Annamaria Trevale - Gente senza Dio
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Postato da: zaphod
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Madre di tutti, la montagna, ma più spesso matrigna.
Avara di cibo e di lavoro, generosa dispensatrice solo di fatiche, di pericoli e di tragedie.
Non c’era famiglia, in quelle borgate di case strette una all’altra in piccoli gruppi lungo le valli, che non contasse fra i propri legami una persona scomparsa a causa della montagna.
Angelina conservava memoria di un’infanzia vissuta prima che le nuove strade, le ferrovie e i capannoni delle fabbriche riempissero i fondovalle, attirando verso il basso la gente della montagna con la promessa di lavori e vite migliori.
Erano rimaste molte case vuote, nelle frazioni lassù in alto, solo in parte riprese più tardi da qualche raro villeggiante estivo, perché questa era una montagna davvero sfortunata, neanche troppo buona per il turismo, come diceva sempre quel suo nipote che aveva studiato e che dopo le ultime elezioni era diventato sindaco del paese.
Ma ora che nelle case c’erano l’acqua, la luce, il gas e le persone avevano tutte un lavoro dignitoso, non si viveva così tanto male, lì sulla montagna, pensava Angelina che poteva ricordarsi ancora bene di quando la notte si doveva andare a dormire col braciere nel letto per sopportare il contatto con le lenzuola ghiacciate, e tenersi addosso i mutandoni di lana lunghi fino alle caviglie sotto alle gonne, altrimenti le gambe diventavano blu, per non parlare di quando si aveva sempre fame, ma c’erano solo patate per calmare il brontolio dello stomaco…
Però, proprio quando tutti avrebbero potuto restarsene tranquilli, erano arrivate quelle grosse macchine a scavare, e avevano aperto quell’enorme cantiere: tanta gente, un viavai di operai.
E tutti protestavano.
Il nipote sindaco aveva spiegato ad Angelina che volevano bucare la montagna per far passare un treno velocissimo, e che questa nuova ferrovia avrebbe rovinato tutto quanto intorno.
Il parroco li aveva chiamati gente senza Dio, invitando tutti gli abitanti del paese a protestare, perché era certo che Gesù Cristo non approvasse quello sfregio della natura.
Angelina era una buona cristiana e pensò che avessero entrambi ragione, perciò s’incamminò con gli altri lungo la strada che conduceva al cantiere stringendo fra le mani incallite il Crocifisso che teneva appeso sopra il suo letto.
Un gruppo compatto di uomini vestiti di scuro, protetti da elmi e scudi come guerrieri, se ne stava schierato davanti ai cancelli, oltre i quali stazionavano soltanto quegli enormi macchinari che impaurivano le anziane donne del paese.
Nessuno ad assistere alla protesta: i manifestanti gridavano frasi ritmate e agitavano striscioni, ma loro restavano fermi, impassibili dietro i loro scudi, come se tutto quel clamore non li riguardasse affatto, finché il gruppo dei manifestanti, disorientato dalla mancanza di un contraddittorio, iniziò ad indietreggiare e a riprendere lentamente la via del ritorno.
Angelina rimase per un momento immobile in mezzo alla strada, chiedendosi perché mai Gesù non intervenisse in qualche modo nella faccenda. Si staccò dalle altre donne, raggiunse gli uomini scuri e percorse il loro schieramento brandendo ben alto fra le mani il suo Crocefisso, ma non accadde nulla: sotto il cielo plumbeo, nel freddo pungente della valle, gli uomini sembravano non vederla, o fingevano d’ignorarla.
Il parroco aveva ragione, quella era gente senza Dio.
Ma Dio, dov’era?
Asciugandosi gli occhi col fazzoletto, Angelina volse loro le spalle e riprese stancamente il suo cammino per tornare a casa.