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Savile Row - Speciale Pink Floyd (ep. 2)

Categoria: Assaggi, suoni, visioni e letture, Savile Row di Stefano Cardinali
Postato da: Torquemada

[Dopo i ricordi di Massimiliano Lanzidei, che al concerto c'è stato, ecco i ricordi di Stefano Cardinali, che invece al famoso e ambito concerto di Venezia non c'è stato. Solo molti anni dopo scoprirà che forse la fatica non valeva lo spettacolo. Rimane, comunque, il rapporto con i Pink Floyd, un gruppo che ha fatto la storia della musica e che ha accompagnato la storia o le storie di parecchi di noi.]

La realtà di Zaphod (ep. 1)

IL SOGNO DI BIG ONE.

Oggi Alice ha ventuno anni ed è bellissima. Non ricordo con precisione quando cade il suo compleanno, dovrebbe essere intorno al 10 di luglio, ma non ci scommetterei. Però sento ancora viva la preoccupazione provata quando, al lavoro, Alessandro mi disse che correva all’ospedale perché Antonietta stava partorendo con quasi due mesi d’anticipo. Beh, direte voi, è normale  stare in apprensione per una bimba nata settimina. Certo, rispondo  io, specialmente se questo farà saltare il tuo viaggio a Venezia.
Andiamo con ordine: i personaggi di questa storia sono Alice (la bimba settimina), Antonietta (la madre impaziente di partorire), Alessandro (padre di Alice, marito di Antonietta e mio collega d’ufficio).
(Vabbè, dice, adesso ti sei inventato questa storia della famiglia dove tutti i componenti hanno il nome di battesimo che inizia con la lettera A. Tutta qua la tua fantasia? A parte il fatto che questa è una storia vera e che Antonietta e Alessandro ciànno pure un maschio che si chiama Andrea, conosco anche una famiglia composta da Germana e Giacomo ai quali è nato Giulio e un’altra dove Matilde e Marco hanno due figli che si chiamano Mattia e Manuel. Sarà solo un vezzo ma ognuno chiama i figli come gli pare.)
Ma torniamo alla nostra storia e ai suoi personaggi tra i quali c’è Daniela (oggi mia moglie ma allora non eravamo sposati), c’è il sottoscritto e poi ci sono loro, i veri protagonisti di questa vicenda: i Pink Floyd!

