La sfida - Edoardo Micati
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Postato da: zaphod
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Nel 1537, da una potente flotta ottomana, al cui comando c’era Kahir el din, sbarcò un grosso contingente per conquistare Castro e la costa ugentina. Ad Otranto, ben ricordando l’eccidio del 1480, s’assoldarono le truppe mercenarie del colonnello Abenante, composte da circa ottocento calabresi. Al nobile barone Carlone Pattinaro e al suo luogotenente Giacomo Di Bona di Cutro, fra i più coraggiosi e fidati capitani d’Abenante, assegnarono, per i servigi resi, un feudo fra Casarano e Gallipoli, composto da zone di fiorente terreno e dalla serra, detta Di Scarfa. Denominarono di Scarfagnano il castello, attorno al quale sorse il villaggio abitato dai contadini e da circa la metà dei soldati di ventura calabresi, col codazzo di donne e figli, com’era consuetudine a quei tempi.
1575. Giovanni Di Bona, detto il Puttino, di Cutro in Calabria, fu incoronato alla Corte del Re Filippo II di Spagna primo campione di scacchi “d’Europa e del Nuovo mondo”.
1969. Giovanni Di Bona di Scarfagnano aveva 7 anni e già tutti lo chiamavano il Puttino. Senza dubbio nei suoi cromosomi c’erano gli stessi elementi contenuti nel nucleo delle cellule del famoso avo, solo così si può capire la sua passione per il gioco degli scacchi. Lo stesso anno i suoi genitori decisero d’emigrare in Germania dove a soli 20 anni diventò il numero uno di quella nazione, un uomo famoso, un vanto per il suo paese d’origine.
2009. Ricorrendo il 1° luglio il 470° anniversario della fondazione di Scarfagnano, l’attuale sindaco, il barone Carlone Pattinaro decise di indire un incontro di scacchi, invitando a sfidare Puttino il russo Andrej Rostoff, campione d’Europa. Il barone, che nulla faceva se non per trarne un beneficio, aveva incaricato il regista della TV locale di riprendere tutte le fasi della partita per farne un vero e proprio film.
Nello scenario della splendida piazza del paese, davanti al Ruggero Caffè, attorno a un tavolo si ritrovarono i due giocatori, gli arbitri, i tantissimi tifosi del campione locale. Al salentino, in maniche di camicia, folti capelli grigi scomposti dal vento, capitarono gli scacchi neri, mentre ad Andrej, vestito di scuro, con giacca e cravatta, quelli bianchi. Dopo circa quattro ore di gioco, quando i due si ritrovavano con la perfetta parità di pezzi, undici, il sole scomparve dietro il campanile. S’accesero le luci nella piazza e quelle del Ruggero Caffè. In quel preciso istante avvenne l’incredibile: alcuni ragazzi che si divertivano con le fionde tirando sassolini contro i tanti piccioni che li sorvolavano, centrarono, per caso, la testa d’un pennuto che, ahimè, piombò sulla scacchiera, disperdendone i pezzi. Disperazione dei contendenti, sconcerto fra i giudici che non sapevano come comportarsi, perché mai una partita era stata interrotta così. Per di più, non essendo state trascritte le mosse, era impossibile ricordarsi la collocazione dei pezzi. Solo rivedendo il filmato, un po’come si fa con la moviola nelle partite di calcio, si sarebbe potuto ricomporre il quadro preciso, ma il barone lo impedì. Quando mai in una partita di scacchi si sarebbe ripresentato un simile contesto? Quanti soldi avrebbe perso rendendo pubbliche le immagini? Così, dopo una discussione interminabile, fu deciso il pari, circostanza prevista solo quando i pezzi rimasti in gioco sono solo i due re. Così la gara entrò nel Guiness dei primati, ricordata come “Quella della del piccione, ovvero con una sola mossa doppio scacco matto ai due concorrenti.”