di Giancarlo Baroni, Antonio Pascale, Lorenzo Pavolini e Antonio Pennacchi. Subito dopo la pubblicazione di quell'antologia Lorenzo Pavolini entrò nella cinquina dello Strega con Accanto alla Tigre (Fandango) e Antonio Pennacchi lo vinse con Canale Mussolini (Mondadori). Poi dite che l'Anonima non porta fortuna...]

PARIGI, 1896

Avevo ai piedi le scarpe di Jean, ancora troppo grandi per me. La mamma me le aveva passate e aspettavamo che il mio piede crescesse abbastanza per passarle a Louis quando sarebbe stato in grado di camminare. “Guillaume” mi aveva detto mia madre “devono resistere ancora anni. Non prendere a calci i sassi o tuo fratello un giorno dovrà camminare senza!”. Quell’ammonimento mi tornava alla mente ogni volta che mi ritrovavo una pietra piatta tra i piedi. Immaginavo di calciarla con la punta della scarpa e vederla saltare sulle acque nere della Senna. Sarei stato in grado di farla arrivare sull’altra sponda. La immaginavo volare, risalire l’argine del fiume e girare tra i vicoli di Parigi schivando cappelli a cilindro, carrozze e cavalli, rompere la vetrina del Café des Roses e finire nella tazza di Monsieur Rochard nel giorno in cui sarebbe venuto a chiedere i soldi dell’affitto.

Erano passati pochi giorni dal Natale. Ancora qualche anno e avremmo salutato il 1800. Succedevano tante cose in città, un gran movimento rendeva l’aria frizzante, sebbene mio padre giurasse che presto sarebbe finito il mondo e non avremmo fatto in tempo a veder nascere il nuovo secolo. Pittori, scultori, circensi, avventurieri e zingari affollavano le strade di Parigi. Mercanti da ogni parte del mondo si incontravano per le vie di Montmartre come fedeli ad un appuntamento fissato dalla storia. Prodotti mai visti prima coloravano le bancarelle, spezie dalle Indie e dalla Turchia, stoffe italiane, tappeti dalla Persia, alambicchi dalla Bretagna Gli aromi si rincorrevano annullandosi l’un l’altro. I mori offrivano tè di menta per pochi centesimi, i giocolieri lanciavano in aria palle e clave. Uno sputava il fuoco, un altro con un berretto sudicio chiamava a raccolta i più generosi.

Durante i festeggiamenti di Natale potevamo girare soli per le vie del centro. Non dovevamo leggere e scrivere e nemmeno aiutare nostro padre nella raccolta dei rami secchi. Allora Jean ed io ci rincorrevamo per le vie del centro fin quando lui, più grande e più veloce di me, andava a nascondersi dietro un angolo o dietro un gruppo di passanti. Io lo cercavo disperato. iphone 8 plus custodia All’improvviso sbucava fuori e mi sorprendeva con pesanti palle di neve gelata. Madame Marie Rose, a sera, ci regalava piccole “buche de noël” avanzate dal suo negozio di dolci, dietro la solenne promessa che avremmo studiato abbastanza da diventare maestri.

Percorremmo Rue des Italiens, volevamo raggiungere gli Champs-Élysées poi giù fino al fiume per scivolare sull’acqua ghiacciata. Lungo Boulevard des Capucins un capannello di persone si affollava davanti al Gran Café. Jean si fermò a guardare, salì sulle punte dei piedi, provò a farsi largo tra i gentiluomini e le loro signore, ma non riuscì a leggere il manifesto colorato all’entrata.

“Sono i figli del fotografo” sentii dire. “Chissà cosa avranno in mente questa volta”.

Una signorona dall’aria sbigottita predisse un futuro nero per il fotografo “Mon Dieu! se quei due non si mettono in testa di lavorare seriamente, il povero padre dovrà chiudere bottega!”.

La piccola folla si dissolse al cenno di uno dei curiosi. “Un infuso caldo per tutti, offre Monsieur Duschamp! non perderò un altro secondo appresso all’ennesima trovata dei figli del fotografo”. custodia samsung

Tutti lo seguirono obbedienti e noi rimanemmo soli davanti al manifesto. Jean finalmente riuscì a leggere e tentò di spiegarmi. cover samsung custodia

I figli del fotografo davano appuntamento all’imbrunire nel seminterrato del Gran Café per uno spettacolo di luce che veniva sbandierato come sbalorditivo. Avrebbero mostrato cose e persone che in realtà non c’erano. Pensai che volessero risvegliare i morti, mettersi in contattato con gli spiriti dell’aldilà, riportarli in vita con il loro nuovo macchinario. I figli del fotografo avrebbero dato una seconda possibilità alle anime inquiete che vagavano su Parigi e su tutta la Francia. Immaginai mio nonno tornare per costruire la casa di fango per i suoi galli da battaglia. Una palla di neve in piena faccia mi fece tornare in me. Rincorsi Jean e mi dimenticai dei figli del fotografo, del loro macchinario e delle anime dei morti di Parigi e di tutta la Francia.

