In azienda siamo pieni di animali. I proprietari sono fissati. Cani, gatti, canarini, ma anche tartarughe, criceti e pappagalli. Di pappagalli un’infinità, di tutti i generi. Non esiste ufficio o reparto in cui tu possa stare per più di dieci minuti senza sentire uno stridio o un richiamo.
Una volta è fuggita un’ara, il tizio che gli dava da mangiare ha lasciato la porta della gabbia aperta un secondo di troppo e quella, via. Ha colto l’occasione e se ne è scappata.
Un’ira di Dio.
S’è scatenata la caccia. Un’ara non è un pappagallino che compri al mercato. E’ nobile, maestoso, dalla gabbia ti guarda con la fierezza di un re in esilio. Quel giorno s’è fermata pure la produzione. Stavamo tutti in giro a cercare il pappagallo fuggiasco. Nei giardini intorno allo stabilimento, sopra i tetti dei capannoni, sugli alberi dei parcheggi.
Niente.
Quando ha fatto buio, abbiamo interrotto le ricerche. Gli addetti alla cura degli animali hanno lasciato la gabbia aperta, piena di ogni ben di dio. Frutta secca, macedonia, mangime specialistico. Gli uccelli delle altre gabbie guardavano con invidia.
Confidavamo di tornare al lavoro il mattino dopo, e trovare l’uccello rincasato durante la notte.
Manco per niente.
La mattina appresso la gabbia era come l’avevamo ...