[«Sembra impossibile che, a Milano, esistano ancora luoghi come questo, trascurati dal commercio e assediati da uffici, ribalte di corrieri, carrozzerie industriali, trafilerie, depositi, un solo benzinaio nel cui piazzale campeggia, come un reperto archeologico, la pompa della miscela. Non un negozio, un supermercato, una gelateria, una ricevitoria del lotto, nulla, solo la  trattoria della Rosa, lì da sempre con la sua vecchia insegna in metallo e legno, raramente ridipinta negli anni. TRATTORIA ROSELLINI si legge nero su giallo in caratteri desueti e sotto, in piccolo, aggiunto a mano con la pennellessa del trenta, BAR e BOCCE.» - Marco Berrettini]

TRATTORIA ROSELLINI
Primo episodio.

Mezzogiorno.
Come d’incanto, tra le tovaglie a quadretti, i cestini del pane e gli aromi di sughi e fritture la vita prende corpo.
Spesse tende verde bottiglia, raccolte a mezza altezza con uno spago grezzo, proteggono i vetri della porta di legno che, aprendosi, aziona la campanella meccanica.
In lontananza echeggia il dodicesimo rintocco, sul bancone due bicchieri in vetro spesso attendono Mario e Donato.
- Pinuccio. Pinuccio ci sei?-
Dalla cucina si sente una voce ripetere il richiamo, ma con tono molto meno gentile.
- Pinuccio, disgrasià! ‘ndue te set? Va che ghè el Mario cal te ciàma.-
- Fa niente, fa niente, volevo solo un cubetto di ghiaccio nel Campari, che la se preocupa no sciura Rosa.-
Donato si porta al di là del bancone e serve l’amico poi, insieme, vanno nell’altra sala e si siedono al loro solito tavolo.
Lo scampanellio si ripete rapidamente e dopo cinque minuti quasi tutti i clienti si sono accomodati, Pinuccio è ricomparso e comincia a servire la pasta al forno, una porzione abbondante per me che ho bisogno di forze per continuare la giornata, un po’ più scarsa per Camillo, seduto alla mia destra.
Qualche mese fa aveva chiesto un piatto di spaghetti sconditi, ma la Rosa si era rifiutata.
- Te set malà? No? Alura ghe né minga.-
Fu inutile spiegare che glielo aveva imposto il dietista da cui sua moglie lo aveva costretto ad andare; pasta bollita con solo un filo d’olio crudo, frutta al mattino, yogurt la sera, due mele, cento grammi di questo, cinquanta di quello.
- Tutte sciocchezze le diete, ma siamo matti? Uno si strugge, soffre, sta a stecchetto, perde qualche chilo, e poi? Poi è contento, si rilassa, si gratifica, trasgredisce e sbam: a lè lì pusè sgionf de prima. No, no, per arrivare a stare bene non si può percorrere una strada di dolore, lasciagliela ai preti questa storiella qui, ma a mì cuntamela minga su! Va là.-
Rosa si era asciugata le mani nel grembiule bianco, aveva preso una fondina pulita e dimezzato il piatto di carbonara di Camillo.
- A casa tua comanda tua moglie, ma qui, caro mio, ti mangi quello che cucino io, porzioni un po’ più piccole, ma il gusto, il piacere, lo sfizio non te lo devi togliere. Non ti alzerai da tavola satollo come prima, ma non sognerai di svaligiare il frigorifero di notte e vedrai che tra qualche anno sarai tornato in forma.-
La Rosa ha ragione, non ha senso perdere tanti chili velocemente, uno ci mette anni ad ingrassare, è logico che impieghi quasi lo stesso tempo anche a tornare indietro. Altro che dieta del fagiolo, della banana, del minestrone, come se io per andare dal deposito alla GlasSer, a Trezzano, ci metto due ore, scarico e in dieci minuti, hop, torno alla base. Non sono mica Mandrake, certo il camion è vuoto, andrò un po’ più veloce, ma che, per caso mi teletrasporto?
Pulisco il piatto con il pane, alzo gli occhi, Camillo scuote la testa.
- La scarpetta no, il pane lo tengo per dopo.-
- Bravo Smilzo.-
Una confezione di grissini mi sfiora l’orecchio destro, ridiamo. Al tavolo degli amici oggi ci siamo solo noi e i fratelli Sanzo, due trasportatori di Spilinga che fanno la linea tra la Calabria e Milano, Saran tre anni che li vediamo un paio di volte al mese.
- Non fare incazzare il Camillo, Bortolo, se no niente ‘nduja capito?-
Nicola, il maggiore, estrae dalla sacca appesa alla sedia un cartoccio bianco e lo sventola nell’aria.
- Mamma mia Nicò, ti sei ricordato? Cosa ti devo? -
- Megghju n’amicu ca centu ducati. -
E così dicendo mi lancia il pacchetto, lo afferro al volo, lo scarto appena per constatare il prodotto, un effluvio celestiale mi conferma la sostanza. Un chilo di insaccato serio, ben lavorato, affumicato e stagionato, non come quelli che trovi nei supermercati che nemmeno lo sanno di dover passare dal fumo.
Faccio scarpetta anche nel piatto dell’arrosto. Caffè corretto, un ultimo bicchiere d’acqua frizzante e poi esco in cortile a fumare. Un quarto all’una, comincia la seconda ondata, quasi tutti impiegati. Pinuccio si asciuga la fronte e bestemmia, Rosa lo invoca a gran voce dalla cucina, per fortuna le due aiutanti sfrecciano sicure e sorridenti e tutto procede come ogni giorno.
Spengo la cicca nella ghiaia, tiro una manata a Pinuccio e rientro.
- Lascio i soldi sul tavolo, anche due amari per i frati. Arrivederci sciura Rosa.-
Ernesto, seduto su un vecchio sgabello in ferro, con un cappello bianco da ufficiale di marina, mi accoglie nel piazzale portandosi la mano alla visiera.
- Ne hai ancora di dentifricio zio? Sì? Tò allora, prova questo profumo, uscirà per Natale, è un’anteprima. Vedrai come si girano le ragazze.-
Ingrano la seconda e vado a lavorare.