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Savile Row - La corsa è finita

Categoria: Assaggi, suoni, visioni e letture, Savile Row di Stefano Cardinali
Postato da: Faust Cornelius Mob

blacksabbathparanoid

 

 

 

Torna, dopo una lunga assenza e a grande richiesta, Savile Row. Ancora una volta Stefano Cardinali scende una scala fatta di note musicali per fare un giretto nello scantinato della memoria. Era ora, aggiungerei…

- I Black Sabbath li conosci?

    - I ble…cchè?

    - I Black Sabbath. Li hai mai ascoltati? - mi chiede ancora Ernesto.

    - Dove li fanno sentire ad Alto Gradimento? - rispondo io con una domanda.

    - Seee! Alto Gradimento! Tu continua a sentire i Mungo Jerry!

    - Beh, “In the Summertime” non è male! - replico un po’ offeso. - Ma che genere fanno’sti Black Sabbath?

    - E mo’ come te lo spiego? - mi dice il mio amico accompagnando la frase con un eloquente gesto delle mani.

    - Per esempio somigliano ai Pink Floyd? - suggerisco.

    - No, con quelli non c’entrano niente. Sono più… più rock…

    - Come i Led Zeppelin? - cerco di imbeccarlo esaurendo così la mia preparazione con gli unici due gruppi non commerciali che conosco.

    - No, nemmeno loro. Adesso ti faccio un esempio: l’hai letto Poe? Edgar Allan Poe? - mi chiede Ernesto.

    - Ho letto “I racconti del terrore” - rispondo fiero - Non tutti, però - aggiungo sottovoce.

    - Ecco, bravo. Ciai presente l’atmosfera che respiri ne “Il gatto nero” oppure ne “La caduta della casa degli Usher”? Beh immaginati la musica dei Black Sabbath che fa da sottofondo a quelle storie.

    - Perché fanno musica con scricchiolii sinistri e vento che fischia attraverso finestre chiuse? - dico scherzando.

    - Senti, facciamo così: oggi vieni a casa mia e te li faccio sentire. Poi ripassiamo matematica ché domani c’è il compito in classe.

    - Veramente avevo detto ad Augusto che andavo a studiare da lui.

    - Mi vuoi prendere in giro? Lo sanno tutti che aprite il libro alla prima pagina che capita e poi andate a farvi un’americana nella sala biliardi a Piazza della Radio. Oggi vieni da me che così, magari, riesci pure a prendere la prima sufficienza dell’anno! Vedrai che ti piaceranno!

    - Ma non sarà che ‘sti Black Sabbath con quel nome e con le atmosfere che creano portano un po’ di jella? 

 

    Di sicuro il dialogo tra me ed Ernesto non si svolse proprio così però la ricostruzione è abbastanza veritiera: alla fine del 1970 ascoltavo Alto Gradimento, avevo letto “I racconti del terrore” di Poe e i Black Sabbath li conobbi davvero grazie a Ernesto. E a scuola ero una zappa. Mica ero stupido che non capivo le materie (nei miei tredici anni di istruzione coatta vanto solo promozioni a giugno), la verità è che non mi piaceva studiare. Consideravo l’apprendimento nella prima parte dell’anno scolastico solo una perdita di tempo tanto che, alla fine del primo quadrimestre, le uniche sufficienze me le ritrovavo in disegno, in educazione fisica e in lettere. E per uno che frequenta l’istituto tecnico industriale non è il massimo. Poi a marzo mi mettevo sotto, recuperavo il terreno perso e conquistavo una sequela di onesti sei grazie ai quali passavo l’estate a oziare.

 

    Così quel pomeriggio nacque l’amicizia con Ernesto e ascoltai i Black Sabbath. Per la precisione il mio amico mi fece sentire “Paranoid”, il loro secondo album. Il disco mi piacque senza entusiasmarmi (me lo feci regalare per il compleanno solo un paio di anni dopo, quando mi resi conto che in una raccolta di dischi che si rispetti non doveva mancare). L’estate seguente però lo imparai a memoria sempre in compagnia di Ernesto col quale due o tre volte alla settimana andavo al mare a Ostia. Quando la madre del mio amico era libera da impegni casalinghi ci portava con la sua Fiat 500 alla spiaggia libera di Castelporziano, altrimenti prendevamo il trenino che partiva da Porta San Paolo (però per noi era “da Piramide”) e scendevamo a Ostia Lido. Da lì raggiungevamo lo stabilimento Battistini dove trascorrevamo la nostra giornata balneare. Nostro compagno di viaggio era il mio mitico registratore portatile della Philips. Avevamo inciso tre cassette C90 e in una di queste c’era il disco dei Black Sabbath. Fruire di musica da viaggio all’inizio degli anni settanta era davvero una novità anche se oggi è difficile da immaginare per chi è nato nell’era del walkman e cresciuto in quella dell’ipod. Inoltre quel piccolo aggeggio musicale ci permise in tante occasioni di attaccare bottone con ragazze incuriosite dalle nostre canzoni sempre sparate al massimo del volume.

