Confine - Marco Ferrari
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Postato da: zaphod
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- L’eccezione - Maria Borgna
- L’uomo che rideva - Faust Cornelius Mob
- Modello 6 - Luca Baldini
- Ultimo giro - Simona Duranti
- L’orco Gino - Edoardo Micati
- La giostra delle G - Elisabetta Puppo
- Fuitina - Carla Faricelli
- Il cuore è matto - Giuliana Botturi
- Il trottolaio - Matteo Cordella
- Gita al luna park - Ludovica Mazzuccato
- Aperto solo di domenica - Gabriele Santoni
- Fotografia dell’invisibile - Alberto Volpi
- Sincerità - Er cavaliere nero
- Un ricordo (in)delebile - Stefano Cardinali
- Studio 69 - Gianmarco Lodi
- Il gabbiotto della giostrina - Graziano Leoni
- Welcome - Mara Latorre
- Confine - Marco Ferrari
- L’assenza - Roberto Urios Parrelli
- Da Manuela a Silvia, a pensami - Luigi Brasili
- La notte che Salvatore - Bruno Di Marco
- Una visione (in)vendibile - Gobig Onego
- La giostra - Daniela Rindi
- Scatti dell’anima - Stefano Carbini
- Foto terapia 2 - Marcello De Santis
Le strade finivano all’improvviso. L’asfalto si protendeva in avanti come un ultimo rigurgito prima della terra battuta. I marciapiedi se ne restavano troncati a metà, con un rozzo gradino che sapeva di disprezzo verso qualsiasi cosa dovesse succedere da lì in poi. L’ultimo lampione si ergeva orgoglioso, come residuo faro di civiltà offerto al buio della barbarie. Oltre quel moncherino di viabilità solo la campagna.
Solo una pausa, un prendere fiato prima del prossimo inevitabile balzo verso il progresso. Quei tentacoli avrebbero presto ripreso vita e si sarebbero insinuati con nuovo vigore nelle viscere della natura, per addomesticarla, per scacciare il ricordo di quello che tutti siamo stati in un tempo lontano. Anche l’odore delle stalle avrebbe lasciato il passo al rassicurante lezzo dei tubi di scappamento.
In quella zona di confine, all’estremo est della città, si accampavano di tanto in tanto le carovane degli spettacoli viaggianti. Il grande spiazzo che le ruspe e i mezzi avevano utilizzato come base e come parcheggio durante la stagione dei lavori, sembrava fatto apposta per ospitare le giostre, le attrazioni e i tendoni dei girovaghi.
La presenza del capannone di un’azienda di infissi, garantiva la possibilità di allacciarsi alla corrente elettrica e di rifornirsi d’acqua. Il padrone lasciava montare sul tetto l’insegna del Luna Park o del Circo, in cambio di qualche biglietto gratis.
I miei diciassette anni mi vedevano spesso da quelle parti. Con la bicicletta era spontaneo spingersi ai margini dell’abitato, in cerca di emozioni e nuovi percorsi. Una volta esplorammo il vecchio argine del fiume scoprendo un bunker lasciato dai tedeschi. Gianni trovò dei bossoli e Francesco addirittura un elmetto, uguale a quelli che si vedono nei film in testa ai crucchi.
Di giorno le ragazze le vedevamo ferme sulle panchine a spettegolare su di noi maschi e si faceva finta di niente. La sera però l’atmosfera cambiava del tutto. Noi ci vestivamo meglio, loro si muovevano a due a due. Si cercava di incrociare i loro sguardi, si attaccava bottone e magari si mangiava un gelato insieme.
Una sera accompagnammo a casa le sorelle Battistini: la più grande mi prese per il collo e mi stampò un bacio sulla bocca infilandomi la lingua tra i denti. Sconvolto è dire poco: mi sentii cambiato. Pensai: “Sono diventato un uomo.” Ma quello era niente rispetto a quanto sarebbe successo d’estate.
La storia infatti andò avanti, con un crescendo di emozioni e di scoperte. La città si era svuotata e faceva fresco per essere una sera d’agosto. Al Luna Park c’era poca gente e la giostra girava a vuoto. Senza preavviso mi prese per mano e mi trascinò in uno sgabuzzino, dietro al calcinculo. Fece tutto lei. Mi calò i pantaloni, si spogliò quel tanto per mandarmi su di giri e si avvinghiò al mio corpo ansimando. Avevo paura che qualcuno ci scoprisse, ero teso. Quando terminò con me, mi disse soddisfatta: “Adesso ho voglia di un gelato!”.
Quando torno a trovare i miei, faccio sempre due passi verso il vecchio Luna Park, che oggi non segna più la fine del mondo urbano, bensì il confine tra la vecchia e la nuova periferia della città. A distanza di tanti anni ripenso alla prima volta che ho fatto l’amore. Non si può certo dire che fossi follemente innamorato, ma rivedendo la tristezza di questo luogo capisco come mai il ricordo di quella ragazza non sia rimasto impresso nel mio cuore. Il sole della vita l’ha sciolto come un gelato caduto per terra.