Io i Pink Floyd li avevo visti l’anno prima a Roma allo stadio Flaminio (11 luglio 1988). Era il tour in cui presentavano A Momentary Lapse of Reason, disco della riunione dopo l’abbandono di Waters e in cui Richard Wright, tastierista, compariva solo come musicista esterno alla band.  Ad assistere a quel concerto venne pure Daniela. L’aveva fatto per me perché quello non è il genere di musica che le piace. Lei adora il jazz e la musica classica e se proprio deve uscire dalle sue abitudini puoi farle ascoltare Jobin, Toquino o Chico Buarque. I Pink Floyd proprio no. Però la convinsi a venire a Roma e feci male perché quel concerto non piacque neanche a me. Lo so, se chiedete in giro, chiunque abbia assistito a quella serata vi parlerà dello show più sorprendente della sua vita ma per me non fu così. Quello che ascoltai non fu mai all’altezza di ciò che vidi perché se dal punto di vista della costruzione dello spettacolo tutto fu perfetto - luci, colori, scenografia, oggetti volanti (ricordo un maiale, un letto), lo schermo rotondo sul quale venivano proiettate immagini in perfetta sincronia con i brani suonati - la parte musicale fu uno show senza anima, una esibizione senza emozione, con esecuzioni fredde da studio di registrazione. Fu come ascoltare una musicassetta durante un viaggio in autostrada. Una serata che non mi lasciò niente.
Però i Pink Floyd a Venezia che suonano su un palco galleggiante di fronte a Piazza San Marco non me li sarei mai persi. Poteva anche essere il più brutto concerto del gruppo però una scenografia naturale ed emozionante come quella della laguna dove l’avrebbero  più trovata?
Così quando si sparse la voce decisi che sarei andato e anche quella volta trovai la complicità di Daniela richiamata dal fascino di Venezia. Quale occasione migliore - le dissi - si parte mercoledì in macchina, giovedì e venerdì giriamo per le calle e facciamo i turisti, sabato sera facciamo i rockettari e domenica si torna a casa.
Fissai una camera in una pensioncina di Marcon, un paesino a meno di trenta chilometri dal capoluogo. La prenotazione, fatta molto tempo prima che la notizia del concerto diventasse di dominio pubblico, mi permise di spuntare un prezzo onesto.
E pensare che se quel concerto si fosse tenuto dieci anni prima io non lo avrei neanche preso in considerazione. Io i Pink Floyd li seguivo dal ‘71, da quando acquistai Atom Heart Mother, il mio primissimo album in vinile. In realtà il disco è del ‘70 ma c’ero arrivato con un po’ di ritardo. A quei tempi dovevo ancora compiere sedici anni e non avevo neanche l’impianto stereo. A casa c’era un vecchio giradischi bianco e rosso che si chiudeva come una valigia e quando lo aprivi aveva l’altoparlante inserito nel coperchio. Un solo altoparlante per un giradischi rigorosamente mono che se alzavi troppo il volume gracchiava come una cornacchia. Eppure ascoltai quel disco così tante volte da consumarlo. Lo imparai a memoria tanto da apprezzare gli arrangiamenti con i corni che introducono la facciata A, il nitrito dei cavalli, il motore di una moto che si allontana, l’esplosione, insomma tutte le novità esaltanti per uno che fino al giorno prima ascoltava Lisa dagli occhi blu (senza le trecce la stessa non sei più) e per il quale il massimo della trasgressione era Emozioni di Lucio Battisti perché guidava a fari spenti nella notte.
Dopo Atom Heart Mother venne Meddle altro disco del quale conoscevo pure quanti secondi passavano tra una traccia e l’altra, compagno di tanti pomeriggi di studio con Augusto, il mio compagno di banco.
Però dopo The Wall, uscito nel ‘79, io mi distaccai dal gruppo perché deluso da quel disco. Ma come - dirà qualcuno - uno dei capolavori tra le opere rock ti fa allontanare dai suoi creatori? Che ci volete fare. Ancora oggi mi scopro a perdere in obiettività quando una cosa viene acclamata da tutti. Sento puzza di banale e la boccio. Sbagliando quasi sempre.
Ecco perché se i Pink Floyd avessero organizzato il concerto di Venezia dieci anni prima io non sarei andato. (Dopo qualche anno rivedrò il mio giudizio su The Wall e acquisterò ogni  diversa versione uscita sul mercato.)
Nel 1983 mi reintegro nella vasta schiera dei fan grazie al  mio amico Claudio, compagno di squadra e coinquilino che mi obbliga ad ascoltare dalla mattina alla sera The Final Cut. E se quel disco riavvicina me sarà la causa (più precisamente fu l’ultimo pretesto) dello scioglimento del gruppo che avverrà ufficialmente nel 1985.

Ed eccoci finalmente al 1989 e alla festa del Redentore in occasione della quale i nostri decidono di esibirsi in mondovisione.
Tutto era pronto per la partenza. Con Alessandro ci eravamo organizzati per le ferie estive e per non lasciare l’ufficio scoperto io mi sarei preso quei tre giorni per il concerto, sarei andato un paio di settimane al mare ad agosto e poi lo avrei lasciato libero in attesa del parto di Antonietta previsto per i primi giorni di settembre.
Invece quel giorno squillò il telefono e Alessandro scappò in ospedale per assistere Antonietta durante il parto. Lui chiuse la porta e il mio viaggio si smaterializzò con grande piacere del proprietario della pensione di Marcon il quale, oltre a trattenere la mia caparra, si ritrovò con una matrimoniale libera da affittare al doppio del prezzo a pochi giorni dal concerto.
Per fortuna la nascita prematura non causò conseguenze alla bambina né alla madre e dopo tutte le cure del caso Alice crebbe sana e, come dicevo all’inizio, oggi ha ventuno anni. Io, invece, costretto a coprire il turno al lavoro, seguii il concerto in tivù.