    Fu in questa maniera che una domenica conoscemmo Viviana e Carmen, due nostre coetanee che venivano da Vitinia, un agglomerato di costruzioni sulla Via del Mare tra l’EUR e Ostia. Durante la settimana Viviana aiutava i genitori che gestivano un negozio di frutta e verdura ad Acilia (altro gruppo di palazzoni a metà strada tra Roma e il mare) mentre Carmen lavorava come commessa per la stagione estiva in una libreria di Viale Marconi. Con loro ci incontrammo ancora nelle domeniche successive.  Qualcosa scattò tra Carmen e me e cominciammo a vederci da soli. Andavo a prenderla all’uscita dal lavoro alle sette e mezzo e l’accompagnavo alla fermata del treno. I nostri incontri duravano mezz’ora e pochi baci poi, all’arrivo del treno, qualsiasi discorso veniva rimandato al giorno seguente. In compenso quando tornavo a casa dovevo litigare con i miei per aver tardato per la cena. Alla fine dell’estate Carmen smise di lavorare e ricominciò la scuola. Tra i miei obblighi sportivi e i suoi impegni di studio i nostri incontri si limitarono a qualche sabato e a poche domeniche. Alla fine decidemmo di comune accordo che la fiamma della nostra passione si era estinta in maniera definitiva. Adesso il pensiero mi fa sorridere (eravamo soltanto due sedicenni che avevano terminato argomenti di conversazione) ma ricordo che in quel momento una separazione così civile mi fece sentire molto maturo. Con Carmen non ci vedemmo né ci sentimmo più. A scuola invece continuai a incontrare Ernesto anche se avevamo preso due strade diverse: dopo il secondo anno io scelsi il triennio di elettronica mentre lui optò per l’informatica. Ci vedevamo ogni tanto durante la ricreazione per scambiarci impressioni sul panorama musicale. Dopo il diploma lo persi di vista: io partii per il militare e lui si iscrisse a ingegneria deciso a laurearsi per continuare la professione nella scienza del futuro.

 

    Rivedo  il mio vecchio amico una sera d’estate di alcuni anni dopo al bar dell’ippodromo di Tor di Valle. È proprio lui a servirmi il caffè.

    - Lavoretto estivo per pagarti gli studi? - chiedo sicuro di una risposta affermativa.

    - No - mi risponde - secondo lavoro di merda per mantenere la famiglia.

    - Quale famiglia? Mica ti sarai sposato?

    - Invece si. Ho dovuto riparare a una “mancata interruzione” durante una scopata - mi confessa sorridendo - diciamo che ho aspettato troppo e zac… nessuna pietà per l’errore commesso!

    - Hai messo incinta una!

    - Sei perspicace come sempre! È proprio vero che non ti si può nascondere niente! - mi canzona Ernesto.

    - E l’università? La laurea in ingegneria? - gli domando preoccupato.

    - Ho mollato tutto. Pensa che stavo pure al passo con gli esami. Vabbe’ che vuoi farci… Comunque di giorno insegno informatica per un corso privato in una di quelle scuole che alla fine ti rilasciano un attestato che non vale un cazzo e la sera, tre volte alla settimana, arrotondo qua, dietro il bancone.

    - E lei, tua… ehm.. moglie, che fa, lavora? - chiedo un po’ imbarazzato dal termine.

    - No, la bimba ha pochi mesi. Anche lei studiava però ha lasciato per la gravidanza. Vedremo tra un po’ se avrà il tempo e la voglia di riprendere l’università. A proposito lo sai chi è? Guarda che è facile, la conosci bene pure te.

    Passo al setaccio i ricordi di tutte le ragazze che Ernesto aveva frequentato e che ho conosciuto anche io:

    - Alba, quella della sezione F! - rispondo quasi sicuro - al quinto avevate avuto una storia!

