Il cuore è matto - Giuliana Botturi
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Postato da: zaphod
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Lo vidi luminoso in lontananza, come sospeso sul quadrato d’asfalto, dove restava ancora qualche manciata di coriandoli del carnevale appena passato.
Emanava una luce lattescente che si rifletteva sulla leggera nebbia sospesa nell’aria fredda.
Da esso proveniva, come da un juke-box, una canzone che ripeteva “il cuore è matto… matto da legare… e crede ancora… che tu pensi a me-eh!”
Ero lì, a bocca aperta, seduto sul sellino della bici, un piede poggiato a terra e uno ancora sul pedale, a guardare fisso come un ebete quel calcinculo che cantava in uno spiazzo di periferia in quella mattina d’inizio quaresima.
… E tornai ai miei quindici anni… ai primi battiti del cuore… era il carnevale del ’71…
Quell’anno avevo fatto le cose in grande: c’erano voluti due mesi per costruire il costume da robot.
Era un assemblaggio di pezzi di macchine rotte, vecchie latte riverniciate, un secchio d’alluminio e copertoni trovati dal rottamaio, e per dare più effetto al costume avevo messo perfino una cassetta con la registrazione di rumori “cibernetici” presi dalla radio a bassa frequenza.
Avevo lavorato nel garage senza dirlo ai miei amici, così nemmeno loro mi avrebbero riconosciuto.
Il giorno della sfilata dei carri c’erano anche le giostre, gli autoscontri, il calcinculo, le bancarelle con lo zucchero filato e il tiro a segno.
Lo sferisterio era affollato. Io mi davo un gran daffare per camminare come un robot, con gambe, braccia e testa rigide, che fatica! Però ne valeva la pena: tutti mi guardavano ammirati, e la folla si divideva al mio passaggio.
Quante fate e damine, e Zorro, e indiani pellerossa, e poi due Pierrot, tre zingare, due cow-boy, una zucca arancione di gommapiuma, e una bambola che si muoveva a scatti come me…
La rivedo ancora: occhi spalancati, bocca a forma di cuore, guance paffute con i pomelli rossi, una parrucca vaporosa di ricci color fucsia… la gonna era un tutù cortissimo ornato di pois enormi e variopinti… e sulla schiena aveva una cosa fantastica: una chiave che poteva essere girata e faceva un rumore metallico come quello dei carillon, e serviva per azionare i movimenti… e lei era molto brava, sembrava proprio una bambola meccanica… io la seguivo, ipnotizzato dai colori e dalle movenze, era bellissima!
Poi cominciammo a camminare affiancati, come una coppia di fidanzati meccanici…
Ci guardavamo e ridevamo… avevo un fischio nelle orecchie, un tumulto nel petto e niente, niente altro… erano sparite le bancarelle e la cuccagna… non sentivo più il freddo di fine febbraio… non facevo che guardarla e ridere… ero stordito di felicità.
“Come ti chiami?” “Elisabetta, e tu?” “Giovanni”…è bastato questo… e sembrò che ci conoscessimo da sempre… le nostre movenze non erano più meccaniche, ma scorrevano fluide nella folla che ci portava… passeggiavamo come fossimo soli… mangiavamo lo zucchero filato, e i fiocchi si coloravano del rossetto delle sue labbra… e il sole brillava… e scaldava il mio cuore impazzito…
Arrivammo davanti al calcinculo. Ci guardammo. “Hai voglia di farci un giro?” “Sì”. E in un attimo volarono il secchio e la chiave dalla schiena e i copertoni e tutto l’ingombro delle maschere … e via sul calcinculo! Là a mezz’aria tutto vorticava, e l’azzurro accecante infinito del cielo ci avvolgeva, e riuscimmo a prenderci le mani e stringemmo… e ad un tratto la parrucca si staccò, e i suoi capelli lunghi si librarono nell’aria…e la musica cantava: “Il cuore è matto… matto da legare!”