Vita e Opere di Sebastiano Perduto (ep. 3)
Categoria: Assaggi, suoni, visioni e letture, Novella a puntate
Postato da: Torquemada
[Ancora un'altra puntata della novella 'Vita e Opere di Sebastiano Perduto'. L'avvocato questa volta è alle prese con il giardinaggio e con la cura delle piante. Dimenticatevi qualsiasi nozione di Ikebana, d'altronde non ci si poteva aspettare qualcosa di diverso da Perduto, il legale più cinico che ci sia.]
Vita e opere di Sebastiano Perduto (ep. 1)
Vita e opere di Sebastiano Perduto (ep. 2)
VITA E OPERE DI SEBASTIANO PERDUTO (EP. 3)
Il terrazzo è una delizia per gli occhi, ci sono tanti fiori colorati, lì un limone, sì un bel limone con il suo limone appeso, giallo e ciccio, e la rampicante che fa un sacco di profumo, ma è pure invasiva e dà casa a sciami di api che svolazzano e mi spaventano. Io la faccio fuori. A me piacciano le piante, ma che siano vegetali e non rompano. Le piante grasse mi vanno, neanche l’acqua chiedono. Occupano il loro spazio e devi semplicemente girargli a largo, ma è giusto.
“Mi casa es tu casa” dico al cactus, che però resta freddo. Lo amo questo diavolaccio d’un cactus. La rampicante e tutte quelle maledette api all’inferno, anzi chiamo subito il vivaio. Gli regalo tutta la rampicante in cambio di un altro cactus, così si fanno compagnia.
«Vivai Sempreverde? Buongiorno, sono l’avvocato Sebastiano Perduto, vorrei chiedere una cortesia. Ho qui nel mio terrazzo una piante bellissima, rampicante, molto profumata … non so proprio come si chiama, sa, di queste cose si occupava mia moglie … come? sì ha tanti fiorellini bianchi … sì sì un sacco, è pieno … dice che gradiscono l’odore, sì ma danno anche fastidio … ah, è un gelsomino, allora vorrei cambiarlo con un cactus, sa, è più semplice come pianta, non ha pretese, ecco soprattutto non pretende … sì lo so, ma un po’ d’acqua non si nega a nessuno, rispecchia il mio carattere, il cactus. Vive e lascia vivere… sì dunque, vorrei che veniste anche oggi … ah, non è possibile? ma è bellissima … ah, morirebbe appena espiantata … e io come me ne libero?… ah, fate l’intervento ma non il cambio. E quanto volete per l’intervento? … ah, non meno di ottanta euri. Accidenti costa più ammazzarle che comprarle … ah, le dovete pure smaltire … No no niente cactus, ce n’ho già uno, pure misantropo, se così si può dire. Come non detto, l’ammazzo io a Gelsomino … certo, vedrò che non soffra. Arrivederci.»
La voglio torturare.
In che mondo siamo! la gente si preoccupa per una pianta e non pensa a chi sta morendo di fame. Pare sia il benessere a produrre qualunquismo. Una società opulenta alza il livello di attenzione dei bisogni del gruppo sociale che sviluppa. Aumenta il bisogno di tutela dei soggetti deboli, delle minoranze, financo delle coccinelle. Una società opulenta è in grado di generare un comitato a difesa degli orti di verza abbandonati. Una società opulenta santifica tutto ciò che le appartiene, ogni cosa viene elevata dal rango suo naturale e stimata degna di rispetto. Relativismo. Una pera siciliana non vale una pera somala.
Come si tortura una pianta? forse staccandogli i fiori e le foglie. Una alla volta. Ci faccio tante piccole incisione sul tronco. Forse semplicemente la lascio a secco. Niente più acqua, morte lenta, per inedia. Questa però è capace di catturare l’acqua dall’umidità dell’aria. Sono terribile le piante. A quanto mi consta sono gli unici organismi viventi che non conoscono l’estinzione. Ci sono piante che sopravvivono anni nel greto dei fiumi in secca. Aspettano. Aspettano. Aspettano anche una goccia. Gli basta una goccia e ricicciano tutte ganze e baldanzose. Diavolacci di piante. Per loro il tempo fa un giro diverso. Sono immortali. Ci sono ulivi che hanno cinquecento anni e alberoni che ne hanno anche mille. Ci sono alberi nati con l’inquisizione. Beh anche questa dura da un bel po’. Ah ah ah, questa sarebbe piaciuta all’amore mio. L’avrebbe apprezzata, sì, perché dica quel che vuole ma la facevo ridere, altroché, si divertiva con me. Devo farla ragionare. E che si fa così? uno se ne va quando gli pare, ti porta via la figlia amata e si ripresenta con questa letteraccia minacciosa e estorsiva. Mi vuole mettere paura. E io sto al gioco. Fingo lo spavento, perché bisogna dare delle soddisfazioni. Riconoscere, ecco, e io sono il campione amore mio, ti riconosco tutto quello che vuoi ma lasciami a casa mia, non ti prendere il sudore della mia fronte.
L’unica è tagliare. Colpo netto e via. Non soffrirà molto ma forse un po’. E del resto, forse, queste piantacce che vivono dei tempi lunghi, coltivando la virtù della pazienza, forse sono impressionate da una morte repentina. Non è nella loro natura e quindi per loro è contro natura. Soffrirà come un’ortensia a sapere che verrà recisa di netto da un colpo di machete.
La fisso, ma lei non sembra aver compreso. Sarà tutt’uno capire, avvertire il dolore per il taglio, e morire.
L’accetta fende l’aria e la manco. Da non crederci, non l’ho presa. Che culo! non gli servirà a molto ma gli va riconosciuta una gran fortuna.
Appoggio la lama sul tronco, calibro robustezza peso e distanza e meno un gran colpo. La lama fende di nuovo l’aria e colpisce.
La pianta è scossa dallo scossone. Il tronco è appena scalfito. Cadono tanti fiorellini bianchi come al mio matrimonio ma non ho il tempo di avvilirmi perché lo sciame se l’è presa a male. Non sto là a discutere con inutili insetti e riparo dentro casa.
«NON FINISCE QUI» urlo contro il vetro. Il conto si allunga e mi sento improvvisamente assediato.
giugno 30th, 2010 at 11:16
Fantastica
giugno 30th, 2010 at 15:52
grazie mamma
luglio 7th, 2010 at 10:07
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