Anonima scrittori


Amaro - Federica De Angelis

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Postato da: zaphod

Il tavolo è lungo.

Rivestito di una lastra di vetro. Perfetto.

La stanza ha un aspetto trasandato, libri appoggiati qua e là, una pianta semisecca sulla mensola di faggio, niente tende, un tappeto arrotolato nell’angolo dietro l’attaccapanni. Ovunque abiti smessi: sul paralume, accanto al televisore, sul termosifone, in bella vista sui braccioli di una poltrona.

E posacenere ricolmi. L’odore acre delle cicche impregna ogni cosa.

Più avanti sporgendosi verso l’angolo cottura si intravede una pila di piatti e bicchieri sporchi, a sedimentare. Tutto trasuda indifferenza, crudeltà.

Crudeltà è in realtà un termine forte, ma esprime pienamente il senso di sfida implicito a tutta quella inerzia, sfida verso la semplice decenza, necessità impellente di dilatare ogni cosa fino al limite, solo per la curiosità di vedere cosa succede e soprattutto se esiste, in fondo, un limite a tale tracotanza.

Certo la casa “va vissuta”, ma qui, come appare chiaro da subito, più che altro si dorme di giorno, e si fuma, si parla, si gioca, si piange e qualche volta si ama, di notte.

Marco ha acceso lo stereo appena siamo entrati, io mi siedo sul divano, bianco, scelta non particolarmente felice visto che a causa del fumo il colore sta lentamente scemando verso il beige.

Il trillo del campanello è preceduto dall’abbaiare dei cani, unici custodi di questa abitazione di periferia. Marco scende frettolosamente le scale, il suono dei cardini arrugginiti stride sotto il peso delle mandate.

- Ciao ! Spero di non aver fatto tardi per la partita. E… per farmi perdonare… una bella bottiglia di quello che piace a te…-.

- Dai sali che parliamo di quell’affare, le sigarette l’hai prese? -

Ogni volta è sempre la stessa storia.

Due uomini ed una donna (io). So già cosa mi aspetta.

Una giovane donna il sabato sera, appena 15 anni, e due uomini, in due hanno novant’anni.

Tommaso mi saluta, si avvicina e mi accarezza il viso. Mi giro di lato nervosamente. Dio quanto odio il tocco di quelle mani sulle mie guance, in un momento mi sembra di averle dappertutto, sotto i vestiti, sugli occhi, mi afferrano la gola, mi soffocano.

Per prendere tempo chiedo cosa vogliono per cena, verso loro del Whiskey e mi allontano verso l’angolo cucina con il cordless in mano, il numero lo conosco a memoria e la consegna a domicilio non dovrebbe metterci molto. Apro la porta che dà sul terrazzo per prendere aria, ho buttato un occhio ai piatti sporchi ma quelli mi potrebbero tornare utili tra un po’.

 

La serata è insolitamente tranquilla, Marco e Tommaso parlano animatamente di soldi seduti sul divano, sembrano essersi dimenticati di me. Colgo l’occasione e mi accendo una delle tre sigarette che ho sottratto dal pacchetto di Marco quando è andato ad aprire la porta. L’odore dolciastro del tabacco che brucia si spande in quella bolla d’aria integra, e io tiro una, due, tre boccate profonde, come se invece di fumo stessi respirando ossigeno.

Una mano mi strattona la manica della felpa, l’inattesa irruenza di quel gesto mi fa quasi perdere l’equilibrio.

- Ma che cazzo fai ragazzina, fumi pure adesso?-

Mi giro, Marco è dietro di me e alza la mano come per picchiarmi, istintivamente mi ritiro facendo scudo col braccio destro.

Il ghigno divertito di Tommaso giunge a breve dal divano.

-E dai Marco lasciala stare! E’ una ragazzina ! Non ti ricordi noi come eravamo all’età sua? -

Marco sembra divertito da quell’affermazione e scoppia in una fragorosa risata. Mi investe il suo alito impastato di Whiskey e sigarette così dannatamente disgustoso, gli occhi, quegli occhi che sembrano fissarti e invece sono persi dietro, oltre te, oltre questa stanza, persi in una bottiglia di superalcolico. So quanto sono pericolosi quando sono ubriachi, conosco il dolore, la paura, la rabbia, l’odio, la rassegnazione.

Suonano nuovamente alla porta, questa volta è il corriere della pizza, l’ho ordinata più di un’ora fa e devo dire che quel poco di fame che avevo mi è definitivamente passata. L’incarto unto contiene una pizza “demoralizzata” per me (come sarebbe potuta essere altrimenti ?), due pizze quattro stagioni e crocchette e arancini di riso per gli altri due.

Sono ancora le undici.

Il tempo in questa casa non passa mai. E’ una dimensione strana, orizzontale, incessante, dilatata. Mi sento come la corda di una chitarra, per accordarla devi tenderla, ma se la tiri troppo si rompe.

E’ così che mi sento.

Vorrei lanciare questi piatti, liberare quell’urlo incessante che mi assorda, che mi fa vibrare.

La visione è nitida, mi ricompongo, ingoio l’ennesimo boccone amaro.

I due mangiano di gusto, in un attimo trangugiano tutto, li vedo chiaramente, stando seduta qui al tavolo vicino alla finestra, loro sempre sul divano, io vorrei vomitare il mondo intero. Defecare tutto l’odio che covo dentro, tingere la città di rosso e bere il calice dell’oblìo.

 

- Ore 24.00 - La bottiglia sul tavolino vicino al divano è quasi vuota. Ho paura. Quando bevono sanno essere molto violenti e quelle mani che conosco troppo bene, bruciano, fuori ma soprattutto dentro di me.

Le solite parole volgari, i soliti doppi sensi, parlano di soldi, bevono whiskey. Sono sul divano. Tra poco toccherà a me.

Cerco di non pensare, mi sorprendo a fissare il mondo fuori da questa finestra con gli infissi d’alluminio, forse esistono l’amore , il rispetto…

Forse….

forse  no.

Stanotte ho deciso.

Lo zaino mi aspetta inerte sulla sedia, tiro fuori la boccetta con l’etichetta azzurra, svito lentamente il tappo nero e bevo avidamente fino a lacerarmi l’intestino con questo liquido amaro.

Velocemente mi volto, come richiamata da un istinto di sopravvivenza, con la segreta speranza di ritrovarmi sola nella stanza.

“Forse…

Esiste una possibilità.

Se solo dormissero entrambi…

Basterebbe poco, un gesto, per porre fine alla schiavitù, alla tristezza.

Forse…”

Un rumore lontano raggiunge la mente ovattata, la mia mano ha lasciato andare la boccetta. 

Un forte calore mi pervade e poi freddo e nausea, e lentamente, vorticosamente, mi sento leggera e poi pensante…

“Forse…

Esiste una possibilità.

Forse…”

Se uno dei due non stesse piangendo…

Se uno dei due, mentre muoio con questo veleno nel cuore, mentre mi tiene la mano in un letto d’ospedale…

Se uno dei due

Non fosse mio padre. 

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