Anonima scrittori


(r)esistenza 2010 - ‘La Bella Gente’

Categoria: (r)esistenza, Progetti
Postato da: Torquemada

[Continua la pubblicazione dei racconti selezionati per (r)esistenza 2010, il progetto patrocinato dalla Presidenza del Consiglio Regionale del Lazio. Dopo i racconti di due vecchie glorie dell'Anonima Scrittori, come Marco Berrettini e Stefano Tevini, è la volta di un'esordiente: Arianna Ceraolo. E' la prima volta che partecipa ad un progetto dell'Anonima Scrittori e ha deciso di concorrere nell'appuntamento tradizionale con la resistenza quotidiana. Il titolo è già esplicativo: la Bella Gente.]

LA BELLA GENTE

Marina Tozzi Porciani se ne stava in piedi davanti allo specchio a soppesarsi le tette. Era passato quanto? Un anno dall’operazione di ricostruzione?  Ed erano già tutte avvizzite come fichi secchi. Doveva dirgliene quattro a quel cialtrone del chirurgo che le aveva chiesto migliaia di euro per due affarini che non stavano neanche su da sole.
Il marito, Claudio Tozzi Porciani, dormiva con ancora gli abiti del giorno prima addosso. Sembrava uno svenuto per caso sopra il talamo. Marina lo guardò schifata, poi si avvicinò e un caldo sorriso le segnò il volto. Suo marito sembrava un bambino quando dormiva, anche con indosso l’impermeabile puzzolente di Gauloises senza filtro e il colletto della camicia impregnato di Hypnotic Poison by Christian Dior. Non era un’esperta di profumi, ma conosceva perfettamente la fragranza indossata dall’amante del marito.
Ma lo sai che la Maison Dior ha riproposto l’Hypnotic quest’anno? – le aveva detto quando avevano condiviso lo stand al Premiere Vision di Parigi. Che poi non era nemmeno riuscita a vendere niente perché quella stronza aveva oscurato completamente le sue creazioni, starnazzando come un’oca per tutta la durata della fiera. E suo marito se la portava pure a letto. La fotografa Anna Celesti, cinquantenne divorziata che per fare controtendenza aveva deciso di non rifarsi le tette e spendere trecento euro a botta per ogni push-up che comprava, l’aveva avvisata che il marito stava con Carla Agosti, la stilista e che l’aveva portata alla festa di compleanno del PR Gianfranco Valle al centro sociale Skype di Torpignattara.
Mamma mia che squallore quella festa. – le aveva detto la fotografa -. Il PR voleva fare l’alternativo, ma il centro sociale è stato appena affittato ad una troupe cinematografica, che l’ha trasformato in un finto locale di lap dance e tutti gli invitati si sono sentiti così a disagio. Sembrava di stare davvero in un locale per mignotte. Beh sì insomma, l’ha portata lì e sono usciti allo scoperto. Marina devi dirgli qualcosa. Guarda me, io a mio marito mica gli ho permesso di farla franca. Di-vor-zio. Ed eccomi qua felice e contenta.
E cornuta e sola come un cane - pensò Marina mentre finiva di vestirsi -. Io non ho fatto niente di male Sono dalla parte della ragione, è lui che sbaglia. Non ci penso neanche a nascondermi come una ladra.
Uscì dalla stanza che erano quasi le 10. La casa era stranamente silenziosa e si fermò a pensare alle cose da fare. Dunque Cecilia era a scuola e Carlo pure. La piccola MariaGiulia era uscita con Lourdes quindi lei poteva mettersi tranquilla e pianificare la giornata.
Ecco…Allora…
Quando realizzò di non avere niente da fare si sentì soffocare. Il massaggio olistico era alle 16 quindi aveva ancora un sacco di tempo. Poteva chiamare la manicure e chiederle di passare all’atelier. Sì, e poteva chiamare Giordana e offrirle uno scrub ai piedi. No, Giordana era incinta di otto mesi e aveva due caviglie che sembravano zamponi di maiale. Non poteva umiliarla offrendole lo scrub. E poi riusciva a malapena a camminare. Aveva fatto una dieta rigenerativa e purificante a base di centrifugati di carote e cetrioli ed effettivamente da dietro sembrava magra, ma in pancia doveva avere un mostro perché avanzava come un pachiderma, nonostante la stazza minuta.
Pensò di chiamare la segretaria chissà mai ci fosse qualche impegno che aveva dimenticato.
Marianna? Che impegni ci sono per oggi?
A mezzogiorno ti ho prenotato una poltrona alla tavola rotonda organizzata dal Bic Lazio. Viene quell’imprenditore tessile bielorusso e mi avevi detto che poteva interessarti. Confermo?
Marina ci pensò un po’ su, mezzogiorno era un brutto orario, proprio in mezzo alla colazione. Però non poteva perdere un’occasione importante.
Sì, conferma. Mi prepari tu il materiale? Passo a prenderlo tra una mezz’ora. Chiama anche il bar e chiedi di farmi trovare pronta la colazione verso mezzogiorno e poi, se c’è un parcheggio libero davanti all’atelier, mettiti lì e aspettami.
La ragazza sospirò silenziosamente.
A mezzogiorno ti aspettano al Bic. Non è meglio che anticipi un po’ la colazione?
Sì, giusto, il Bic. Va bene fai alle 11 e 45 allora. A dopo.

