Non aver paura, piccolo. Sono mesi che mi insegui, che mi tormenti con le tue domande sul mondo ogni volta che i nostri sguardi per qualche oscuro motivo si incrociano. Non devi aver paura, su, vieni. Hai visto troppo, è vero, ma tu non esisti. Lo ha detto lui, guardalo ora, lo vedi? Serafico fuori dalle grazie di Dio, hai visto? Su, lui ora dorme. Noi andiamo via perché questo è un posto pericoloso per quelli come noi, per quelli vivi.

Non ce l’hai una famiglia, un amichetto o, che ne so, un cane? Non riesco a capire perché mi segui. Assomigli terribilmente a me, quando ero te. Solo che io non seguivo la gente. Io giocavo a pallone aprendo ferite nelle mie ginocchia sottili, non aprivo ferite nel cuore degli adulti.

Francesco è entrato nella mia vita da pochi mesi, come te del resto. Sono sempre stato uno a cui piace stare solo, con i miei libri a leggere parole di gente che si dice intellettuale. Sono più intellettuale io, a volte. Francesco mi diceva di volermi bene, di essere l’amico che ho sempre letto e mai avuto. Francesco diceva un mucchio di cazzate. È che nel momento in cui dici qualcosa una, due, tre, quattro o infinite volte, finisci col convincere la gente. Repetita iuvant, dicevano i latini. Forse tu sei figlio di questo amore incondizionato, ché poi è assurdo. Solo a dirle, le cose prendono vita, amico mio. A proposito, come ti chiami? Su, andiamo via, sta per scoppiare un temporale e Francesco ha deciso di andare per la sua strada. Mi fidavo di lui. Avrebbe potuto chiedermi qualunque cosa, qualunque davvero. Se mi avesse chiesto di prostituirmi per pagargli un viaggio a Valencia, giuro che lo avrei fatto. Solo che non me lo ha chiesto, questo. Mi ha chiesto di sparire, che lui era stanco, che si sentiva legato, che aveva bisogno d’aria, che io ero pazzo e che tu non esistevi. Ora è lui che ha smesso di esistere. Mi dispiace d’aver perso una così importante persona, ma se l’è cercata. Mi ha chiesto di sparire, ma con lui in vita non avrei mai potuto farlo. Ora vado, me ne andrò via chissà dove. Cercherò la fortuna in Irlanda, credo. Joyce ha sempre scritto cose interessanti su Dublino, non credi? Oh, tu ancora non sai leggere… che peccato. Un vero peccato. Non mi seguirai, non mi seguirai affatto. Ora alzati da quel prato, che io vado via. Su bimbo senza nome andiamo. Cazzo, bimbo! Ti vuoi dare una mossa? Mi hai seguito per così tanto che mi dispiacerebbe lasciarti qui con quel cadaverico Francesco. Se ti piace il suo gillet lo puoi prendere, ma devi fare in fretta. Francesco, l’uomo che per mesi mi ha fatto conoscere l’amicizia e con la sua impertinenza ha segnato il futuro di questo sentimento. Se sarà relegato agli angoli della mia vita, altro non è che colpa d’un morto. Bella consolazione. Io ci credevo, Giada, ci credevo. Merda, se ci credevo! Giada? Sei una femminuccia? No, tu sei me e io ero te. Io sono maschio. Chi è Giada? Sto male, mi gira la testa e ho i conati. Vado, il mondo non saprà più dove cercarmi e la mia vita sarà un fuggire eterno dall’immagine di Francesco sorridente e morto; un fuggire eterno da non so cosa.

Dove sono? Sei ancora qui, bimbo! Dove cazzo sono! Ditemi dove sono! Oddio, una prigione! No, un ospedale! Dove sono dove sono dove sono dove sono!

Una cartellina. Paziente n° 445 – Schizofrenia – Disturbi: dice di vedere se stesso infante e nomina una persona di nome Giada che non conosce.