Il trottolaio - Matteo Cordella
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Postato da: zaphod
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D’un tratto, cominciò a scrivere lettere senza un senso indirizzate sempre allo stesso destinatario, tale signor Girolamo Seggiolini.
Samir, adulto bambino, dai profondi occhi grigi, simil tempeste; ne aveva affrontate numerose nella sua vita, spalmata in soli tre fugaci lustri, e pochi erano stati i momenti in cui un raggio di sole avesse squarciato i suoi nembi per ridare distrattamente il calore di un sorriso… Samir, viveva in una “CASSA” tutta sua; sì, “CASSA”, perché in realtà quella che lui chiamava CASA non era nient’altro che un rettangolo di latta con una scritta “CASSA”, illuminata a sprazzi, posta in alto. Samir faceva parte della schiera degli stacanovisti: lui non si portava il lavoro a casa, ma il lavoro era la sua casa! Faceva il giostraio, una vita che non aveva scelto perché a quindici anni non puoi certo scegliere chi sei.
Quella trottola era di suo padre e lui, in un inconsapevole avvicendamento di cariche, ne era diventato il nuovo padrone da quando, quella sera, suo padre lo avevano portato via quei tre balordi… suo padre, reo semplicemente di camminare a testa sempre alta, senza vergogna, alla ricerca del raggio di sole da regalare al suo bambino per vederlo di nuovo sorridere.
Samir, ormai da un paio di mesi, da quando aveva cominciato a scrivere quelle sue insane lettere, curava attentamente la sua trottola malconcia e preda dell’usura del tempo: oliava, ridipingeva e puliva ogni centimetro nonostante la terra battuta mista asfalto che era tutt’intorno, in quel campo nomadi della periferia di Ferrara, la ricoprisse incessantemente quasi a prendersi meschinamente gioco del nostro piccolo “trottolaio”. Samir pur facendo parte di una comunità come quella zingara dalla forte coesione, dal profondo aggregazionismo e spirito solidale, preferì restare solo da quella tiepida notte sciroccata di Aprile. Non volle nessuno e non chiese. Rimase avulso nel suo silenzio. Tre cose gli bastavano: curare la sua trottola, vederla in azione a produrre spensierati sorrisi su coloro che avevano deciso di affidare il proprio destino a quei cigolanti seggiolini, scrivere le sue lettere sparse sempre a quello stesso nome, imbucandole puntuale nella vecchia cassetta rossa, arrugginita e gambizzata appena fuori dal campo.
Era una pallida mattina di un giorno qualunque di Aprile, il 22; Samir trovò un pacco vicino la sua “CASSA”. Dicevano che lo aveva lasciato il postino. Ma come? Samir non aveva un indirizzo, non sapeva neanche se avesse un cognome! Cominciò a ricevere questi pacchi quotidianamente, ad ogni sua lettera ne corrispondeva uno ed il mittente era sempre lo stesso, tale Girolamo Seggiolini… Dentro ogni pacco sempre e solo un pezzo di legno lavorato e dipinto: un sole, una stella, una luna, un pianeta, una nuvola, un raggio incandescente e luminoso, una porzione di volta celeste ora d’alba, ora di tramonto… Samir, giorno dopo giorno, scartava e posizionava sulle pareti della sua scatola di latta finché, esattamente un anno dopo, questo interscambio cessò.
Lo trovarono esanime in quella tiepida e sciroccata notte del 22 Aprile nella sua “CASSA” simil planetario, le cui pareti disegnavano il percorso di un sole dall’alba al tramonto, sino all’oblio della notte… I suoi occhi guardavano quel sole come quelli di suo padre; su di lui, sparse, tutte le lettere che aveva scritto bruciate negli angoli; dai resti spiccava una frase: “E guarderò in alto, e guarderò il sole anche se sdraiato e rantolante, anche se, morente a testa in giù!”