Marina aveva un piccolo atelier in zona Flaminio a Roma e nonostante una laurea alla London School of Economics, aveva deciso di dedicarsi all’arte del cachemire, creando piccoli gioielli di artigianato quasi esclusivamente con le sue mani. Le clienti erano un nutrito gruppo di cariatidi della nobiltà decaduta della Capitale. Aveva una figurinista che riportava su carta le sue geniali idee e delle contadine di Colletorto molisano che nel tempo libero facevano le tessitrici nel capannone accanto al magazzino delle sementi e davano forma alle sue creazioni. Marina era la mente che forgiava le idee.
Non era una donna stupida e si era chiesta più volte che senso avesse quell’atelier, visto che poteva vivere serenamente con la rendita dei traffici del marito. Ma lei era diversa dalle donnette che frequentava. Lei aveva studiato e voleva mettere a frutto le sue conoscenze con un’attività imprenditoriale. Voleva dimostrare di saper essere madre, donna e manager allo stesso tempo. E poi l’atelier l’aveva aiutata durante la malattia, quando il marito le aveva detto “arrangiati” e gli occhi del mondo sembravano solo compatirla.

Arrivò allo studio che erano le 11. Parcheggiò la sua Chrysler Dream Cruiser al posto di Marianna che stava lì impalata da più di quaranta minuti ed entrò sorridente nel suo regno.
Mi chiami Giselle, la manicure?
Alle 12 hai l’appuntamento al Bic. Ti ricordi?
Ah già…il Bic. Mmm no, senti disdicilo, tanto i bielorussi non sono interessati al cachemire e chiamami Giselle. Ah. Chiamami anche Luca e mentre lo aspettiamo tira fuori la cartella con le multe della moto di mio marito. Appena arriva Luca gliele diamo che ci pensa lui. Dov’è il mio cellulare?
Marianna era affranta, ma abituata. Telefonò al Bic Lazio per disdire, prendendosi la strigliata dell’organizzatrice dell’evento, chiamò Luca Argenti, l’avvocato con la pelle bruciata dall’abuso di lampade abbronzanti e Giselle, la manicure.
Dopo nemmeno dieci minuti, Luca Argenti era alla porta dell’atelier e Marianna lo fece accomodare. Era fisicamente attraente, ma definirlo una merda d’uomo era fargli un complimento.
Senti, ho lasciato l’Hammer in doppia fila mi cerchi un parcheggio?
Marianna lo guardò sorridente, indecisa se sputargli in un occhio o accarezzargli il viso come si fa con i dementi.
Io posso cercare un parcheggio al massimo ad una bicicletta. Pensa davvero che mi prenda la responsabilità di spostare una macchina che necessita di una scala a pioli per salirci sopra?
Luca la guardò atterrito ed incredulo. Non era abituato a sentire dei no. Sbuffò e fece cadere le chiavi sul tavolino di vetro dell’ufficio. Avrebbe spostato la belva più tardi.
Marina stava stirando il maglioncino a pipistrello della Principessa Strozzi con la piastra industriale.
Luuuuuuca. Vieni qui caro. Marianna hai preparato la cartellina delle multe? Luca vedi se si può fare qualcosa con quella roba. Io penso si possa contestare no?
Certo che si può contestare. Dammi un paio di giorni e ti faccio sapere. Claudio dov’è?
L’ho lasciato a casa che ancora dormiva – rispose Marina mordendosi il labbro inferiore.
Ah. Poi che ha detto, che ci vediamo allo Sport Village?
Non mi ha detto niente, dormiva.
Va beh, lo chiamo io dopo allora.
Luca… - Marina lasciò il suo lavoro a metà, diede un’occhiata dentro l’ufficio per essere sicura che Marianna non potesse sentire e si avvicinò all’avvocato – senti avrei bisogno di parlarti.
Va bene, riguardo?
Marina sospirò: Riguardo Claudio.
Ancora? Marina…dai. Stai tranquilla, prenditi tempo, non fare le cose di fretta che poi te ne penti.
Di fretta? Ma Luca. Claudio è più di un anno che frequenta quella donna. Ora sono anche usciti allo scoperto. Non si preoccupa nemmeno più di nascondersi.
Marina, ci parlo io con tuo marito. Sono cose che capitano, sbandate. Ma davvero pensi che quella conti più di te?
Marina si fermò a riflettere, poi deglutì la saliva: Luca, Claudio mi ha lasciata da sola ad affrontare la malattia. Non è per me che mi preoccupo, lo so già che per lui sono solo una vecchia rinsecchita, ma è per i miei figli. Non c’è mai, Carlo è diventato ingestibile e MariaGiulia compirà quattro anni il mese prossimo e non ha mai pronunciato una sola parola. L’analista mi ha detto che somatizza il nostro stress e le assenze del padre influiscono negativamente.
Ti preoccupi per i tuoi figli e vorresti chiedere il divorzio? Sii ragionevole, dove andreste senza Claudio? Non penserai che tu possa mantenerti con l’atelier. Non hai una casa intestata, i tuoi stanno in Piemonte e c’è anche il rischio che ti porti via i figli. Vuoi rischiare?
Marina si sentì cedere sulle gambe. I figli erano l’unica cosa buona che aveva fatto con quell’uomo, non poteva perderli. Ma Luca aveva ragione. Non possedeva nemmeno una casa. L’unica che aveva era stata un regalo del padre, ma il marito l’aveva convinta a venderla ed investire il ricavato in un’azienda argentina che costruiva yacht di lusso. Era il business del futuro quello.
Annuì e chiuse la conversazione.
L’avvocato le appoggiò la mano sulla spalla e strinse forte.
Stai meglio ora? Tutto ok? Bene allora ti faccio sapere per le multe, a più tardi – disse senza aspettare una risposta.

