Il Simulatore (nascita di un supereroe) - Massimiliano Lanzidei
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Postato da: zaphod
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- Il Simulatore (nascita di un supereroe) - Massimiliano Lanzidei
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Mario scese dall’autobus perfettamente consapevole della sua immagine. Una signora un po’ in carne con gonna di jeans e camicetta bianca. A dare un ulteriore tocco di realismo aveva aggiunto un ombrello e un’espressione preoccupata per l’imminente pioggia. Aveva passato l’ultima settimana a prepararsi. Aveva studiato il personaggio in ogni particolare,
Si era accorto tardi di questo dono che aveva. Per un periodo si era divertito a recitare e riusciva a calarsi facilmente in tutte le parti che gli erano toccate. Poi aveva scoperto che non aveva bisogno di trucco e costumi.
Era stato un trauma. Era arrivato in ritardo a una prova. “Cambiati che iniziamo subito,” gli aveva detto il regista guardando l’orologio. Gli altri avevano iniziato a prendere posto mentre lui si era seduto in camerino tentando di farsi passare il fiatone. Poi aveva cercato il costume di scena. Impersonava Francis Scott Fitzgerald in quella commedia. I pantaloni alla zuava, il gilet e la coppola che gli aveva affibbiato la costumista lo facevano sorridere ogni volta che li indossava. Solo che adesso il costume non c’era. Ripassò tutta la giornata all’indietro e vide chiaramente il borsone appoggiato sotto la sua scrivania. Dove, ovviamente, l’aveva dimenticato. “Al diavolo,” si era detto, “non è una prova costume, la faccio così.” Ed era entrato in scena. Quando era uscito dalla quinta non stava recitando, era Francis Scott Fitzgerald.
Quando alla fine della prova gli altri attori gli avevano fatto i complimenti, non solo per l’interpretazione, ma anche per il costume, pensava lo stessero prendendo in giro. Così abbozzò un sorriso e si preparò a giustificarsi. “Quel foulard che hai trovato, poi,” lo aveva preceduto la costumista, “è divino, ma dove lo hai trovato?” E anche le altre ragazze annuivano.
Mario aveva mantenuto il suo autocontrollo - aveva pensato di aggiungere un foulard al costume, ma non se lo era ancora procurato, e non ne aveva mai parlato - e aveva cominciato a pensarci su.
Aveva fatto delle prove. Non c’era dubbio. Riusciva a proiettare negli altri la sua immagine modificata ad arte. Non sapeva da cosa dipendesse. Aveva anche pensato che sua madre fosse stata esposta a delle radiazioni quella volta che - durante una manifestazione - aveva occupato la centrale nucleare di Borgo Sabotino proprio mentre era incinta di lui.
Scese dall’autobus. Gli avventori del bar in cui entrò videro una signora avvicinarsi al bancone e chiedere un caffè. Anche Manu Mezzanotte - seduto su uno sgabello - vide la signora. E - come tutti - la vide anche girarsi verso di lui e dirgli: “quello che lei fa non è bello, signore.” Manu Mezzanotte - che era abituato a persone che abbassavano lo sguardo quando lo incontravano per paura che gli saltasse la mosca al naso - si riebbe dalla sorpresa e apostrofò la donna con un “fatti i cazzi tuoi” che non ammetteva repliche.
Tutti i clienti del bar videro la signora inchinarsi verso di lui e sussurrargli “deve stare molto attento, signore.” Manu Mezzanotte vide invece il volto della signora trasformarsi nella testa della Gorgone, gli occhi iniettati di sangue, i capelli tramutati in teste di serpenti sibilanti e le mani in artigli pronti ad abbrancargli gli occhi. L’urlo di terrore coprì il ruggito del mostro impersonato da Mario mentre Manu Mezzanotte cadeva all’indietro dallo sgabello.
Singhiozzava ancora “no, no, non toccarmi” mentre la signora in gonna di jeans usciva dal bar.
Pioveva. Aprì l’ombrello e andò a prendere l’autobus.
settembre 9th, 2009 at 12:50
Bel racconto. Ben scritto e ben costruito.