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Savile Row - Dal Re Cremisi alla 127 aragosta

Categoria: Assaggi, suoni, visioni e letture, Savile Row di Stefano Cardinali
Postato da: Torquemada

[Terza puntata di Savile Row, la rubrica di racconti musicali curata da Stefano Cardinali. Si parlerà di un altro dei gruppi che hanno fatto la storia del rock: i King Crimson, il Re Cremisi appunto. Si parlerà anche di come la straordinaria, ma pur sempre semplice, visione di un concerto possa cambiare la vita di chi vi assiste.]

DAL RE CREMISI ALLA 127 ARAGOSTA
(MUTAZIONE IN SETTE CHILOMETRI)

Nel novembre nel 1973 avevo poco più di diciotto anni ed ero ancora senza patente, non possedevo il motorino - mio padre era contrario nonostante lo stessi assillando da quattro anni - e l’unico mezzo di locomozione era l’autobus. Alle volte l’alternativa era fare l’autostop chiedendo un passaggio agli automobilisti fermi ai semafori.
Il 13 novembre del 1973 i King Crimson suonarono al Palazzo dello Sport dell’EUR e io ero lì col mio amico Moreno. Alcuni eventi accaduti dopo quel concerto mi permisero, esattamente un anno dopo, di avere una macchina tutta mia.
Nel 1973 i King Crimson erano al loro quinto album se si esclude Earthbound, disco dal vivo del’72. Diciamolo subito in maniera da non ripeterlo più: King Crimson, il Re Cremisi è Robert Fripp. In un band dove tutti i componenti sono cambiati più volte, Fripp è l’unico sempre presente, dal primo all’ultimo brano. Nel corso degli anni  il chitarrista si è circondato di volta in volta di musicisti capaci sia di realizzare progetti da lui ideati che di apportare creatività e perfezionamento. Nonostante ciò, come ha sempre sostenuto,  non si è mai sentito il leader delle varie formazioni.
Io li avevo ascoltati la prima volta verso la fine del 1971 a casa di un amico. Persi talmente la testa per il loro primo album che recuperai il terreno perduto acquistando tutta la loro produzione.
E allora? - si domanderà qualcuno - ’sto titolo pseudo futurista che significa? Va bene il Re Cremisi e forse pure la 127 aragosta, ma i sette chilometri che c’entrano? Un po’ di pazienza e ci arrivo, però ho ancora bisogno di qualche riga.
Nei primi due lavori, In The Court Of The Crimson King e In The Wake Of Poseidon il gruppo seguirà un percorso simile senza grandi scosse - grazie anche alla voce di Greg Lake - mentre il terzo e il quarto, rispettivamente Lizard e Islands  serviranno per sperimentare sonorità diverse in cerca di atmosfere inesplorate.
Per chi è interessato alla storia dei King Crimson non posso fare a meno di ricordare che nei primi quattro dischi c’è la presenza fondamentale di Pete Sinfield, geniale paroliere, produttore “ideologo” della band - qualcuno lo ricorderà anche autore dei testi degli album inglesi della PFM -. Però verso la fine del ‘71, dopo una tournèe negli States, Fripp deluso dal riscontro ottenuto, si separa da Sinfield (unico ancora rimasto della formazione originaria) e, di lì a poco, scioglierà la band. Nel 1973 il batterista Bill Bruford, abbandonati gli Yes, si unisce a Fripp nella ricostituzione dei Crimson. Faranno parte della nuova formazione anche il percussionista Jamie Muir, il bassista-cantante John Wetton e il violinista  David Cross, musicista fondamentale nella realizzazione dei due album  che seguiranno. Con questa formazione il sound dei King Crimson subirà una svolta fondamentale passando dal progressive a sonorità molto vicine al jazz-rock.
Eccolo lì - dirà qualcuno - questo prima ci incuriosisce e poi si mette a scrivere la lettera “K” dell’enciclopedia del rock. È vero, amo snocciolare le mie conoscenze musicali, però, questo breve excursus dei primi quattro anni di vita dei King Crimson mi serve per arrivare al concerto.
Siamo quindi nel 1973 ed esce l’album Lark’s Tongues In Aspic. Per chi aveva amato i dischi precedenti, l’impatto con questo ultimo lavoro è un cazzotto in faccia. Il cambiamento radicale di questo LP costituisce un esame arduo da superare. È vero, ci sono ancora richiami alle melodie passate - uno su tutti è il meraviglioso brano Exiles -, ma la svolta è clamorosa e potrebbe far perdere seguito alla band. Invece, lentamente, il disco si impone anche fra i più dubbiosi e farà da spartiacque nella storia musicale del gruppo.
Dunque, il 13 novembre i King Crimson suonarono a Roma. Io facevo parte della schiera degli scettici, di quelli che “questo è l’ultimo disco che compro”, però andai ugualmente al concerto forse perché volevo che l’addio avvenisse guardandoli negli occhi.