A mezzogiorno in punto arrivò Giselle seguita dalla fotografa Anna Celesti. Marina non sopportava farsi la manicure da sola e chiacchierare con Giselle era di una noia mortale. La divorziata alternativa si precipitò dentro l’atelier, lanciò il cappotto sul divanetto e corse verso l’amica con una faccia da indemoniata.
Quelli del bar sono dei cafoni, Marina. Dei gran cafoni maleducati. – il labbro le tremava e il viso era paonazzo. Si vedeva che avrebbe voluto esibirsi in un turpiloquio da scaricatore di porto, ma cercava di darsi un contegno per non diventare lo zimbello della compagnia.
Che è successo? – chiese Marina senza alzare lo sguardo dal beauty -case.
Anna sembrò dimenticare per un attimo quello di cui stava parlando e si immobilizzò davanti agli smalti. Poi si risvegliò dalla trance con un sobbalzo ricordando invece il motivo principale per cui era lì: ma hai saputo della moglie di Giulio Carlini, il palazzinaro?
Ma chi la russa?
Si la russa, quella che si è fregata lo scapolone d’oro. E’ incinta.
Arriva l’erede. Embè?
Embè l’altra sera alla festa di Gianfranco Valle, tre tipe non l’hanno trascinata in bagno e l’hanno presa a schiaffi e spintoni?Manca poco abortiva lì sul posto.
Noooo. Ma chi sono queste?
Sono tre che stavano dietro a Carlini. L’hanno insultata perché se l’è fregato, manca poco l’ammazzavano.
E poi com’è finita?
Niente, l’hanno lasciata lì mezza acciaccata e quando il marito se ne è accorto voleva fare un casino, ma quelle sono le ciucciac… - Anna si fermò. Il demone si stava impossessando di lei e doveva fermarlo – sono le amanti di tre pezzi grossi ed è finita lì.
Senti Anna. – azzardò Marina, cambiando discorso -  Ma se chiedessi il divorzio a Claudio?
Ottimoooo. Io sono mesi che te lo dico Mari’. Mollalo, dimostra l’infedeltà e lascialo in mutande. Con i soldi degli alimenti ci campi a vita con i tuoi figli.
Ma se me li leva?
Ma che sei matta? Ma i figli stanno sempre con la madre. Che li lasciano in mano a quello lì che non ha manco trentacinque anni e va a mign…- pensò che non fosse il caso di proseguire.
Dici che starei meglio? Senza Claudio intendo.
Ma che scherzi? Quello è uno stronzo Marina. C’è o non c’è è la stessa cosa. Guarda me. Da quando io e Giorgio ci siamo lasciati sono rinata. Sai che l’altro mese Pasquale Mazzi, l’assessore, mi ha invitata in barca con lui? Poi va beh ha invitato anche MariaTeresa Sacchi, sai la modella di San Basilio e quindi non ci sono andata però dai, sono di nuovo in pista.
Marina fantasticava. Sognava di poter ricominciare, di tornare giovane ed entusiasta, di poter dimostrare al mondo che lei era una donna vera e non solo una che si era fatta mettere incinta da un diciannovenne che ora la tradiva con una sciacquetta mantenuta C’era stato un momento, tanti anni prima, in cui aveva avuto un solo cognome e tanta più voglia di vivere. Doveva parlare con Claudio.
