Ultimo giro, ultimo regalo. Almeno per stanotte.

Ancora una volta in regalo mi becco qualche schiaffo e probabilmente un’infezione, non sono i primi ne saranno gli ultimi.

Se almeno avessi una scusa come la Lilli, almeno a lei quel porco di Ludvig la obbliga coi pugni e coi calci a stare sulla strada.

Io ci sono finita perché guardavo troppi film. O forse perché ne guardavo troppo pochi e mi sembravano banali quanto la realtà.

Volevo fare soldi ma non sapevo fare niente, l’unica dote che avevo era la mancanza di pudore, da bambina giocavo coi vermi e non mi schifavo di niente. Non mi faceva schifo neanche che si era sparsa la voce e ormai ci venivano apposta a guardarmi accovacciata per terra e ad infilarmi le mani nelle mutandine. Non mi faceva né caldo né freddo.

Adelina una sera mi ha presa per mano e mi ha fatto vedere come si faceva. Bastava mettersi lungo la strada, a breve si sarebbe fermata una macchina, bastava salire e fare quello che chiedevano. Quel giorno mi ha fatto vedere, lei è semplicemente salita al posto del passeggero, si è chinata con la faccia sopra di lui e dopo un paio di minuti lui le ha dato venti euro.

Venti euro in due minuti.

Ho imparato che a volte non bastano due minuti, a volte ne servono di più, spesso serve anche il resto del corpo per farsi dare qualche euro in più. E a volte oltre ai soldi ti porti a casa qualche livido.

A volte come stanotte, quando la notte è finita e arriva l’alba, non voglio tornarci a casa. Pensare di aprire ancora una volta la porta, trascinarmi in camera da letto, stendermi sul materasso con gli occhi spalancati che non vogliono chiudersi e trovare sul soffitto la mia vita. Una vita che non so come guardare in faccia perché una faccia non ce l’ha. Sono io che non ho voluto dargliela. Perché a me nessun Ludvig mi obbliga, io faccio quello che mi hanno insegnato a fare.

Stanotte preferisco camminare, piuttosto che tornare a casa. E chi ci aveva mai fatto caso che qui c’erano le giostre? Mi siedo su un sedile, mi attacco alle catene, chiudo gli occhi e via per un altro giro.

Immagino la musica forte, le luci colorate, i bambini e le coppiette. Il tizio dentro al botteghino parla nel microfono, ci incita a rincorrere la coda, a calciare il sedile davanti e poi ma che dice? Parla di me “bellissima ragazza con la gonna rossa, quando scendi dal sedile passa di qua, regala un sorriso anche a me”. E’ bello, ha gli occhi scuri e profondi, i capelli lunghi modellati con il gel, quello brillante che illumina la testa, ha la camicia aperta sul petto, riesco a vedere una catena d’oro che gioca col pelo scuro mentre si muove al ritmo della musica. Si, farò come ha detto lui, quando il giro sarà finito passerò li davanti e gli sorriderò sbattendo le ciglia, lui mi offrirà una Coca Cola alla spina e poi quando le giostre saranno chiuse mi porterà a fare una passeggiata nel prato e mi mostrerà la luna piena. Vedo le mie dita tra il pelo del suo petto, le sue mani intorno alla mia vita, la mia faccia nei suoi capelli, sento il profumo della gelatina.

Con gli occhi chiusi, stretti stretti e la brina dell’alba che mi fa drizzare i peli delle cosce, ci provo con tutta me stessa a vivere il mio sogno, ma mio malgrado, anche se mi sforzo, riesco solo a vedermi ancora una volta sola, accovacciata sotto il palo della cuccagna a pulire i residui di lui, venti euro in pezzi da cinque vicino alle mie scarpe.