Alle cinque di pomeriggio eravamo già in attesa che aprissero gli ingressi. Con Moreno avevamo assistito a molti altri concerti e ci colpì il fatto che ad aspettare ci fossero poche centinaia di persone. A quell’ora, in altre occasioni (Genesis, Jethro Tull, Emerson Lake & Palmer ecc.), una folla spingente già si accalcava addosso ai cancelli chiusi. Quella volta invece i pochi presenti erano quasi tutti tranquillamente seduti a terra in maniera composta e, sempre compostamente, qualche canna girava passando di mano in mano.
Verso le sette riuscimmo ad entrare. Io mi fermai in tribuna, settore per il quale avevo acquistato il biglietto. Il mio amico si spinse verso la balaustra cercando, con la solita abile manovra di scavalcamento ventrale, di raggiungere la platea.
Davanti a un pubblico poco numeroso - si parlò di 4.000-5000 persone in una struttura che gremita ne può ospitare quasi 20.000 -, insieme ai pezzi più famosi tratti dai primi album e lasciati per il bis, i King Crimson presentarono tutto il loro ultimo lavoro. Fu un concerto meraviglioso per pochi e selezionati intenditori, caratterizzato da un suono di straordinaria purezza - chi conosce il Palasport sa benissimo che un limite di quell’impianto è proprio l’acustica. Fripp, da perfezionista quale ancora è, deve aver sudato non poco per riuscire a creare un suono così pulito - e alla fine anche io mi ero ricreduto sulla svolta jazz-rock.
Dopo il concerto, col mio amico ci ritrovammo all’appuntamento concordato con suo padre che doveva riaccompagnarci a casa. Aspettammo inutilmente. Il padre di Moreno lavorava come cameriere in un ristorante vicino all’Eur ma quella sera ebbe un contrattempo e ci lasciò a piedi. Quando quasi un’ora dopo decidemmo di avviarci verso casa non avevamo più mezzi pubblici a disposizione. Provammo a fare l’autostop ma sembravamo trasparenti per i pochi automobilisti che transitavano. Col cuore in pace percorremmo a piedi quasi sette chilometri per tornare a casa.
Erano passate le due quando infilai la chiave nella toppa. Entrai cercando inutilmente di non fare rumore. Mio padre mi aspettava sveglio e, se non fosse stato per  mia madre che lo aveva trattenuto, da tempo sarebbe uscito a cercarmi. Era tardi ed evitammo di litigare rinviando i chiarimenti al giorno dopo. Come sempre in queste occasioni, per giustificarmi gli rinfacciai che se avessi avuto il motorino non sarei rientrato così tardi. Alla fine della discussione gli strappai la promessa di un’auto come regalo per il conseguimento del diploma. Era chiaro come il sole che mio padre quella decisione  l’aveva presa già da tempo ma a me sembrò una vittoria incredibile.
Otto mesi più tardi mi diplomai e all’inizio di novembre arrivò la macchina. Nel frattempo i King Crimson avevano sfornato Starless And Bible Black, altro capolavoro che non deve mancare in una collezione che si rispetti. Per la scelta dell’auto c’era voluto un po’ di tempo ma, d’accordo con mio padre, aspettammo l’occasione giusta per un buon usato. La mia preferenza cadde sulla FIAT 127, modello sul quale avevo imparato a guidare. A quel tempo era considerato un gioiellino dal motore scattante e con un abitacolo capiente. Purtroppo quando si acquista  un’auto di seconda mano non si può scegliere il colore e a me capitò il famigerato “aragosta”. A parte le prese in giro degli amici - quel colore era da sempre al bando nel gruppo che frequentavo - qualche anno dopo quella macchina fu presa di mira dalle forze dell’ordine durante il periodo del rapimento di Aldo Moro. Era evidente che c’era stata qualche segnalazione specifica nei confronti di quel tipo di macchina perché, tra polizia e carabinieri, fui fermato almeno una decina di volte tanto che alla fine, se scorgevo una pattuglia, mettevo la freccia e accostavo prima di vedere la paletta alzata.
Cambiai quell’auto nel 1981 dopo oltre 200.000 chilometri e la carrozzeria che faceva ruggine dappertutto. Mi capitò l’occasione di acquistare una Renault 4 usata, lo stesso modello di macchina sulla quale, in via Caetani, era stato ritrovato il corpo di Moro. La storia continuava.
Quella però era veramente un’altra storia.

4 Responses to “Savile Row - Dal Re Cremisi alla 127 aragosta”

  1. zaphod Says:

    A me capitò - dieci anni dopo - un Sì usato di un Rosso che tentai di definire Ferrari, ma che forse solo ora scopro essere aragosta… Starless and bible black è il mio preferito tra i Crimson che conosco…

  2. cameriere Says:

    ti odio.
    io nel 1973 ciavevo 8 anni,
    un triciclo,
    e una mamma possessiva
    che non mi ci avrebbe mai mandato al concerto dei crimson.
    li ho cominciati a sentire 2/3 anni dopo
    attratto dalle tonsille incopertina.

    nel tuo racconto una pecisazione m’è mancata:
    greg lake,
    che fonderà EL&P
    con keith e carl.
    mica cazzi.

  3. cameriere Says:

    il racconto è molto bello

  4. big one Says:

    lake? Si ma quella e`´ un´altra storia!

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