Salutò Anna Celesti, salì sulla Chrysler e si precipitò a casa. Con ogni probabilità il marito stava ancora dormendo.
Quando varcò la soglia, la figlia più piccola le andò incontro. Marina la prese in braccio e la baciò più volte sulla bocca.
Dov’è papà?
La piccola non rispose, ma puntò il dito verso la cucina.
Marina la ringraziò con una carezza e raggiunse il marito che stava bevendo il quarto caffè corretto della giornata.
Claudio Tozzi Porciani, figlio minore di una famiglia nobile solo nel cognome, salutò la moglie tirando su il mento. Portava un completo da tennis Ralph Lauren e stava per andare al Tennis Club con l’avvocato Argenti. Claudio non aveva mai lavorato in vita sua e trascorreva le giornate tra il club di tennis, di golf, di polo e le rispettive sale massaggi.
Ti devo parlare – disse Marina con un’aggressività insolita che l’uomo non notò.
Ora? Ma devo uscire…
Sì, ora.
E va bene, dimmi…
Marina si guardò intorno per assicurarsi che non ci fosse nessuno: Voglio il divorzio.
La mano dell’uomo tremò impercettibilmente e uno schizzo di caffè sporcò la polo bianca e immacolata.
Ma che cazzo dici.?
Hai capito bene, voglio il divorzio. Non ci amiamo più, Claudio che senso ha andare avanti così? Possiamo fare una cosa tranquilla, consensuale, così non facciamo troppo rumore.
Marina tu non hai capito. Noi due siamo sposati e lo saremo per sempre, finché morte non ci separi. Chiaro?
Claudio Tozzi Porciani aveva sette anni meno della moglie, ma il doppio della personalità.
Ma che senso ha?
Te lo dico io che senso ha: per tutti noi siamo la coppia più bella di Roma. Siamo ancora giovani, ma abbiamo tre figli da esibire. Siamo energici, rampanti e ambiziosi. Tu lavori, fai la creativa e io posseggo mezza città in case e negozi. Siamo belli, belli e potenti. Siamo, hai capito? In due. Io e te. Gli affari vanno bene fino a che siamo in due. Se divorziamo divento il coglione che si è fatto lasciare. L’alcolizzato solo e inaffidabile che non vuole più nessuno. Ci siamo capiti?
Ma è tutto finto, Claudio.
E che cazzo vuol dire? Chi ha parlato di cose vere? O sogni ancora il principe azzurro? Sveglia bella mia. La vita vera è questa.
Ma…
Niente ma, discorso chiuso. Prova a chiedermelo un’altra volta e ti rovino. Ti lascio senza un soldo e senza figli a fare la mignotta per strada Chiaro?
Claudio, ma come posso vivere così? Senza amore, senza rispetto…
Resistere, ecco quello che devi fare, resistere…
L’uomo prese la borsa e uscì sbattendo la porta.
La piccola MariaGiulia si avvicinò timidamente alla madre e attirò la sua attenzione tirandole il maglione: Insieme – disse - finché morte non vi separi.
Erano le prime parole che avesse mai pronunciato.

