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Savile Row - Antidoti ed effetti collaterali

Categoria: Narrazioni, Savile Row di Stefano Cardinali
Postato da: zaphod

pincio

[Torna Stefano Cardinali - ripartito alla grande con la sua scorribanda tra concerti e musica degli anni'70 - con un nuovo capitolo di Savile Row, il viaggio musicale i cui inizi sono raccolti in questo e-book pubblicato dalla rivista on line Fili d'aquilone.]


E poi ci sono i Bee Gees.
Dice: - I Bee Gees? E che c’entra la musica dei Bee Gees col rock e col progressive?
- C’entra perché ce cape - avrebbe risposto mio nonno nel suo romanesco filosofico mai sporcato da quello falso e sguaiato del Monnezza.
- Ma i Bee Gees non sono quelli che facevano ballare Tony Manero/Travolta? - insiste la figura polemica.
- Certo che sono loro - e a questo punto sono io che rispondo e non più mio nonno - però nel 1970 mica facevano disco-music.
Il 1970 è l’anno della mia alba musicale. Il momento in cui le mie orecchie si sgranchiscono e, ancora un po’ intorpidite dall’ascolto di canzonette da hit parade, cominciano ad assorbire sequenze di note meno commerciali. Certo, stiamo parlando dei Bee Gees, mica di Frank Zappa o dei Doors, però da qualche parte dovevo pur cominciare. Insomma ascolto il brano I.O.I.O. e mi conquista subito. In realtà mi piace anche la ragazza che me lo propone e questo giustifica in parte la mia debolezza nei confronti del gruppo. La musica dei fratelli Gibb (eseguita in questo disco da Barry e Maurice perché Robin in quel periodo tentava la carriera solista) è musica pop, neanche tanto lontana dai brani che fino a quel momento avevano accompagnato il mio tempo libero, però ha il sapore dell’esotico e questo le riconosce un fascino che mi spinge a un giudizio poco equilibrato. E poi c’è l’amour che annebbia, stordisce e aggiunge valore a quella colonna sonora. Ammetto che la musica dei due fratelli fruisce anche di un sapore dolente visto che la cotta non era ricambiata.
In realtà un brano dei Bee Gees lo avevo già sentito ma non sapevo che fosse un loro successo: si trattava di Massachussets e alcuni anni prima era stato portato in cima alle nostre classifiche da un gruppo inglese, The Casuals, che lo eseguiva con un testo in italiano. Allora era prassi consolidata tradurre nella nostra lingua hit straniere di grande successo. Gruppi come I Camaleonti, I Corvi, I Dik-Dik, l’Equipe 84, devono i successi degli inizi a cover di brani dei Procol Harum, dei Brogues, dei Mama’s & Papa’s, di Sonny & Cher (la stessa Cher che intreccerà la sua carriera musicale col cinema fino a vincere l’Oscar nel 1988 con il film Stregata dalla luna). Il mercato discografico del nostro paese incuriosì a tal punto le etichette d’oltremanica che anche David Bowie e i Procol Ha-rum incisero nella nostra lingua brani che avevano già portato al successo in inglese. Ecco quindi una canzone dal titolo Ragazzo Solo, Ragazza Sola con testo di Mogol che altro non è che la celeberrima Space Oddity cantata da un disorientato Bowie non ancora calatosi nei panni di Ziggy Stardust. Oppure i padri del progressive rock inglese, i Procol Harum, cimentarsi con Il Tuo Diamante ovvero Shine on Brightly, anche questo brano tradotto da Mogol e contenuto originariamente nel loro secondo album al quale dà anche il titolo ma pubblicato in Italia su un 45 giri che portava sulla facciata B il brano strumentale Fortuna. La nota curiosa di quest’ultimo pezzo fu che il titolo originale Repent Walpurgis venne inutilmente tradotto in italiano.
Ma torniamo ai fratelli Gibb.
I.O.I.O., la canzone che me li fece conoscere, è inclusa in Cucumber Castle - il loro settimo album, tratto da uno special televisivo e l’unico senza Robin - ed è il solo pezzo del disco con un ritmo che non ti spinge a invitare a ballare la ragazza che hai di fronte. Ancora lontani dalla voce in falsetto che avrebbe caratterizzato i loro successi futuri, i Bee Gees confezionano musica orecchiabile e ben arrangiata che già al primo ascolto hai l’impressione di conoscere. Insomma canzoni d’impatto e da ballare stretti alla persona che ami. Come ho già specificato l’ultima caratteristica non mi riguardava anche se spesso mi ritrovavo a fantasticare su come sarebbe stato bello ascoltare quei brani abbracciato a Valeria. Non che non avessi provato a farlo ma lei mise subito dei paletti con la storia che “non voleva rovinare la bella amicizia che era nata fra noi”. Non la dimenticai quella frase anche perché mi capitò di ascoltarla in seguito ancora in un paio di occasioni. Anzi capitò anche a me di usarla. E così, per non rovinare “la bella amicizia”, mi accontentai, soffrendo col cuore tormentato (non so se i ragazzi che hanno oggi quindici anni provano le stesse emozioni e gli stessi dolori ma all’inizio degli anni settanta, le delusioni di quella età, mi provocavano quelle sensazioni), mi accontentai, dicevo, di fare da confessore/confidente/consigliere alla mia amica. Andò bene fin quando i suoi problemi riguardarono la scuola, il rapporto con la sua amica del cuore o le incomprensioni quotidiane con la mamma. Si fecero difficili da digerire quando si innamorò di un mio compagno di squadra.
