Uno strano uomo - Donatella Franceschi
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Postato da: zaphod
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L’uomo era di strano aspetto.
Guardingo e affamato, denti bianchissimi e affilati, lunghe le braccia come tentacoli.
Entrava in casa a qualsiasi ora senza dare spiegazioni.
Non salutava, neanche un accenno d’intesa, o un grugnito di assenso.
O passava puntualmente giorno dopo giorno o per mesi e mesi spariva nel nulla.
Imprevedibile; lui
Imperscrutabile; il suo agire.
Io ero solo un bambino a quel tempo e di me, del resto, quell’uomo non si curava affatto.
Il suo solo scopo era la grande stanza bianca al pianterreno: una stanza soffocante e umida tacitamente preposta ad accogliere quegli strani incontri.
Un tavolo e due sedie nell’angolo più remoto sotto una finestra sempre chiusa.
Silenziosamente si accomodava su una delle due sedie traballanti e, con una lentezza tale che mi affamava, si disponeva a schierare i suoi soldati su quel campo di battaglia fatto di quadrati ben disposti.
Si preparava alla guerra con metodo e, sotto quell’apparente sonnolenza, presentivo sempre uno strano anelito sotterraneo e feroce al massacro.
Mi appiccicava addosso la paura quell’uomo.
Era bizzarro.
Spettrale.
Demoniaco.
Senza una mano.
Mi faceva ribrezzo a guardarlo.
Ma al tempo stesso non potevo staccargli gli occhi di dosso.
Quelle strane visite, sempre ad ore improbabili, improponibili e impensabili per qualsiasi altra persona, agli occhi del nonno apparivano invece più che normali e per questo io non facevo domande.
D’altronde era divertente osservare come il vecchio, in presenza di quell’altro, divenisse di colpo quasi muto e serio, come se in quella griglia quadrata entrambi avessero realmente un reciproco potere di vita e di morte.
Entrambi amavano crogiolarsi per ore e ore in quell’atmosfera rarefatta; lenti i pensieri, lente le mosse, e lento il volteggiare del fumo sopra le loro teste chine.
Sinceramente non sapevo chi vincesse o perdesse in quelle strane battaglie.
E poco m’importava saperlo.
Loro non parlavano.
Non tradivano alcuna emozione.
Io non facevo domande e mi limitavo a scrutare con occhio curioso e la bocca serrata quella silenziosa disputa.
Ma ben presto la noia ebbe il sopravvento e alla noia si accompagno l’indifferenza e all’indifferenza si unì la cecità.
Sia la stanza sia quell’uomo vennero cancellati dalla mia vita come se non fossero mai esistiti.
Un giorno però, era passato molto tempo dacché avevo perso quel ricordo, mi accorsi nuovamente dell’esistenza di quella stanza al pianterreno e di colpo mi balenò davanti agli occhi l’immagine spettrale di quell’uomo oramai sepolto da troppo tempo.
Sembrava chiamarmi.
Allora tentai di entrare ma la porta era ben chiusa.
Perché?
Di ciò chiesi subito conto al vecchio e domandai pure di quello strano uomo.
Lui rispose, come sorpreso, che la porta era stata chiusa più di due anni prima; quella stanza era troppo grande, umida, scomoda e assolutamente superflua in quella casa
Silenzio.
E quell’uomo? Insistetti, preso da un’irrazionale interesse.
Quell’uomo? Quale uomo?
Fu l’unica risposta che ottenni.
Una domanda a una domanda; un vicolo cieco.
Un voler tranciare di netto.
Non avrei chiesto altro perché lui non avrebbe parlato.
Lasciai quindi cadere nel vuoto la questione e tacitai la mia curiosità.
Blanda curiosità.
Era solo un uomo, dopotutto, uno strano uomo.