Foto terapia 2 - Marcello De Santis
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Postato da: zaphod
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- Da Manuela a Silvia, a pensami - Luigi Brasili
- La notte che Salvatore - Bruno Di Marco
- Una visione (in)vendibile - Gobig Onego
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- Scatti dell’anima - Stefano Carbini
- Foto terapia 2 - Marcello De Santis
La baracca della cassa è vuota, spenta, senza luce.
Uno spazio bianco smorto, come di casa fantasma.
Anche le luci in alto che dovrebbero illuminare la scritta: CASSA paiono morte.
Di fronte, e poco distante, la giostra è ferma, e le seggioline appese alle catene, sono quasi braccia rilassate.
Come per disperazione.
O per rassegnazione.
Dov’è l’allegria che fino a poco fa ha invaso di sé le seggioline rotanti e volanti? dove i ragazzi che, legati per precauzione con una catenella alla vita, volano alti a cercare sensazioni di libertà, rincorrendosi e spingendosi l’un l’altro, tra grida e lazzi e ingenue beatitudini?
Andati. Svaniti nell’aria cupa del giorno che se ne va.
E col giorno se ne va anche la musica che pareva volesse continuare a impregnare di sé questo luogo già di temporanee delizie.
Resta l’ombra dell’allegria perduta, quasi si immaginassero intorno a quella macchina rotante di felicità, aggirarsi fantasmi silenziosi e tristi sotto i loro lenzuoli di nebbia, - alla opaca luce della nuvolaglia che s’immagina oscurare un sole malato.
Solo la greca alta alla macchina coi suoi colori gialli e verdi, mi pare di vedere questi due colori, (ma è poi così?), lasciano indietro un po’ di quella vivacità che sta sparendo, (o è già sparita?)
Pure quella specie di vessillo alto alla rotonda delle seggiole di ferro, cadute e dalle catene intrecciate per uno strano gioco del destino, ingarbugliate (involontariamente?) tra di loro, pare piangere sulle sue sventure, piegata alla melanconia che ha occupato il luogo di ritrovo di grida di entusiasmi di corse di bimbi; bambini con il palloncino che oscilla al cielo in cerca di libertà dal laccio che lo tiene, o con il pesciolino rosso nella busta di plastica trasparente, vinto dal papà al baracca delle palline colorate e dei pesci nei vasi; e vicine, bambine con il pupazzo o la bambola di panno tra le braccia; e tutti con in mano la vaporosa profumatissima vampa bianca di zucchero filato attorcigliata intorno ad un bastoncino.
Niente è come poco fa.
Niente è come ieri, come dieci cento mille anni fa.
Solo la bandiera tricolore, issata lassù su un pennone che non c’è, si estende in tutta la sua ampiezza, quasi tenuta da un vento che non c’è.
Da un entusiasmo che non c’è.
I lavoranti delle famiglie della carovana di questo circo ambulante, abituati ad andare dalla loro irrefrenabile mobilità, oggi qua domani là, sono andati via.
Pare abbiano dimenticato qui solo questa giostra, portandosi appresso tutto il resto: i fucili del tiro a segno coi premi per la vittoria, una bottiglia di vino da pochi soldi, una bambola, un orsacchiotto di peluche; i cavalli di legno con sopra i bambini galoppanti in sogni mai esistiti, la caverna della paura coi passaggi obbligati e i mostri che appaiono al solo accendersi di una luce colorata, il luogo della donna cannone, le musiche che non suonano più al girare di un invisibile organino elettrico.
E sono volate definitivamente al cielo - oltre il buio delle nuvole - le montagne russe coi loro trenini agganciati alle rotaie fumanti di estemporaneità, che da sempre hanno anelato la libertà.
Sono entrato voglioso di divertirmi o quanto meno di distrarmi, svegliandomi da un’apatia che mi coinvolge da giorni, e debbo dire che subito mi sono perduto nella felicità rumorosa della massa di grandi e piccini che giravano intorno.
Poi, ho chiuso gli occhi, preso dalle mie ansie, e al riaprirli tutto è sparito.
E adesso sono solo.
Con le mie ubbie.
Che non mi abbandonano.