Il gardè – Giada Giordano
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Postato da: zaphod
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Io sono il Gardé e voi siete i pedoni. Vi osservo scandendo il tempo grazie al ticchettio di una lancetta nera e la mia lente è un quadrante d’orologio che sta per risucchiarvi dentro tutti quanti …
Sei solo una pedina che qualcuno sta muovendo su questa scacchiera mentre il tempo scorre inesorabilmente scandito da un Gardé di legno. È la tua vita quella che osservi in estemporanea da spettatore esterno e tu, amico, sei la pedina che tra poco quell’altro mangerà. Osservi quell’alfiere nero che può condurti via per sempre e in definitiva lo accetti con malcelata rassegnazione. Oltre le tue spalle, lo sguardo vigile e attento dei tuoi devoti amici, compagni d’avventura in questo scialbo percorso che si gioca in semplici partite a scacchi, dove la vita sbeffeggia la morte mentre i due rivali si contendono la vittoria ignari di un più largo dualismo su larga scala. Tu lo hai capito, si, e silenziosamente, mestamente, attendi il rintocco finale…Oggi tocca a lui, domani chissà ad un altro, e il tempo sacrilego, reo di sottrarvi vigore e riflessi, vi concede a sorsi gli ultimi istanti di vita vissuta, come funamboli su una corda in procinto di cadere sempre e di non mollare mai. Anche il tizio con la coppoletta e i suoi vicini accerchiano questo momento, lo incorniciano, lo rispettano, a visi bassi e con le mani in saccoccia, come se riuscissero a percepire che quella semplice partita a scacchi in realtà sia la trasposizione di una più grande partita giocata a cielo aperto, sotto lo sguardo vigile del mondo intero e, per chi crede, di qualcun altro. Ancora una mossa…ancora…Michajlovic non sembra preoccuparsi per sé, appare con un’espressione tranquilla, quasi rilassata, attende a braccia conserte che sia l’altro a fare la prima mossa, Christopher prende tempo e risponde con lo sguardo basso sul tavolo da gioco, meditando una possibile soluzione in contrattacco a chi gli ha divorato così tanti pedoni e non omettendo di raccontare, dall’espressione triste dei suoi occhi, il brutto presentimento che gli balena in mente. È quasi finita. Tra non molto quella partita avrà un vincitore e un perdente e questo farà la gioia del ragazzo sullo sfondo con la maglietta bianca, impaziente di dare prova di sé. Io sono lì ad immortalare questo momento, a fissare le loro espressioni, i loro visi, la tristezza che li assale in un obiettivo, a farlo ora che la partita non è ancora finita, che la speranza tramonta dai loro occhi chini, perché quando a morire è la speranza una semplice foto perde anche di colore e diventa una macchia, un contorno, un guizzo di chiaroscuro. Ma tu, amico, sei sempre lì, con il capo chino e una smorfia scavata dagli anni e dalla sofferenza di questo momento tragico e al contempo solenne. È la vostra vita e avete un pezzo di legno con dischi orari e lancette che ticchettano sul quadrante a scandirla. Avete freddo ma non ha importanza: il freddo è qualcosa di estemporaneo che non potrebbe comunque mai turbarvi quanto il freddo di un’anima, e il gelo che vi pietrifica è la morte, la morte di tutti i pedoni, e la fine di una grande partita. Io sono il Gardé e voi siete i pedoni. Vi osservo scandendo il tempo grazie all’obiettivo di una macchina fotografica e la mia lente è un quadrante d’orologio che sta per risucchiarvi dentro tutti quanti, concedendovi il respiro di un attimo, uno scatto, in una frazione di secondo, d’eternità.