Dopo tanti anni, molti particolari di quella serata sono sfumati via però la rabbia ogni volta che i cameramen inquadravano la laguna col palco galleggiante sullo sfondo, quella è ancora viva.
“A quest’ora potevamo essere lì”. Dicevo ogni dieci minuti a Daniela la quale, stoica, mi fece compagnia durante tutta la trasmissione, anche se mi accorsi che ogni tanto sonnecchiava. Di quella serata mi rimangono anche tutti i ricordi fissati dalle innumerevoli volte che  ho raccontato la mia delusione per la mancata partecipazione. Restano il colpo d’occhio sulla marea di persone accalcate in piazza San Marco, alcuni brevi flashback di immagini: Mason totalmente coperto dall’architettura della sua batteria, Gilmour statico al centro del palco e Wright defilato in un lato della scena, anche quella volta musicista di supporto, oggetto estraneo alle vicende degli altri due. Ci sono le barche che galleggiano tra la piazza e il palco e il sogno di poter stare li, dondolato dalla laguna e dalla  musica. Ed infine, scolpite ed indelebili, rimangono le tre vocalist e i loro assolo in The Great Gig In The Sky, uno dei brani più belli mai composti, nato dal genio di Wright per la colonna sonora di Zabriskie Point ma che Antonioni non ritenne adatto al film. Prima di essere inserito in The Dark Side of the Moon il pezzo fu arricchito dalla splendida voce di Clare Torry che - si dice - improvvisò sulle note eseguite al piano. A questo punto bisognerebbe aprire un capitolo a parte per attribuire alla cantante inglese i giusti meriti. Mi limiterò a ricordare che in parte qualcosa le fu assegnato dall’Alta Corte di Giustizia della Gran Bretagna che nel 2005, almeno dal punto di vista legale, le riconobbe la creatività artistica apportata alla canzone e le permise di aggiungere il suo nome a quello di Wright come coautrice del brano.
Il 19 luglio 1989 le note improvvisate sedici anni prima nello studio di Abbey Road  aleggiarono sulla laguna veneziana e io mi chiesi se anche lui, Il Grande Carro Nel Cielo, fosse presente per assistere dall’alto al suo tributo.  Non resta altro se non il rimpianto per non aver mai potuto dire: “I Pink Floyd a Venezia? Certo che me li ricordo ero lì!”

Oggi Alice ha ventuno anni, è bellissima e sta per diventare madre. Alice è la ragazza di mio figlio Gabriele, nato il 15 luglio del 1990, esattamente un anno dopo il concerto di Venezia.
Anche se da qualche anno non lavoriamo più nello stesso ufficio con Alessandro non abbiamo mai smesso di frequentarci. I nostri figli, prima cresciuti insieme grazie a noi, dopo qualche anno in cui si erano persi di vista, hanno ricominciato a vedersi fino a scoprirsi  innamorati. Alcuni mesi fa ci hanno convocato. Volevano parlarci. Abbiamo pensato che volessero confessarci il loro amore (ufficialmente ignoravamo la cosa) e  invece ci hanno detto della gravidanza. Avevano già deciso tutto: volevano il bambino ma ognuno avrebbe continuato a vivere in casa propria e fino alla laurea e a un lavoro sicuro non si sarebbe parlato di matrimonio. Pensate che siano troppo giovani? Beh, sapete anche voi come vanno certe cose. A noi non restava che prendere atto delle loro decisioni e assecondarli.

Alice dovrebbe partorire durante la prima settimana di settembre e in famiglia, Daniela ed io, siamo pronti a scattare per accompagnare Gabriele ad assistere al parto. Lui non guida, non ha la patente perché dice che non si sente ancora pronto. Padre si e pilota no. Vabbè, noi restiamo a disposizione anche perché, diventando nonni per la prima volta, siamo emozionati quanto lui e saremo presenti ad ogni costo.

Roberto, il mio giovane e cinefilo collega d’ufficio, ha già prenotato  una pensione per la mostra del Cinema a Venezia in svolgimento dal 1 all’11 settembre 2010.
Sono sicuro di conoscere l’epilogo di questa storia  ma per il momento non ho nessuna intenzione di svelargli la sorpresa finale.

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