Arrivammo fino al fiume, mangiammo pane nero e bevemmo succo di mele. Jean ammucchiò tanta neve da farne un pupazzo dalla pancia enorme. Gli diede sembianze umane con sassi al posto degli occhi e rami secchi per bocca e naso. custodia samsung s8 Disse che somigliava a Monsieur Rochard, il padrone di casa. E allora ci divertimmo a renderlo ridicolo con bastoni conficcati in ogni dove.

Il sole iniziava a scendere e noi dovevamo tornare a casa.

Facemmo la solita strada, giocando a riconoscere le nostre stesse impronte nella neve che si ricorrevano fino al fiume. cover iphone outlet Salutammo Marie Rose che chiudeva la bottega dei dolci. Ci lasciammo alle spalle gli Champs-Élysées e la musica di un organetto che dava congedo al Natale appena trascorso.

Arrivammo in Boulevard des Capucins e notammo una piccola folla accalcata davanti al Gran Café. Erano tutti li per lo spettacolo dei figli del fotografo. “Avranno tutti anime care da riportare in vita”, pensai.

Giunti davanti all’entrata il vecchio proprietario del Café ci fece cenno di avvicinarci. “Ragazzini”, ci disse “ecco due biglietti per assistere allo spettacolo”. Non capimmo subito quel gesto di generosità. “Siete giovani” aggiunse “e dovrete raccontare per molti anni quello che vedrete stasera!”.

Raggiungemmo il seminterrato del Café e ci sistemammo in fondo. Mi domandai con un biglietto quanti morti avrei potuto risvegliare. Quando la sala fu piena si spensero le luci e un silenzio di tomba calò come un velo.

Al centro, tra le due ali di folla, riconobbi nella penombra i figli del fotografo. Armeggiavano intorno alla loro macchina risveglia-morti. La ispezionarono da ogni angolo, la pulirono con uno straccio prima di puntarla verso la grande parete bianca davanti a noi. cover custodia samsung Avrebbero sparato le anime risvegliate contro il muro con grande clamore e ognuno avrebbe riconosciuto i propri morti e se li sarebbe riportati a casa.

Quando uno dei due iniziò a girare la manovella posta sul lato del marchingegno, un rumore continuo e ritmato invase la sala. Un fascio di luce lasciò la macchina è andò a poggiarsi sulla parete bianca. Jean mi strinse la mano forte. Più di me desiderava vedere il nonno.

All’improvviso una finestra gigante si aprì su un giorno di luce. Comparvero le rotaie di un binario, proprio li, nel seminterrato del Gran Café. Tutt’intorno avvertii un gran vociare di sgomento. Pensai che fosse il binario sul quale, dal mondo dei morti, le anime tornavano sulla terra. Da lontano, quasi subito, vidi arrivare il treno, sbuffava fumo bianco. La gente intorno a me iniziava ad agitarsi. Notai gli sguardi smarriti cercarsi a vicenda. Il treno non sembrava volersi arrestare. La paura generò il caos nella sala. Vidi gente accalcarsi verso l’uscita, altri addossati contro le pareti come topi in gabbia, qualcuno urlò. Io rimasi immobile. I figli del fotografo avevano mantenuto la loro promessa, avevano mostrato cose e persone che in realtà non c’erano, cose e persone che appartenevano a un mondo diverso. Avevano portato nel seminterrato di un caffè parigino un treno fantasma. Nella mia immobilità, riuscii a vedere i figli del fotografo che, a questa scena, ridevano divertiti, per uno scherzo ben riuscito. Uno dei due continuava a girare la manovella sulla macchina, l’altro si guardava intorno e riferiva. Io fissavo il treno che nel frattempo si era arrestato. custodia samsung s8 Vidi le porte dei vagoni aprirsi e mille persone venirne fuori.

“Ecco le anime inquiete” pensai “ finalmente libere di tornare”. Chissà perché andavo a pensare che volessero tornare.

Cercai mio nonno tra quei volti, senza trovarlo. La gente continuava a scendere dal treno e faceva posto ad altre persone che volevano salire. Il buio tornò nella sala. La finestra sul mondo dei morti si era chiusa definitivamente, lasciandomi ancora immobile e senza parole.

Quando tornò la luce, il seminterrato era vuoto. Al centro della sala i figli del fotografo se la ridevano. Guardavano la loro macchina, anch’essi increduli. Avevano inventato qualcosa di importante, ne erano certi. E anche Jean ed io in qualche modo eravamo certi di aver assistito a qualcosa di straordinario.

Il padrone del Gran Cafè raggiunse i due fratelli e li abbracciò. Gli diede una bottiglia di cognac e divise con loro l’incasso. Poi venne verso di noi e ci accarezzò.

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