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Fotografia dell’invisibile - Alberto Volpi

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Postato da: zaphod

Dopo aver sbattuto gli occhi tre o quattro volte il civettone sembrò capire. Evidentemente era il suo modo di mettere in moto il cervello: tre sbattute come tre ricaricate dietro le orecchie ed era pronto ad interpretare il suo mondo fatto di richieste. Così dopo che gli avevo fatto scivolare la foto sul bancone: una faccia da scimmia di fronte e di profilo. Lo lasciammo giù con Soldano, mentre io e il capitano salivamo le scale con il passe-partout. Era un rischio andare su in due, certo, ma il capitano è l’uomo con gli attributi più quadrati di ogni corpo della città; io l’ho sempre ammirato perché i suoi ragionamenti se li tiene per sé e non la smette mai di mettere ordine intorno; e il capitano d’altra parte si fida di me: sa che sono l’animale più efficiente che si potrebbe mai procurare ai prezzi d’uno stipendio di maresciallo. Una volta sono restato appeso fuori da un balcone per mezz’ora con sole tre dita che stringevano la ringhiera.

Le scale serpeggianti erano sozze e al centro divise da una sottile strisciolina rossa e lisa. Tutto ciò mi ricordava degli spettacoli di strip che avevo visto una settimana prima. La stanza era al primo piano come è solito prendere il nostro amico; in quasi tutte le follie c’è del metodo. Insensato naturalmente. Il corridoietto presentava solo una porta a sinistra e una destra; cattiva illuminazione; il silenzio come un suono altissimo d’un corno da caccia. Sperando, come un innamorato insicuro e geloso alle prime armi, che il buco fosse libero infilo la chiave; il capitano fa del suo meglio per appiattirsi contro la parete e coprire lo specchio della porta, ma il grosso del lavoro al solito lo deve fare il vecchio Rota, in base alle descrizioni della stanza d’un civettone intontito. Gira: capriolo di spalle e rimbalzo sul letto; se il tipo ci fosse stato la parete avrebbe un ghirigoro in più sulla tappezzeria. – Il bagno – mi grida il capitano, una raffica dal vano doccia.

 

Di fronte, steso su tutto l’orizzonte, una specie di lenzuolo, colorato e leggermente ondeggiante. Al centro, solcato dai movimenti successivi, si delineava un volto come in certe bandiere quello del capo di partito: quello è Dio, gridava però l’intero, vuoto universo attorno.  Quello è Dio, ripetevano pure le profonde fibre del mio essere; un enorme connotato scimmiesco. E sfocato da gorilla albino imprendibile alla comune vista. Dicono alcuni che gli stati di coma non mentono, se mai si va oltre le facoltà esperite tramite la piccola parte di cervello utilizzata oggi dalla specie umana. Razionalmente si potrebbe pensare invece che la foto segnaletica, impressa nella memoria, si sia proiettata in quell’unica visione rimastami dopo il risveglio. Comunque sono di cinque anni più vecchio, ma io al bar e in commissariato, a quella di turno o a qualche stronzo che mi vuole compatire dico – Ehi belli, io sono il solo al mondo ad aver tenuto in pugno il Grande Latitante e al momento giusto lo saprò riconoscere. E ‘sta volta, quando ci rivedremo, ‘sta volta… -

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