Una domenica Valeria venne ad assistere a una mia partita di basket. Alla fine dell’incontro le presentai Raffaele che ci invitò a casa sua per una festa nel pomeriggio. I due fecero subito coppia fissa tanto che il mio amico lasciò ad Anita, la sorella, il compito di fare gli onori di casa. Io mi rintanai in un angolo roso dalla gelosia e l’unica volta che mi alzai inciampai versando un bicchiere d’aranciata sullo stereo in funzione. Sul giradischi c’era Emozioni di Lucio Battisti che in seguito fui costretto a ricomprare a Raffaele. Ebbi in cambio il disco rovinato che conservo ancora in qualche scatolone in cantina. Una domenica da dimenticare!
I due si misero insieme e con la fine della scuola la loro frequentazione si fece giornaliera. E giornaliera era anche la telefonata che Valeria mi faceva per mettermi al corrente degli sviluppi della sua storia d’amore. Diceva che i miei consigli le erano indispensabili perché dettati dal mio punto di vista maschile. Quando ripenso a lei non solo la ricordo come una “sfruttatrice e opportunista” ma - alla luce di come si comportò in seguito - la definirei proprio una “stronza sfruttatrice e opportunista”. Purtroppo allora ero accecato dai miei sentimenti e quelle telefonate serali, benché mi causassero sofferenza, parevano il momento più alto della giornata.
Poi per Valeria le cose cambiarono.
Raffaele ebbe un incidente in bicicletta e investì un’anziana signora che morì sul colpo. In realtà lui riuscì a evitare la donna sbucata da dietro un furgone ma lei, spaventata, perse l’equilibro all’in-dietro andando a sbattere la testa contro il marciapiede. I rilevamenti della municipale scagionarono subito il mio amico che però cadde in un pericoloso stato di depressione. I genitori, approfittando della pausa estiva, lo protessero mandandolo per tre mesi a Londra da uno zio con la scusa dell’ap-prendimento della lingua.
Dal giorno dell’incidente Valeria non vide ne sentì più Raffaele fino alla fine d’agosto. Al ritorno dall’Inghilterra il mio amico sembrava essersi ripreso dallo choc ma la loro storia d’amore era finita al momento della disgrazia.
Durante l’estate, tra le sue e le mie vacanze, la frequentazione telefonica con Valeria si era molto diradata. Riprese a pieno ritmo a settembre e la sofferenza della mia amica ricominciò a pesare sul mio stato d’animo.
Poi mi liberai dal sortilegio.
Come spesso capita in questi casi l’antidoto aveva un nome femminile: Antonella. Lontana dalle mie amicizie scolastiche e sportive mi avvicinò in un negozio di dischi e vedendomi con in mano l’album The Best of Bee Gees mi chiese come giudicavo quella musica. Gliela consigliai pensando che lei fosse allo stadio che invece io avevo già superato ma mi sorrise declinando il mio invito. Aveva appena acquistato Abraxas di Carlos Santana e solo qualche settimana più tardi, dopo averlo ascoltato, capii il motivo del suo rifiuto. Al momento di salutarci mi chiese il numero di telefono dicendo che avremmo potuto scambiarci opinioni musicali. Mi cercò il giorno seguente e mi invitò a uscire. Cominciammo così a frequentarci e dopo tre o quattro volte decidemmo di andare a passeggiare per il centro di Roma dirigendoci poi verso il Pincio. Lungo la salita che da Piazza del Popolo si arrampica verso il piazzale mi bloccò e mi baciò. Ci sedemmo su una panchina e - senza rimpianti - quel pomeriggio non riuscimmo a vedere il meraviglioso panorama della città. Poi, all’imbrunire, tornammo a casa mano nella mano fermandoci ogni dieci passi per scambiarci effusioni.
Non vedevo l’ora di chiamare Valeria per condividere la novità che mi era capitata. Ero certo che sarebbe stata contenta di sapere che finalmente mi ero messo con una ragazza. Invece la sua reazione fu di una freddezza inaspettata anzi cominciò ad accusarmi di essere un egoista senza pari perché in un momento drammatico come quello che lei stava vivendo io non avevo pudore a gettarle addosso la mia gioia. La delusione mi rese incapace di risponderle e mi fece capire che la “bella amicizia che era nata fra noi” si concludeva in quel momento, con il click del mio telefono che chiudeva la conversazione.
La storia con Antonella durò ancora per qualche mese poi, a pochi giorni dal Natale, senza nulla che ne facesse prevedere la conclusione, finì. Mi disse che mi lasciava per un altro spiegandomi che le era successa la stessa cosa con il ragazzo precedente quando aveva conosciuto me. In quella storia aveva guidato sempre lei: mi aveva agganciato, mi aveva invitato a uscire, aveva preso l’iniziativa baciandomi. Mi sembrò quindi giusto che fosse lei a decretarne la fine.

