Un passo, e poi bagnarsi - Faust Cornelius Mob
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Postato da: zaphod
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Dall’androne della chiesa, il frastuono del temporale mi arriva tanto ovattato da assomigliare al rumore bianco di una televisione mal sintonizzata. Anche il vento, che fa oscillare la pioggia battente al punto da farle disegnare sul terreno onde dal profilo irregolare, riesce a lambirmi solo di tanto in tanto.
Sono un pezzetto di ferro, e il portone è una calamita. Appoggiato ad esso con tutta la parte posteriore del corpo, esercito una forza costante per provare a staccare la nuca, ma il collo mi obbedisce solo per pochi centimetri riportando poi la testa nella posizione iniziale con un “toc” che percepisco più attraverso la pelle che con le orecchie.
Il legno sotto i palmi è diventato caldo, attraverso il velo umidiccio di sudore che li ricopre mi sento connesso all’edificio, ne divengo parte. Sono grande, grandissimo e tutto di pietra, e gli spruzzi sparuti che si fermano a pochi centimetri da me non mi toccheranno mai.
Faccio schioccare labbra per strapparmi dal fantasticare e, con i sensi, cerco un perno per far leva sulla mia indecisione. Lo scrosciare. Va e viene a intervalli regolari. Shhh. Shhh. Shhh. All’intervallo che mi convinco essere quello giusto sposto il peso in avanti, sollevo ginocchio destro, stacco il tallone da terra, e il vento gira dalla mia parte per un attimo.
La frustata gelata mi fa scattare all’indietro con la faccia contratta e voltata di lato, schiacciata contro una spalla, e lo sterno incassato nei pettorali.
A denti stretti, mi lascio sfuggire un lungo suono gutturale e raschiato, mentre con le mani batto ritmicamente sul portone.
Torno sullo scrosciare. Shhhh. Shhh. Shhhhhhh.
Il suono si fa unico e prolungato.
Con i pugni mi do’ una spinta e slancio la gamba sinistra in una gran falcata.
Il muro di gocce resiste come le spazzole di un autolavaggio al mio passaggio, reso sbilenco dall’aria che mi schiaffeggia facendomi beccheggiare e dall’acqua che mi si butta addosso premendomi sulla testa e tirandomi verso il basso le falde del cappotto.
Il contorno del mio viso è ora disegnato dai ruscelli che si raccolgono nella foce del mio mento.
Mi lascio impregnare fino alle ossa, e cammino.
agosto 10th, 2009 at 20:28
originale e bene scritta…
red
settembre 9th, 2009 at 12:59
Molto bello. Veramente particolare; un susseguirsi di sensazioni.