Forse un altro treno - Federica De Angelis
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Postato da: zaphod
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- Forse un altro treno - Federica De Angelis
Tic- Tic – Tic. Il suono dei tacchi si fa sempre più lontano e si perde nello scroscio della pioggia fino a che Enrico non è più capace di distinguere l’uno dall’altro. La gonna di jeans di sua moglie, altezza ginocchio, la scollatura a barchetta della maglia celeste e la scarpa decoltè nera, la rendevano una donna senza tempo. La vedeva oggi con gli occhi di 15 anni prima e non riusciva a decidersi se gli piaceva ancora quel suo aspetto “pulito” che tanto l’aveva affascinato da ragazzo. Oggi quella freschezza sembrava essere appassita sotto il peso di pomeriggi in parrocchia, di domeniche passate a prendere il gelato in centro con la famiglia, di interminabili riunioni con la amica rappresentante della Avon di turno. A pensarci bene, solo il rosso vermiglio dei gerani appesi fuori al suo balcone, rappresentava l’unica nota di azzardo in quella vita così tranquilla e prevedibile.
-Non tranquilla e prevedibile Enrico: S-I-C-U-R-A-!- aveva tuonato perentoria la voce di sua madre mentre scandiva la parola “sicura”, non lasciando adito a fraintendimenti circa la scaletta di priorità che ogni uomo perbene avrebbe dovuto abbracciare in risposta ai suoi dubbi in merito ad un passo delicato come il matrimonio.
Il padre invece, dalla poltrona affianco, aveva sollevato per un attimo gli occhi dal libro di Asimov, giusto il tempo di lanciare un’occhiata al figlio, per poi tornare ad immergersi fino a sparire nella apnea colpevole della sua lettura sotto lo sguardo severo della moglie.
Enrico aveva sentito in quello sguardo del padre, che lo avrebbe accompagnato tutta la vita, comprensione e incitamento alla fuga. Gli si ripresentava alla mente, confortevole e premuroso ogni volta che il treno accumulava un ritardo spropositato ed arrivato in stazione gli sarebbe toccato aspettare almeno mezz’ora prima del prossimo autobus, quando arrivava il Natale di cene interminabili con centinaia di parenti, quando era ostaggio delle riunioni della Avon e latitante fuggitivo nei sabato pomeriggio di volontariato all’oratorio. Ah se solo non avesse dato ascolto a quello sguardo ma a sua madre, e avesse accettato il posto da ragioniere presso il piccolo Comune dove abitava… ma No, Lui No, Lui non voleva vivere una vita di inutili scartoffie, di caffè e giornali rubati alla Pubblica Amministrazione, Lui era destinato alla gloria, la sua vita era la ricerca, aveva una missione da compiere, avrebbe scoperto qualcosa che avrebbe lasciato in eredità al mondo e per questo il mondo gli sarebbe stato per sempre grato e avrebbe celebrato il suo nome. Questo era il prezzo da pagare per la libertà.
Niente erano al confronto le notti di straordinari passati a fare calcoli sempre troppo approssimati, di contratti a progetto mal retribuiti, pasti frugali condivisi con i colleghi del momento, file interminabili in attesa del traghetto sotto il cielo implacabile di agosto nella speranza spasmodica di un viaggio senza ritorno e cieli stellati di stelle sempre troppo lontane e incalcolabili.
Il fischio stridente dei freni consumati e l’arresto violento del treno lo sorprendono mentre una lacrima sta per tracimare dai suoi occhi umidi.
-Un attimo, un attimo- non c’è bisogno di spingere!- si lamenta sopraffatto mentre una folla di pendolari irritata e maleodorante lo spinge giù dal treno e giù dall’altare di gloria delle sue fantasie che hanno reso anche oggi l’odissea della sua vita un po’ più sopportabile.