Savile Rock - Stefano Cardinali
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Postato da: zaphod
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Siamo di nuovo sul palco. Sotto di noi un oceano di teste e di braccia protese sembra volerci risucchiare. Jerry Darcyman batte quattro volte le bacchette tra loro. Thor Glanzid, finissimo tastierista, dà prova dei suoi studi e accenna una fuga degna del miglior progressive rock degli anni ’70 per poi frenare nei quattro accordi che accompagneranno la mia voce per tutto il pezzo. Il mio basso entra con il primo accordo dell’organo ed esegue un giro che esalta il ritmo della batteria. I due strumenti scandiscono il tempo in maniera netta, martellante: otto note, che sembrano ripetersi all’infinito, si intrecciano al suono distorto della chitarra di Max Zaph che in dissolvenza introduce la mia voce. L’abbiamo provato mille volte in studio: la sua nota si spegne col mio stesso timbro roco. Dell’equilibrio tra i due suoni si occupa il sapiente mixer di Anthony Kappa. Questa continuità tra Max e me rende singolare questa canzone e si ripeterà anche alla fine del brano.
È il mio pezzo. L’ho scritto per me, per le mie qualità. Anche le partiture degli altri strumenti le ho ideate per le mie doti. Il pubblico, che aspetta questo brano dall’inizio del concerto, sta tutto in piedi, pulsante come il centro dell’universo, motore indispensabile per le nostre fatiche. Siamo al terzo rientro sul palco, una scaletta studiata a tavolino che in ogni nostra esibizione esplode e si conclude con “Savile Rock”. Con un assolo appena sussurrato concluderò il nostro concerto.
I satanici giochi di luce studiati da Steve “Faust” Mob si infrangono come onde sulle scene disegnate da Robert Cameriere ed esaltano le note della chitarra di Max, esplosioni di colori che ipnotizzano il pubblico, sinergia perfetta tra vista e udito. Siamo all’epilogo del suo assolo, alla nota che introduce la mia chiusura e infine il delirio del pubblico, esaltante liberazione.
Invece accade l’irreparabile: Max non sfuma il tono della chitarra e parte con un assolo che emula la mia voce. Darcyman e Glanzid lo seguono in sordina come avrebbero fatto con me. Il mio basso tace stordito. La chitarra ora dialoga col pubblico in un finto battibecco sentito mille volte ma che la platea apprezza come fosse la prima. Tre infiniti minuti di scambi tra Max e il pubblico fino all’ultima, trascinata nota che si spegne tra il tripudio dell’arena. Ora tutti acclamano questa nuova versione e io mi sento come un dinosauro moribondo.
Questo, commissario, è accaduto sul palco ieri sera e credo che basti a giustificarmi. Troverà il mio basso privo del sol, la corda rinvenuta attorcigliata alla gola di Max.
Sono convinto di aver fatto la cosa giusta. Provi lei ad ascoltare la propria creatura snaturata, a vedersi sottrarre la scena (l’ultima scena!) da un suo compagno di viaggio, da un amico!
Mi spiace solo per lo shock subito dal bambino che oggi ha trovato il corpo. Sarà difficile per lui rimuovere quella immagine dai suoi incubi. Adesso mi sento in armonia con me stesso, sì, posso ricominciare a cantare la mia canzone. E questa volta lo farò fino alla fine.