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Mario - Maria Chiara Biondi

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Postato da: zaphod

Era arrivato a Milano da un paesino sul mare della Calabria. Sapeva di aglio e di umidità.

Tre anni ci aveva messo per sopravvivere a quel clima, a quel traffico insopportabile, alla gente con le facce  composte e la parlata fine. Facce da schiaffi su corpi magri e abbronzati da lettini solari. Tre anni a soffrire, a imprecare, a desiderare il suo paese sul mare. 

Un giorno però Mario era passato davanti alla fermata del tram a Piazzale Loreto e l’aveva vista; minigonna di raso, tacchi troppo alti con le zeppe, fisico prorompente e volgare. Lei camminava lungo il marciapiede con aria distratta, masticando una gomma a bocca aperta e oscillando i fianchi . Lui, impietrito da tanta bellezza , era rimasto immobile al semaforo per almeno un paio di minuti.

 

Dopo due mesi già vivevano insieme a casa sua.

Faceva la mignotta, la prostituta di strada, quella per la gente comune, che la sera dice alla moglie che va a comprare le sigarette e  al ritorno si abbassa i pantaloni in macchina.

Mario però non si curava di questo aspetto di Lara. Se ci avesse veramente pensato sarebbe impazzito. Un uomo del sud, con principi saldi e onesti, con una puttana non può vivere. E infatti, al paese, sapevano che lei lavorava in fabbrica e che faceva i turni di notte. E che turni! Si faceva sbattere nelle macchine più schifose, nei vicoli più bui, da uomini spesso sporchi e nauseanti che poi le infilavano 10 euro nella scollatura. Ma a lei non interessava, le bastava guadagnare per potersi comprare una casa decente e andare via dalla topaia dove adesso viveva con quello scemo, innamorato dei suoi occhi inespressivi che lo guardavano senza sentimento e del suo corpo burroso e volgare.

Mario lavorava come operaio in una fabbrica di mobili fuori Milano. Avvitava cerniere alle ante degli armadi per 8 ore tutti i giorni, compreso il sabato. Solo la domenica era libero e, quando Lara non lavorava,  andavano a mangiare un gelato sotto casa.

Per lui questo era l’inizio della loro vita insieme, il periodo più bello, quello dei progetti.

“Quando avrò messo da parte un po’ di soldi” le diceva “ ti sposo e ce ne torniamo a vivere al mio paese. Ti faccio fare una squadra di calcio e mia madre ti insegna a cucinare.” Sì perché adesso cucinava lui e lei mangiava senza alzare gli occhi dal piatto, con i gomiti sul tavolo e le gambe un po’ aperte.

“Parla, parla” pensava Lara leccando il gelato “che quando posso ti lascio e mi metto con un riccone che mi mantiene in un attico al centro di Milano.”

 

E così fu, più o meno. Non era in centro e non era un attico, ma il nuovo pollo era ingenuo e lei ci sapeva fare. Lo aveva conosciuto in un pomeriggio al duomo, dove spesso andava a vedere la bella gente che passeggiava. E dopo poco più di un mese aveva piantato Mario per questo vecchio lussurioso e ingenuo. Quel genere di vecchio che si mette con la badante di vent’anni e si imbottisce di viagra fino a farsi venire un infarto.

 

E così, dopo due anni vissuti insieme, Lara lasciò Mario da solo. 

Solo con i suoi progetti comuni, con la sua voglia di figli e con la speranza che prima o poi sarebbe tornata.  

Fu proprio in quei giorni tristi e grigi che lui mise a punto il suo piano. Doveva salvarla da quel vecchio, da quella vita, dal peccato che si era abbattuto su di lei senza discernimento. Non era un proposito di vendetta il suo ma di amore. Un amore ossessivo e paranoico che non aveva più davanti alcun futuro.

 

Si appostò in macchina davanti al suo portone per tutta la notte. Erano già le cinque della mattina quando Lara tornò a casa sfinita, con le scarpe in mano e le calze bucate. Quanto era bella, pensò, ma subito si riprese da quell’idea e, sceso dalla macchina, iniziò a seguirla.

La strada era ancora buia e i lampioni riflettevano sulle pozzanghere la loro luce fredda e spettrale. La raggiunse in pochi istanti senza farsi sentire, afferrandola per la vita, mentre con una mano le tappava la bocca. Il contatto con il suo corpo caldo e avvolgente per un attimo lo travolse. Ma si riprese in fretta, la caricò nel portabagagli, chiuse lo sportello e accese il motore. Nel suo piano non dovevano esserci intoppi e così fu. Filò tutto liscio, tutto fu perfetto. Lara strillava, batteva i pugni, piangeva. Per lo spavento non si era neanche accorta che era lui il suo rapitore, l’uomo con cui aveva vissuto per due anni. Dopo un po’ smise di gridare e svenne. Solo allora Mario imboccò l’autostrada A1, quella che lo avrebbe portato dritto al paese.

Viaggiò senza fermarsi tutto il giorno. Quando Lara si svegliava, e succedeva sempre meno oramai, lui accendeva la radio e cantava forte. Era giusto, in fondo, quello che stava facendo. Le avrebbe ridato la dignità che aveva smarrito con quel vecchio.

 

Il mare apparve all’improvviso, all’orizzonte. Mario parcheggiò davanti alla spiaggia che era ormai buio. Scese, apri il portabagagli e prese Lara in braccio. Era svenuta da parecchie ore. Si diresse verso la battigia, la distese e la coprì con una coperta, per proteggerla dal freddo. L’avrebbe lasciata lì, sulla spiaggia fino al suo risveglio. Le stava regalando un’altra possibilità, lontano dal suo squallido mondo grigio e nebbioso. Ce l’avrebbe fatta, ne era sicuro. La sua salvezza sarebbe arrivata da questo luogo, dal mare, dal sole, da una nuova vita. Era il suo ultimo regalo, o così sperava.

Ma Lara non si svegliò più, mai più. La trovarono così, con gli occhi chiusi e le labbra bianche, distesa come se dormisse.

 

Mario venne catturato dopo poco più di un mese e finì i suoi anni in una prigione del sud, calda e puzzolente.

Dalla cella riusciva anche a intravedere il mare, il sole, all’orizzonte immaginava il suo paese dove così disperatamente aveva sognato di tornare.   

 

Tutte le notti continuò a sognare Lara, i suoi capelli neri, le sue labbra sbiadite e i suoi occhi grigiastri che a lui parevano azzurri.  Sino al giorno in cui  lei venne a fargli visita, con le scarpe in mano e le calze bucate. Si era intrufolata nella sua stanza al buio, di soppiatto, senza rumore. Mario stava ancora dormendo.

Gli infilò il tacco in mezzo al diaframma, facendolo morire soffocato, mentre   lo osservava  sciogliersi nel suo ultimo respiro.

 

E’ così che morì Marietto, di notte, al buio della sua cella. Con gli occhi ancora chiusi e uno stecco di legno conficcato nel petto. 

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