Il gigante interrato - Alessio Brandolini
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Postato da: zaphod
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La luce è così forte che non riesco a vedere i contorni delle cose, sotto di noi c’è Roma e più in là lo specchio offuscato del mare. Sono con i soliti amici di una vita, quelli che mi cercano sempre anche se io non li cerco mai. Insistono: devi uscire, prendere aria, fare due chiacchiere, innamorarti. Li ringrazio eppure ora, qui, mi sento isolato, più solo di quando me ne sto rintanato in casa. Siamo quattro gatti: io, Marco e Francesco con il figlio Simone. Gli altri del giro hanno preferito andarsene fuori per qualche giorno. Romeo a Ischia, per via delle terme, Federico a San Casciano dei Bagni, per rifornirsi di vino rosso.
Le solite tristi feste. La solita Pasquetta fuori porta.
Tuscolo ha l’aspetto di un teschio deformato, come se il morto, prima del decesso, fosse stato preso a bastonate sulla nuca. Siamo sulla testa di un gigante, il resto dello scheletro sta sotto, interrato. Lo penso mentre con un forchettone rigiro la carne sulla graticola. Forse ieri, anche lui, è risorto, il gigante ha fatto due passi fino a Monte Cavo e da lì ha visto i laghi di Albano e di Nemi. Una volta qui c’era una città, ora soltanto ruderi e rovine. Sotto ci sono tunnel che procedono per chilometri, costruiti in epoca romana come nascondigli e possibili vie di fuga. Intanto Simone, il figlio di Francesco, gioca da solo accanto alla rete che delimitata gli scavi archeologici intorno all’anfiteatro. Ci dà le spalle con tenacia per via del muso che ha messo al padre: avrebbe preferito starsene altrove, con la mamma e la sorella. Marco mi sta accanto, con gli occhi puntati sulla carne: non vuole che la bruci, come ho fatto l’anno scorso. Me lo ha ricordato già tre volte. Francesco si è allontanato, per pisciare o vedere le tette di qualche bella fanciulla. Le bruschette sono nere, ma basta raschiarle con il coltello. Passami l’olio, per favore. La carne è quasi cotta: le tre bistecche di vitella con l’osso e le quattro salsicce. Al ragazzino ci pensa il padre, gli darà un pezzo della sua. L’odore mette l’acquolina in bocca e Marco infilza un coltellino per vedere se la carne sanguina ancora, a lui piace ben cotta. Poi mi guarda fisso e spara: «Ma tu, quando cazzo ti sposi?».
In troppi me lo hanno già chiesto, perché ora ci si mette anche lui? Tutti sono separati, divorziati, cornuti o fedelmente infelici del proprio coniuge e tutti sempre a chiedermi la stessa cosa. Allora a Marco gli rispondo infilandogli il forcone nell’occhio sinistro, il ferro entra che è una bellezza, forse perché arroventato. Non fuoriesce molto sangue ma il globo oculare salta fuori e son lesto ad afferrarlo al volo. Me lo infilo in bocca, lo assaporo, lo mastico pensando agli ovetti di Pasqua, quelli al cioccolato, grandi quanto un’oliva. Poi il forcone rapido glielo infilo tre volte nella gola, così da non sentire le sue imprecazioni. Ora il sangue esce a fiotti, persino dal naso. Muove due passi, poi il mio amico crolla a terra, a pancia sotto.
Nessuno si accorge di nulla, i gruppi di persone sono intenti a cucinare o già masticano pezzi di carne. Il figlio di Francesco non volta nemmeno la testa, anche se qualcosa ha percepito. Sono lesto a calarmi in un buco seminascosto da un rovo e ora corro nel tunnel, curvo per via del basso soffitto. Qui c’è un buio che fa immaginare bene i contorni delle cose. Ho fame e il cuore mi batte a mille, ma vado avanti a passo svelto: presto troverò lo scheletro del gigante, riposerò nella sua cassa toracica.