Verso lo Strega - ‘Acciaio’
Categoria: Assaggi, suoni, visioni e letture, Interpretazioni
Postato da: Torquemada
[Altra recensione tra i libri selezionati per il premio Strega. Questa volta è il turno di 'Acciaio' dell'autrice Silvia Avallone, edito da Rizzoli, pagine 356, euro 18. Qualche leggera e delicata anticipazione potreste trovarla, ma niente che possa pregiudicare il gusto di leggere il libro.]
Ho finito di leggere il libro e avrei voluto tanto scrivere una recensione, settimane fa. Sentivo che, però, c’era qualcos’altro oltre all’Ilva. Poi sono riuscito a trovare una chiave di lettura che comprendesse l’intera opera della Avallone. Perché è vero che tutta la trama, con il correlato intreccio, si svolgono intorno all’acciaieria di Piombino, ma è anche vero che a via Stalingrado, la via in cui si dipanano le vicende dei protagonisti, c’è gente che si slancia per vivere o si lascia cadere abbandonato, che ama con passione oppure odia visceralmente. Quello che la Avallone descrive è un ambiente degradato, in peggioramento costante, con qualche fiore che si sforza di spuntare in mezzo al letame. Ci sono due ragazze, Anna e Francesca, legate da un’amicizia totalizzante che confina con l’amore. C’è Alessio, fratello di Francesca, iscritto alla Fiom ma convintamente forzaitaliota. Ci sono i genitori delle due ragazze, che vivono agli antipodi. C’è un mondo di personaggi e figure che si mostrano delicati o rudi, furbi o ingenui. E’ un concentrato di contraddizioni che affascina, almeno all’inizio. Ogni vicenda è vissuta in maniera istintiva, a volte addirittura animalesca. Compreso il lavoro. C’è la religione della fabbrica, nonostante lo stipendio sia da fame e tutti siano costretti ad arrotondare in un modo o nell’altro. La religione del lavoro, la capacità nel dar vita alle cose che sono grandi e imponenti. Da lì nascono le rotaie che continuano chilometri e chilometri e che portano ovunque gli altri, perché loro sempre in quell’inferno sono destinati a restare. E’ un pensiero che ritorna e che rende orgogliosi tutti. Ed è facile immaginare che il lettore si trovi calato in un mondo che riesce a capire anche se non lo ha mai visto direttamente. E’ un mondo pieno di vita e di sentimenti ma senza speranza. Come se su Piombino, sull’Ilva e su via Stalingrado fosse calata una maledizione. La legge, meglio la costante, che vale per tutti senza distinzioni e che connota i protagonisti in maniera infernale, quasi dantesca - lasciate ogni speranza, o voi che entrate – è quella dei desideri disattesi. Anche la più piccola soddisfazione è destinata a trasformarsi in miseria e disperazione. La felicità è passeggera, un fuoco di paglia che però ustiona irrimediabilmente. Tutto viene deturpato, un po’ come quei gattini che vivono sotto l’acciaieria e che, confinati in un ambiente buio, malsano e chiuso (l’inferno?), sono destinati a deformazioni genetiche. E più ci si avvicina al desiderio vero, più la delusione può essere cocente, più lo scherzo del destino può rivelarsi beffardo, più la caduta sarà piena di fratture e lividi. E’ la particolare pena del contrappasso che si inventa la Avallone e, per ogni personaggio, riesce a costruire un destino ad hoc che ribalta il desiderio iniziale.
Il lavoro, quindi, essendo religione, diventa oppio degli sconfitti, la fabbrica un posto di diseredati che può fornire l’unico senso possibile a una vita fatta di stenti. Ed è proprio quando tutto è perso che le contraddizioni vengono allo scoperto nella loro sfaccettatura negativa, che le buone intenzioni sono destinate a evaporare, che tutti sono costretti ad alzare le mani e abbassare la testa.
Acciaio non è epico. Perché la lotta non c’è, ci è la rassegnazione. E’ un libro disperato, in cui tutti, nessuno escluso, sono avviati inconsapevolmente alla sconfitta. Scritto bene è scritto bene. Non è un cattivo libro, anzi. Lei è dell’84, giovanissima e già concorre per lo Strega (per ora in semifinale). Tanto di cappello anche se c’è qualche sbavatura: l’intreccio mostra qualche difetto qua e là, la trama a volte sembra un po’ troppo marcata e ci sono particolari che vengono lasciati sfumati, a volte giustamente altre no. E alla fine, riposto Acciaio insieme agli altri suoi simili nella libreria, rimangono un paio di domande che vorrei fare all’autrice: “c’era un peso che voleva togliersi dalle spalle?” e, se la risposta è affermativa, “ce l’ha fatta a togliersi questo peso di dosso?”.
maggio 5th, 2010 at 19:31
Lo condivido su Fb…
maggio 7th, 2010 at 11:41
Pare che a Piombino non hanno tanto gradito “Acciaio”…