7 Responses to “(r)esistenza 2010 - ‘La Bella Gente’”

  1. leon8oo3 Says:

    Bello questo racconto e bello anche il finale. CI sono lcuni passaggi un po’ macchinosi che potrebbero essere limati un po’. Ma nel complesso mi è piaciuto e, come ho detto, il finale ha un grande valore simbolico molto forte. In realtà non riesco ad non avere due interpretazioni. La prima, l bambina parla, ripete le parole che hanno composto la farsa della vita della madre e così facendo, entra di fatto nel mondo. Oppure un passaggio dal pragmatismo del rito all’ingenuità della figlia, che forse può aver pensato ad’una cosa bella nel sentire il padre pronunciare q

  2. leon8oo3 Says:

    quelle parole. Non so, magari non ho ragione ma a me sembra un pssaggio cruciale e di grade effetto, perchè è secco, deciso. Proprio come accadono davvero quste cose. Complimenti.

  3. tataka Says:

    Quanto squallore! Complimenti

  4. Mamma78 Says:

    Sono contenta che vi sia piaciuto :-) Effettivamente ci sono dei passaggi un pò pesanti, ma era un modo per esprimere la personalità caotica e confusa di Marina, oltre che la sua vita caotica e confusa. Non so se ci sono riuscita :-)

    Questa storia, come avevo precisato in una nota inviata insieme al racconto, è una storia vera. A parte i nomi e cognomi i fatti sono veri e io ne sono stata testimone :-) Ovviamente ho aggiunto un pò di colore, ma la base è quella. Riguardo il finale c’è un pò tutto quello espresso da leon. La bimba ha quattro anni, quindi è grande e parla con cognizione di causa Quella frase esprime un suo desiderio ma anche una sua comprensione ed accettazione di una realtà e di un destino che è anche il suo.

    Una delle cose che più mi ha colpito di quei “personaggi” (quelli veri) era la loro ferma convinzione di essere dei privilegiati, la vera “bella gente”. Mi è bastato frequentarli per qualche mese per notare che nonostante i privilegi, alcune “anime” più sensibili, come “Marina”, soffrissero in silenzio senza però trovare mai il coraggio di ribellarsi davvero (minacce o non minacce). “Claudio Tozzi Porciani” invece, quello vero, nato in quell’ambiente, era perfettamente calato nel suo ruolo e dietro la maschera c’era solo il vuoto.

  5. Woltaired Says:

    c’è una cosa che non mi torna: l’inizio. dopo un cancro al seno e una mastoplastica ricostruttiva non riuscita, una donna così chiama l’avvocato squalo per le multe del marito e non per denunciare il chirurgo, spolparlo vivo e avere tutti i mezzi necessari per vivere da sola? o le tette non gliele fai avvizzire o non metterle e se invce questa parte è tutta vera speriamo che finisca sotto un Hammer.

  6. Mamma78 Says:

    “Marina” preferisce chiamare l’avvocato per aiutare il marito che per lei. Non ha praticamente personalità; sia il personaggio che la donna vera non riusciranno mai a lasciare il marito e quella vita.

  7. Faust Cornelius Mob Says:

    Un modo diverso di (r)esistere, resistere nel senso di sopportare, di soffrire nel porre il collettivo di fronte al personale.

    Funziona, brava Arianna.

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