    - Acqua! Sei lontanissimo. Riprova.

    - Allora è Viviana, l’amica di Carmen. Quella ti moriva dietro!

    - Neanche lei, ma ci sei andato molto vicino: si tratta proprio di Carmen! - dice con un sorriso ebete stampato in faccia.

    Mi assalgono due sensazioni in contrasto tra loro: la prima, quella più immediata, è di gelosia, sentimento apparentemente immotivato dopo tanto tempo ma che si infila comunque nei miei pensieri. La seconda, inaspettata ma che scalza la prima, è di disagio per avere avuto momenti di intimità con quella che è diventata la moglie di Ernesto. Smaltiti sorpresa e turbamento sorseggio il caffè e gli chiedo:

    - Dove l’hai rivista, all’università?

    - Macché! Ci siamo incontrati a Londra la scorsa estate.

    - Che ci facevi… facevate voi due a Londra? - domando davvero incuriosito.

    - Io ero in vacanza ospite di un amico mentre lei era andata per migliorare la lingua. Per mantenersi lavorava in un pub ed è stato lì che l’ho rivista. Pensa che non l’avevo neanche riconosciuta! È stata lei ad avvicinarsi e a ricordarmi chi fosse.

    - Ma a te Carmen non era mai piaciuta! - dico ripensando al suo giudizio negativo di qualche anno prima.

    - Non era vero. Quando mi accorsi che vi piacevate mi sono fatto da parte per lasciarti libera la strada.

    - Poi cosa è successo? - chiedo di getto per non dare importanza alla sua generosità. Mentre la formulo mi rendo conto di quanto sia stupida la domanda.

    - Ma che te devo fa’ i disegnini? Che vuoi che sia successo? È successo e basta. Finita la vacanza io sono tornato a Roma. Con Carmen ci eravamo dati appuntamento alla fine dell’estate e invece dopo qualche giorno lei mi ha telefonato dicendomi che era rientrata. Ci siamo visti e mi ha detto che era incinta. Il resto te lo puoi immaginare.

    Seguo la sua rivelazione con lo sguardo infilato nella tazzina vuota che ho ancora in mano. In quel fondo danno il film che il mio amico mi ha appena raccontato. Rialzo il viso per guardarlo in faccia ma Ernesto è tornato alla macchina del caffè, pronto a servire nuovi avventori. Aspetto inutilmente che trovi ancora qualche minuto per me: in pista è terminata un’altra corsa e la gente si riversa al bar. Lo cerco con gli occhi e quando il nostri  sguardi si incrociano ci scambiamo un cenno di saluto, un ”ci si vede” che non si avvererà mai.

 

    Di recente, durante un trasloco, mi è capitato davanti agli occhi il vinile di “Paranoid”. I Black Sabbath non c’entrano niente con questa storia. Oppure si, perché sono stati proprio loro il mezzo per far nascere l’amicizia con Ernesto o forse, chissà, il nostro legame sarebbe sorto comunque. Oppure c’entrano perché senza la loro musica non avremmo destato la curiosità di Carmen e della sua amica quella domenica al mare o forse - chi può dirlo? - le avremmo conosciute lo stesso, magari al bar dello stabilimento proprio davanti al jukebox. 

    La verità è che rigirando il disco tra le mani non ho pensato alle canzoni che contiene, non mi è tornato in mente nessun motivo musicale. Soffiandoci sopra per togliere un po’ di polvere ho recuperato il ricordo di Ernesto, della nostra amicizia e della nostra storia.

    Della sua storia.

 

(Se dopo questa vicenda qualcuno è arrivato a pensare che i Black Sabbath portino davvero jella sappia che non mi troverà d’accordo perchè io, a quel compito di matematica il giorno seguente al primo ascolto, presi la prima sufficienza dell’anno!)

2 Responses to “Savile Row - La corsa è finita”

  1. aquiladellanotte Says:

    E’ un piacere leggerti perché mi riporti coi ricordi ai fantastici anni della musica progressive, quando a scuola, invece del libro di elettronica (anch’io fui “perito”), portavamo i dischi da scambiarci. E’ un piacere per come scrivi, ma questo te l’ho già detto. Un altro centro…anzi un altro canestro!

  2. big one Says:

    grazie, sai quanto mi fa piacere il tuo apprezzamento.
    a presto.
    s.

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