La guardai andare via dalla stazione, in silenzio. Un silenzio complice e bastardo. Avrei potuto dirle"aspetta, fuori piove". Oppure "ma perché piangi? ora sono qua io". Avrei, ma non l'ho fatto. Forse perché non mi conosce ancora. Forse perché non si è mai accorta che da più di due anni la seguo tutti i giorni, comprese le domeniche. Al mattino quando, sempre in ritardo, accompagna Luca a scuola. Lo saluta con un bacio sulla guancia, sempre la stessa. Lo segue con lo sguardo fin dentro al portone di legno. E con la mente anche oltre. Piange solo allora, lontana dagli occhi del figlio. Le testa appoggiata sul volante, qualche secondo. E poi via, innesta la prima, che gratta un po'. Bisognerà farla controllare da un meccanico prima o poi. Ma oggi no, oggi non ha tempo.
Come ieri, come domani.
Oggi deve andare alla stazione ad aspettare il ritorno del suo uomo.
Come ieri, come domani.
Deve tornare dalla guerra Walter, "dalla guerra fatta in nome della pace", le hanno detto. Oggi è sicura che tornerà. Scenderà da quel treno, con la divisa in ordine, come sempre. La camicia inamidata, il luccichio delle "campagne" sul petto. La pace si fa in giacca e cravatta, ...