Non ascolto più i Bee Gees da tempo. O meglio: Stayin’ Alive, Night Fever oppure How Deep Is Your Love mi capita di sentirle quasi ogni giorno alla radio o nelle pubblicità. Da anni non ascolto più Then You Left Me oppure If I Only Had My Mind on Something Else entrambe contenute in Cucumber Castle insieme a I.O.I.O.. Non mi mancano, fanno parte di un percorso compiuto che al massimo posso rievocare filtrato dagli anni. Quella che resta è l’esperienza e la lievissima, forse masochistica, quasi impercettibile forma di piacere che si prova sapendo di aver sofferto per amore.


(Mentre scrivevo questa storia i giornali hanno dato la notizia che Robin Gibb era gravemente malato. Nonostante il fortunato successo artistico i Bee Gees sono stati più volte trafitti dal dolore: nel 1988 muore, a soli trent’anni, Andy, il più piccolo dei fratelli, che non volle mai far parte del gruppo scegliendo la carriera solista; nel gennaio del 2003 un attacco cardiaco stronca Maurice, gemello di Robin.
Stavo correggendo questo racconto quando è arrivato l’annuncio che Robin non ce l’aveva fatta: una polmonite lo ha ucciso a sessantadue anni.
Chissà se adesso Robin e Maurice riusciranno a convincere Andy a entrare nel gruppo dei Bee Gees nella nuova dimensione in cui si trovano?)

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